Pietraperzia, un paese al centro geografico e mafioso della Sicilia
Barbara Maimone
L’Operazione Kaulonia conferma il ruolo di prestigio della famiglia mafiosa di Pietraperzia nel panorama criminale provinciale, regionale e nazionale. Accertate relazioni con gli Ercolano-Santapaola.
21 provvedimenti, emessi dal Gip del Tribunale su richiesta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta, e più di tre anni di indagini dimostrano la forza della famiglia mafiosa di Pietraperzia posta ai vertici di Cosa Nostra ennese. Dall’inchiesta, inoltre, emergono per la prima volta legami con il mandamento catanese Ercolano-Santapaola.
Nel pieno silenzio e buio della notte, i lampeggianti delle auto dei Carabinieri ed il rumore di un elicottero svegliano un paese addormentato, economicamente e culturalmente. Poche ore dopo, oltre il canale della Manica, un messaggio sveglia anche me: “21 persone stanotte in paese”. Non mi servono altri dettagli per capire: l’ennesimo blitz antimafia nel mio paese di origine, Pietraperzia; un comune di circa 7.000 abitanti nella provincia di Enna e con una posizione strategica fra quest’ultima e quella di Caltanissetta.
Nascere e crescere in terra di mafia significa quasi abituarsi a notizie come questa: ce lo si aspetta, prima o poi. L’operazione Kaulonia, però, fa maggior rumore: la forza mafiosa della cosca pietrina non è stata mai messa veramente in dubbio e quel che emerge, adesso, non solo conferma questo dato definitivamente ma ne avvalora addirittura la tesi. In questo paesino addormentato, infatti, la famiglia mafiosa non ha mai chiuso occhio.
Operazione Kaulonia
Kaulonia inizia alla fine del 2015 come operazione coordinata dalla Dda di Caltanissetta che indaga circa il ruolo, le relazioni e gli affari della famiglia mafiosa di Pietraperzia, L’inchiesta, portata a compimento all’alba di martedì 26 marzo 2019 dai Ros dei Carabinieri di Caltanissetta, si conclude con l’esecuzione di un’ordinanza a carico di 21 soggetti fra cui i fratelli Giovanni e Vincenzo Monachino, ai vertici del clan. Fra i reati a vario titolo contestati ai 21 indagati figurano associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidio, estorsione, reati concernenti le armi, rapina, furto, ricettazione e turbativa d’asta.
Pietraperzia non è solo un semplice paesino con qualche criminale di troppo. Pietraperzia… o meglio: la cosca mafiosa che porta il suo nome vanta rapporti con i più efferati e importanti clan di Cosa Nostra nonché con alcune famiglie di ‘Ndrangheta; questi ultimi emersi già nel 2017 per indagini della Procura di Reggio Calabria ed ora confermati nuovamente. L’operatività ed il giro di affari della famiglia, di conseguenza, non rimangono confinati al territorio pietrino, ma si espandono notevolmente: dall’isola a Milano fino all’Europa.
Il nome scelto per l’operazione non è quindi casuale: Caulonia, a Pietraperzia, significa “anni ‘70 e divertimento”. Giusto a pochissimi chilometri fuori dal centro abitato, un famoso ristorante con sala da ballo, L’Oasi di Caulonia da cui il nome con cui i pietrini ora indicano la zona, era l’indiscusso luogo di ritrovo per giovani figli dei fiori provenienti da ogni angolo della provincia. Di quel luogo oggi non rimane che una povera opera edilizia ed una stazione di servizio. Ma Caulonia è anche un comune della provincia di Reggio Calabria che, per posizione, popolazione e patrimonio culturale, ricorda molto il paesino dell’ennese. Il nome di un’inchiesta, quindi, che emblematicamente sottolinea l’egemonia della famiglia sul proprio territorio ed i rapporti anche con altri clan di Cosa Nostra e non.
Gli inquirenti, inoltre, hanno documentato l’importanza della cosca pietrina che intratteneva rapporti ed affari con l’efferato mandamento catanese Ercolano-Santapaola. In un video agli atti dell’inchiesta, infatti, i due clan si riuniscono in un casolare di campagna proprio nell’entroterra siciliano. Secondo il procuratore di Caltanissetta, Amedeo Bertone: “Il fatto che personaggi di rilievo di Cosa Nostra di Catania si siano recati a Pietraperzia dà la misura dell’importanza che la famiglia ha acquisito nel territorio”.
Stando alle indagini il 16 luglio 2017 a compiere l’omicidio di Filippo Marchì nella limitrofa Barrafranca fu proprio il clan pietrino. Marchì, in quanto ex autista di Giuseppe Saitta, ucciso negli anni ‘90 proprio in una faida che lo vedeva contrapporsi alla famiglia di Pietraperzia, veniva – secondo quanto emergerebbe – considerato facente parte del cd. “contropartito”, ossia quella fazione barrese che si sarebbe contrapposta ai pietrini. Lo stesso Marchì in passato era stato prima processato e poi scagionato per l’omicidio Afaresi nel 2001: venne, in seguito, anche risarcito per ingiusta detenzione.
Il coinvolgimento nella stagione delle stragi
È proprio il comandante dei Ros di Caltanissetta, il Generale di Brigata Pasquale Angelosanto a ribadire, nel corso della conferenza stampa tenutasi subito dopo gli arresti, l’egemonia della famiglia mafiosa di Pietraperzia, confermando per l’ennesima volta il suo ruolo di ospite delle riunioni dei vertici di Cosa Nostra che precedettero, in particolare, la strage di Capaci.
A parlarne per la prima volta fu il collaboratore di giustizia di San Cataldo (CL), Leonardo Messina con il giudice Paolo Borsellino pochi giorni dopo il 23 maggio 1992. Messina raccontò al giudice Borsellino di riunioni della cupola nel territorio pietrino con boss quali Totò Riina, Bernardo Provenzano, Piddu Madonia, Nitto Santapaola e Angelo Barbero. Fu nel corso di quei summit che – secondo le dichiarazioni di Messina mai provate – Giovanni Monachino (fra gli arrestati dell’operazione Kaulonia) avrebbe avuto l’incarico di prendersi personalmente cura delle esigenze del capo dei capi. Le dichiarazioni del pentito Messina, assieme a quelle di Paolo Severino, fecero scattare l’operazione Leopardo: era il 17 novembre 1992 quando nella cosiddetta notte del Safari Antimafia, in una maxi operazione di polizia che si espanse in tutta Italia ed altre nazioni europee ma che ebbe il suo focus fra Enna e Caltanissetta, le forze di polizia eseguirono 203 ordini di custodia cautelare in carcere. Un’operazione, per numero di imputati, seconda soltanto a quella del 1984 a seguito delle dichiarazioni di Tommaso Buscetta.
Expo Milano 2015
Per comprendere il ruolo significativo che la famiglia pietrina è riuscita a conquistare non solo nella propria regione ma anche al Nord, basti pensare alle sentenze di condanna di alcuni esponenti della stessa per infiltrazione mafiosa nei lavori di Expo Milano 2015. Nel 2018, i giudici della sesta sezione penale del tribunale di Milano scrivono che la cosca di Pietraperzia avrebbe investito “ingenti somme di denaro, frutto di riciclaggio dei proventi di illeciti tributari” per il “consolidamento del proprio sodalizio e nell’espansione della propria sfera di operatività in Lombardia e a Milano, anche in occasione di Expo 2015”. Il giro di affari del clan, che avrebbe visto anche il coinvolgimento di due imprenditori, ammonterebbe a 18 milioni di euro ed avrebbe interessato i lavori di allestimento della fiera universale e di alcuni padiglioni, fra cui Francia, Qatar e Guinea. Una notizia che, ai tempi dell’esecuzione degli arresti nel giugno 2016, non passò inosservata nemmeno per organi di stampa internazionali quali BBC e Reuters.
Nascere e crescere in terra di mafia non è una passeggiata e, per quanto ci si aspetti che giungano notizie del genere anche quando si vive all’estero da anni, qualcosa scuoterà sempre. In un paesino di provincia, dalle poche risorse economiche, dalle scarse prospettive future e dalla mancanza di istituzioni ad ogni livello impegnate costantemente per sradicare il fenomeno mafioso e creare opportunità, la speranza di miglioramento è scarsa. Pietraperzia, in questo, può costituire esempio lampante per tante altre simili realtà sparse sull’isola.
Quando mi si chiede del mio luogo di origine, è difficile rispondere “Pietraperzia” perché difficilmente chi non proviene da quelle zone ne conosce l’esistenza. Eppure, Pietraperzia è per Cosa Nostra un nome purtroppo nient’affatto insignificante.