“Senza stipendio non si lavora”
Il coraggio delle donne degli asili nido di Catania.
Dopo nove mesi senza stipendio le lavoratrici degli asili nido comunali di Catania hanno detto basta. E si sono organizzate. Esauste delle promesse dell’amministrazione comunale, autonome da quei sindacati che vanno a braccetto con chi comanda, una mattina di fine gennaio hanno chiamato i genitori, chiuso gli asili nido, si sono procurate una lunga scala e sono salite sul tetto della struttura dove lavorano. Uno striscione bianco con una scritta rossa, dirompente nella sua semplicità: “9 mesi senza stipendio”. “Non torneremo a lavoro fino a quando non pagherete per il lavoro che abbiamo fatto” hanno urlato ad assessori, giornalisti, sindacalisti e politici. E stanno mantenendo la promessa.
Sono quarantasette vittime di quello che chiamano “equilibrio di bilancio, austerità, responsabilità”. Nel 2013 gli asili nido a Catania erano quindici, vi lavoravano decine di maestre impiegate comunali e novantanove operatrici ausiliarie assunte dalle cooperative. Gli asili nido potevano ospitare fino a 570 bambini. Per mandare i bambini all’asilo le famiglie nullatenenti non pagavano nulla e le rette, divise in trenta diverse fasce, raggiungevano per i redditi più alti i 270 euro mensili. Dopo i tagli dell’amministrazione guidata da Enzo Bianco gli asili nido di Catania si sono ridotti a nove. Le maestre sono state ridotte della metà e trasferite ad altri uffici, le lavoratrici ausiliarie sono rimaste 47. Il numero massimo di bambini che possono frequentare gli asili è sceso a 350. Le rette sono aumentate anche del 200%.
Le battaglie per evitare questo disastro ci sono state. Asili occupati, invasioni del consiglio comunale, cortei e sit-in. Si è cercato di limitare i danni ma non si è stati efficaci. La politica era un muro di gomma, i sindacati erano più preoccupati di assicurarsi la poltrona di assessore che di difendere l’occupazione e i lavoratori. Ma nove mesi senza stipendio sono troppi e quarantasette lavoratrici hanno trovato il coraggio di ribellarsi.
Quarantasette vite di donne. La giornata divisa tra il lavoro, l’appuntamento dall’avvocato che chiede soldi e scrive l’ingiunzione di pagamento per la cooperativa, la telefonata alle colleghe per sapere se finalmente hanno pagato, la telefonata all’altro avvocato per sapere se ci sono novità. La spesa al supermercato fatta con gli occhi ai prezzi perché con quello che c’è nel portafogli non si può comprare tutto quello che serve a casa. Le cene e le litigate a tavola coi figli ai quali non si può dare tutto quello che si vorrebbe, tutto quello che meritano. L’umiliazione di chiedere i soldi all’amica, alla mamma pensionata. La rabbia di rincorrere l’ex marito che non dà abbastanza. La frustrazione di aprire le porte dell’asilo alle sette meno dieci dopo aver atteso per mezz’ora l’autobus che porta a lavoro, di cambiare i pannolini a decine di bambine e bambini che sono come figli, di lavare i pavimenti, i piatti, i cucchiaini, di cucinare per decine di neonati e così ogni giorno, per tutti i giorni, senza che a fine mese arrivi neanche quel misero stipendio. Che anche quando arriva non copre i debiti, non basta per l’affitto, per le bollette, per la tassa sulla spazzatura: aumentata proprio da quel comune che ti deve i soldi di nove mesi di lavoro svolto e mai pagato.
Da vent’anni quarantasette donne lavorano per cooperative diverse, che anno dopo anno si aggiudicano l’appalto per il servizio ausiliario degli asili nido. Vengono contrattualizzate, licenziate e poi riassunte dalla cooperativa che vince la gara. Loro rimangono sempre le stesse, cambia il datore di lavoro, a volte cambia solo il nome della cooperativa. Mai gli stipendi sono arrivati puntuali perché per il Comune pagare quelle lavoratrici è stato sempre come pagare un fornitore qualunque, a 60, a 90 a 120 giorni dalla presentazione della fattura. Lavoratrici come merce. Sarebbe bastato che il Comune in questi vent’anni le avesse assunte al Comune, all’interno della società partecipata che si occupa di manutenzioni e servizi, e allora avrebbero avuto queste donne la certezza di un futuro, di uno stipendio come si deve, di una prospettiva anche di carriera. Invece no. I politicanti che si sono succeduti avevano più convenienza a tenerle precarie, nel continuo ricatto di essere assunte dalla nuova cooperativa: è così che a Catania si prendono i voti. È stato più conveniente per la politica mantenere le clientele con le diverse cooperative che, senza alcun motivo logico, svolgono mansioni per il Comune di Catania che il Comune potrebbe tranquillamente svolgere attraverso le sue società partecipate. Lauti profitti per qualche finto imprenditore amico, camuffato da presidente di cooperativa sociale.
Eppure adesso ci sono quarantasette donne coraggiose che hanno detto basta. Gli asili nido della città di Catania da dieci giorni sono chiusi con gravissimo disagio per centinaia di famiglie. E la politica non può che svegliarsi e trovare una soluzione.
Il coordinamento femminista “Non una di meno” di Catania lunedì prossimo sarà insieme alle lavoratrici degli asili nido sotto la Prefettura. Per dare ancora più coraggio. Per rivendicare il diritto al lavoro, allo stipendio, all’asilo nido per sempre più bambine e bambini.