Processo Beta. Dai centri commerciali al Ponte sullo Stretto
Gli affari di Biagio Grasso, clan Romeo & C.
Gli esordi con il mattone in Venezuela, poi di nuovo a casa in Sicilia e le relazioni con le cosche mafiose barcellonesi e le nuove leve della famiglia di rappresentanza del clan Santapaola nella città di Messina.
Le cementificazioni selvagge sul Torrente Trapani e i centri commerciali a Villafranca Tirrena e nella piana di Milazzo, gli affari e i mezzi affari con l’ambigua e spregiudicata borghesia imprenditrice peloritana, i contatti con i professionisti consiglieri e consigliori. Infine certe controverse operazioni finanziarie nella Milano tutta da bere, gli occhi puntati sulle grandi opere dell’Italia del terzo millennio, ad iniziare dall’Expo di Milano e finire magari con l’intramontabile mito del Ponte sullo Stretto. È un fiume in piena il costruttore Biagio Grasso: chiamato a deporre al processo antimafia Beta sui pericolosi intrecci tra criminalità organizzata, imprenditoria e colletti bianchi a Messina e provincia, il neocollaboratore di giustizia (già condannato con rito abbreviato nello stesso procedimento penale) ha ricostruito i passi salienti della sua infelice carriera di uomo cerniera tra economia legale ed illegale. All’udienza del 30 novembre scorso, Grasso ha risposto con dovizia di particolari a tutte le domande del giudice Silvana Grasso e dei pubblici ministeri Fabrizio Monaco e Liliana Todaro, confermando di meritare per memoria e attendibilità l’attestato di fiducia ottenuto dagli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia.
Con gli amici degli amici di Barcellona P.G. e dintorni
“Dopo alcuni anni di studio all’Università di Messina mi sono trasferito in Sudamerica, in Venezuela cominciando l’attività sempre in campo edilizio. Tornai in Italia negli anni 2000 e iniziando anche qui attività in campo di infrastrutture di telecomunicazioni, opifici industriali ed edilizia civile. Dal 2002 in avanti ebbi già i primi rapporti con la criminalità organizzata di Barcellona Pozzo di Gotto con persone all’apice dell’organizzazione dell’epoca, tra cui Carmelo D’Amico, Carmelo Bisignano, Tindaro Calabrese e diversi altri”. Esordisce in questo modo Biagio Grasso. “Il primo contatto con la criminalità organizzata ce l’ho avuto nel 2001 con Antonino Merlino che era già stato imputato all’epoca per l’omicidio di Beppe Alfano. Con Antonino Merlino avevamo un rapporto di collaborazione in quanto aveva una società che si chiamava Ramer che operava in subappalto con molte commesse che in quel momento io avevo nel campo delle infrastrutture di telecomunicazioni. Avevo diversi appalti a Messina, per esempio ho fatto Albacom S.p.A. dove ha partecipato sia Merlino sia Carmelo Bisignano come subappaltatori in quest’opera. Carmelo Bisignano era il boss reggente del clan di Mazzarrà Sant’Andrea, mentre Antonino Merlino era parte attiva e quindi componente effettivo del clan di Barcellona Pozzo di Gotto, che all’epoca faceva riferimento a Pippo Gullottià Con Merlino ho lavorato dal 2001 al 2005, quindi non ero soggetto ad estorsione pura ma c’era un rapporto di collaborazione dove in ogni caso io, a parte i subappalti, comunque davo dei contributi all’organizzazione come si usa sia a Natale, Pasqua e Ferragosto. Nel 2005 arrestano Nino Merlino per una condanna definitiva per l’omicidio Alfano e prima dell’arresto lui mi presentò Carmelo D’Amico come nuovo reggente del clan di Barcellona Pozzo di Gotto e Tindaro Calabrese come nuovo reggente del clan di Mazzarrà Sant’Andrea, insieme ad Agostino Campisi come referente della zona di Terme Vigliatore. Da questo momento in poi mi dice: Rivolgiti a questi tre che sono persone di cui ti puoi fidare e comunque sono ai vertici dell’organizzazione. Da quel periodo i rapporti che ho avuto con Carmelo D’Amico sono in riferimento ad una società che lui aveva con tale Salvatore Puglisi. Avevano una società che faceva forniture di calcestruzzo confezionato, la Map S.r.l.. Ha fatto forniture per me per diversi milioni di euro in particolare per la costruzione di un centro commerciale a Milazzo denominato Centro Commerciale Milazzo che all’epoca era un’operazione che stavano sviluppando Nino Giordano e Carlo Borella e io ho avuto l’appalto per intero per la costruzione, soprattutto perché sapevano i rapporti che avevo con la criminalità del luogo e quindi per evitare qualsiasi tipo di problemi. La Map S.r.l. mi ha fatto tante altre forniture nella zona industriale di Giammoro. Ho avuto rapporti anche col fratello di Carmelo D’Amico, Francesco D’Amico, che aveva una società di impianti elettrici che mi ha fatto dei lavori sia in alcuni capannoni e anche nel complesso Torrente Trapani a Messina. Ho poi avuto rapporti con altri fornitori che erano comunque legati alla criminalità organizzata della zona di Barcellona e Mazzarrà Sant’Andrea.
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