La guerra ai poveri
“Non so dove andremo a finire. Non capiscono che anche noi siamo stanchi e anche noi siamo arrabbiati. Parlano di sicurezza, ma mi sembra una guerra contro i più poveri”.
Ester è seduta in ginocchio sul tappeto del salotto di casa sua, con i gomiti è poggiata a un tavolino. Oggi pomeriggio è da sola in casa, i bimbi sono in giro con l’assistente sociale, che un pomeriggio al mese li porta al parco. Ha 31 anni, è di origine macedone ed è mamma di cinque bambini, dai 12 ai 7 anni.
Vive a Pisa da anni ormai, all’italiano incerto alterna spesso modi di dire e intercalari toscani e ha imparato a cucinare la pizza.
“In televisione l’altro giorno parlavano del reddito cittadinanza. Ma cosa è?” si chiede “Danno i soldi per gli italiani?”.
Mentre parla con le mani sistema i vari ingredienti per fare il pane attorno al tavolo: la farina, il lievito, l’acqua, il sale e l’olio di semi. Lo prepara ogni due giorni, così tutte le mattine i bambini hanno la merenda per la scuola.
“Ma che significa gli italiani? Io vivo qui da quindici anni, tutti i miei figli sono nati in Italia e studiano qui. Anche se non ho le carte, sono italiana, no?”. Si mette a ridere. Inizia a versare la farina, poi l’acqua. E impasta. “La cosa buona è che con questo reddito di cittadinanza gli italiani possono smettere di lavorare, così io ho più possibilità di trovare lavoro e tutti siamo felici.”
“Io non lo capisco” dice mentre aggiunge all’impasto il lievito e il sorriso scompare “Ma che male vi abbiamo fatto?”
“Perché siete tanto arrabbiati con noi? Solo perché non abbiamo la cittadinanza italiana?
In questo periodo tutti se la prendono con gli immigrati, l’altro giorno in tv Salvini diceva un sacco di cose brutte. E poi ho sentito anche che tutti gli immigrati adesso nessuno li vuole aiutare più, li buttano in mezzo alla strada. Quando passo vicino la stazione ne vedo tantissimi che girano senza far niente, e la gente si lamenta, che dice che rubano, che sono cattivi. Ma se gli tolgono la casa, dove vuoi che stiano? Se gli togli l’aiuto, come vuoi che mangino?”.
Si alza per accendere il forno, mette la temperatura a 180°. “Ieri mi sono presa un grande spavento – dice mentre torna a sedersi – la polizia è andata a sgomberare il campo rom dove vive la mia amica Samia con i suoi figli e dove vivevo io prima di avere la casa dai servizi sociali. Meno male che mia mamma è dalla zia in Germania, anche lei viveva in quel campo. Dice che c’erano anche delle ruspe, hanno mandato via tutti, sai quanti bambini vivevano lì? Hanno rotto tutto, molte persone le hanno portate in caserma. Gli faranno dei controlli, poi li manderanno via.”
“E secondo te dove torneranno? Il campo è stato distrutto, le loro case buttate giù. Io sono fortunata che ho una casa e molti mi aiutano per i bimbi, ma mi ricordo cosa significa vivere in un campo rom e non avere niente. Hai la preoccupazione sempre: non hai documenti, devi mangiare, se piove c’è fango dappertutto. E se devi mangiare come fai? Se devi dormire dove stai?
Io non dico che è giusto rubare, però lo fai per disperazione. Tu pensa, torni a casa e casa tua non c’è più, nessuno ti vuole aiutare perché perfino in tv dicono che sei cattivo, e magari hai bimbi piccoli che piangono. Io sono una mamma, per i miei figli ci andrei a rubare”.
Con dita esperte, inizia a dividere l’impasto e a fare delle palline. Poi le bagna un po’ con l’olio di semi. “Così le pagnotte vengono belle dorate” sorride.
“Io non lo so dove andremo a finire. Non capiscono che anche noi siamo stanchi e anche noi siamo arrabbiati, che più va avanti questa situazione e più è peggio. Poi non lo so, a volte penso che siamo tutti un po’ stupidi. In tv parlano tutti di sicurezza, ma mi sembra una guerra contro i più poveri”.
“Ecco – dice mentre informa le pagnotte perfettamente lisce – tra un’ora sono pronte”.