domenica, Novembre 24, 2024
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Una giornata in Sicilia

Cinisi, nove maggio. Torneremo a parlarne fra un anno, di Peppi­no? E gli altri 364 giorni? Riflessioni su una giornata di lotta, di contraddizioni e tut­to sommato soprattut­to di speranza

9 maggio, una giornata dedicata “alle vittime del terrorismo”, ricordando l’assassinio di Aldo Moro per mano delle Brigate Rosse, nello stesso giorno della morte di Peppino Impastato. L’Associazione Impastato ha scritto, a suo tempo, una lettera al Presidente della Repubblica, invitandolo a rimandare la norma in Parlamento, e a farla integrare con l’aggiunta “alle vittime della mafia”, perché anche i delitti mafiosi sono tipici esempi di terrorismo: in tal senso il giorno dell’omicidio di Moro e di Impastato avrebbe trovato una perfetta sintesi di significato, ma sinora nessuna risposta.

Con incredibili voli pindarici si è cercato di creare connessione tra i due fatti, di inventarsi che Badalamenti era stato chiamato da qualche esponente politico per cercare, attraverso qualche mafioso in carcere, a contatto con brigatisti in carcere, di mediare con i terroristi e che avrebbe deciso di uccidere Peppino, perché sapeva della decisione di uccidere Moro , così che l’omicidio di Peppino sarebbe passato in silenzio, sommerso dall’importanza data al primo.

A queste fantasie, ( in siciliano “minchiate”), ne sono state aggiunte altre, come quella secondo cui la morte del padre di Peppino sarebbe stata decisa ed eseguita dai mafiosi di Cinisi per avere mano libera nell’eliminazione del figlio: e così un semplice incidente automobilistico è diventato un delitto. Si potrebbe continuare di questo passo su tutta una serie di altri “depistaggi” di cui Peppino è stato vittima, e che non sono solo quelli fatti al momento della sua morte, quando è stato spacciato per un terrorista. Ma torniamo alla giornata.

In mattinata un gruppo di sindaci, che non erano cento, come annunciato prima, si è recato al casolare in cui sono state trovate le tracce di sangue di Peppino e che, dopo decenni di abbandono, dopo che l’Associazione Impastato ne ha chiesto e ottenuto il vincolo, dovrebbe diventare un luogo della memoria.

Il proprietario, il farmacista Venuti, si è forse montato la testa per questo posto di poche centinaia di metri quadrati, che confina con la ferrovia, è inedificabile e non vale niente, ed ha chiesto una cifra esorbitante, al punto che la Regione ha deciso di procedere all’esproprio.

Non si sa quanto verrà offerto, se il proprietario farà ricorso, e quindi se i tempi si allungheranno, così come non si conoscono le intenzioni di utilizzo e di strutturazione: ci si augura che il posto rimanga così com’è, perché altrimenti perderebbe interamente le sue storiche caratteristiche di luogo in cui è avvenuto il delitto.

Dopo di ciò i sindaci si sono recati, seguiti da una massa di studenti, presso la casa di don Tano ed hanno scoperto un manifesto in cui c’era scritta una poesia di Umberto Santino, intitolata “Neppure un passo”, scritta in polemica con il titolo del film “I cento passi”.

Paradossalmente, sul marciapiede è stata posta la prima di cento mattonelle che dovrebbero arrivare alla casa di Peppino, secondo un progetto chiamato “I cento pensieri di Peppino”, non si sa se pensieri reali o supposti.

E’ qui il problema di fondo che divide molti dei compagni di Peppino da suo fratello e che, anche quest’anno ha portato ad iniziative separate: la pretesa di sapere cosa Peppino avrebbe fatto, cosa avrebbe scelto o cosa avrebbe detto, il sentirsi depositari unici della memoria di Peppino che, a seconda delle circostanze, diventa un non violento, uno che rispetta le forze dell’ordine, un ateo sì, ma dotato di religiosità, un artista, un uomo politico, uno che crede nelle istituzioni, nelle quali ha cercato di entrare con la scelta elettorale, un esempio di legalità ecc. Quindi no ai cento passi, sì alle cento mattonelle.

Sono incongruenze difficili da capire. Così com’è difficile capire l’apprezzamento verso il film con questa nota critica.

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