sabato, Novembre 23, 2024
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L’altra Turchia

Nonostante le elezioni abbiano riconfermato Erdoğan e l’estrema destra, molti ritengono che non si possa rinunciare alla lotta per una Turchia migliore.

L’Italia dei populisti e dei nazionalisti somiglia sempre di più a quella Turchia che solo nel 2016, con lo scatenarsi della repressione seguita al fallito colpo di Stato, ci sembrava così lontana dai principi democratici e dallo Stato di diritto che davamo per scontati nel Belpaese.

A due anni di distanza, gli attacchi alla stampa non sono poi così diversi e l’incriminazione del sindaco di Riace la dice lunga sulla volontà dell’attuale governo di distruggere alternative concrete alla retorica della paura, in nome della quale si perdono senno e umanità. Ma come da noi c’è un’altra Italia, un’Italia della solidarietà, della ragionevolezza, dell’accoglienza e di uno sviluppo che non può prescindere dai diritti umani fondamentali, così c’è un’altra Turchia che vale la pena di ascoltare.

Dopo aver vinto le elezioni, Erdoğan ha sostituito i manifesti “Una grande Turchia ha bisogno di un grande leader”, con manifesti di ringraziamento. Sulla facciata del molo di Kadıköy si legge “Grazie, Istanbul. Ha vinto il nostro popolo, ha vinto la Turchia.” – foto Delizia Flaccavento

Alle elezioni presidenziali ed amministrative dello scorso giugno è andato a votare l’87% degli aventi diritto, una percentuale più alta che in qualsiasi democrazia occidentale: nonostante i problemi, la propaganda, la censura, un’indotta autocensura ed una totale mancanza di discussione politica nei media ufficiali, il voto continua ad essere visto come il luogo in cui far sentire la propria voce di cittadini, che sia per cambiare le cose o per mantenere lo status quo. E tra il 48% delle persone che non hanno votato per Erdoğan, non c’è solo disperazione, ma anche la costruttiva consapevolezza dell’inevitabilità di una battaglia per la democrazia e la libertà, i cui tempi si sono allungati, ma che non si fermerà.

Alla marcia femminista dell’8 marzo 2017, tutte le participant si sono unite per dire no (in turco “hayır”) alla riforma costituzionale per sostituire la repubblica parlamentare con una repubblica presidenziale che avrebbe dato poteri quasi illimitati al presidente. Tra brogli e intimidazioni, il sì ha vinto il referendum popolare dell’aprile 2017 con il 51% dei voti. Il no ha vinto nelle grandi città (Istanbul, Ankara, Smirne) e nelle zone a maggioranza curda, mentre il sì ha vinto nel cuore dell’Anatolia – foto Delizia Flaccavento

A. è un’artista che crede fermamente che in tempi bui l’unica risposta sia continuare a produrre: “Ho sperato per molto tempo, sin dalle proteste di Gezi Park del 2013, quando la Turchia ha iniziato una rivoluzione intellettuale senza leader, una rivoluzione fatta dalle persone per le persone. Alle ultime elezioni di speranza ne avevo poca, ma ho tenuto il morale alto, specialmente dopo aver visto il principale partito d’opposizione, il Partito Repubblicano del Popolo (CHP), presentare il candidato più adatto alla situazione. Era fondamentale che il Partito Democratico del Popolo (HDP) passasse la soglia del 10% necessaria per entrare in parlamento: ce l’ha fatta e questo mi ha dato rinnovata speranza. L’HDP è il partito dell’“altro”: donne, bambini, comunità LGBT, curdi, turchi, armeni, greci, ambiente, tutte le possibili minoranze. Un partito che rappresenta una tale diversità non era mai entrato nel parlamento turco, ma per la terza volta consecutiva, l’HDP è riuscito a superare l’alta soglia elettorale. La situazione nel breve termine diventerà più difficile, ci sarà più censura e meno spazio per respirare, una situazione economica peggiore e quasi nessuna produzione. Ma alla fine vincerà la lotta per i diritti individuali e collettivi.”

Candidato per il Partito Democratico del Popolo (HDP), Selahattin Demirtaş durante il periodo di campagna elettorale ha avuto 18 secondi di spazio sulla televisione di Stato e a pochi giorni dalle elezioni il permesso di mandare in onda un messaggio registrato in carcere, dove si trova dal novembre del 2016 in detenzione preventiva con l’accusa di appoggiare il PKK. Demirtaş ha ottenuto il 7% dei voti, ma l’HDP, il partito delle minoranze, dai curdi alle donne alla comunità LGBT, ha superato la soglia del 10%, necessaria per entrare in parlamento. Con le città tappezzate di manifesti pro-Erdoğan, ai supporter dell’HDP non è rimasta che la lotta degli adesivi: “Insieme a te, l’HDP sarà portatore di cambiamento.” – foto Delizia Flaccavento

Il candidato presidenziale del CHP Muharrem Ince è riuscito a mobilitare milioni di persone desiderose di cambiamento e di un politico per cui simpatizzare. Tra loro vi è B., che di professione fa l’antiquaria: “Non cerco un supereroe, voglio un leader che rispetti la società civile e i valori democratici e che si preoccupi dell’ambiente e dei diritti umani. Le cose ormai da un po’ vanno molto male per tutti, per questo avevo grandi speranze. In più, Ince ha da subito raccolto parecchio consenso in vari segmenti della società, nonostante gli ostacoli e le barriere antidemocratiche. Ma di certo non pensavo che sarebbe stato facile, in ballo c’è troppo.”

Muharrem Ince del Partito Popolare Repubblicano (CHP), il principale partito di opposizione, ha ricevuto il 30% dei voti alle elezioni presidenziali del 24 giugno in Turchia. “Tamam” (in turco “basta”) si riferisce alle parole di Erdoğan durante la campagna elettorale (“Se il mio popolo dice ‘basta’, allora mi ritiro”), che sono state seguite da milioni di hashtag “tamam” su twitter – foto Delizia Flaccavento

All fine, purtroppo, sono i risultati che contano. H., è uno studente che vorrebbe specializzarsi all’estero: “Ince è una persona qualificata che avrebbe potuto fare bene. Purtroppo, il risultato delle elezioni non mi sorprende. Il futuro della Turchia è nero. Ci sono molti problemi, soprattutto nell’ambito dell’istruzione, dell’economia e dei diritti umani, che si inaspriranno. Io voglio continuare a studiare in Europa, dove sono sicuro che la gente mi rispetterà. Qui sono costantemente in ansia per il mio lavoro ed i miei diritti. Il governo protegge solo chi lo appoggia. Abbiamo un presidente che divide la gente e questo mi fa sentire molto insicuro.”

Un venditore ambulante alla manifestazione che ha concluso la Marcia per la Giustizia del capo del CHP Kemal Kılıçdaroğlu. Le immagini di Atatürk (il fondatore della Turchia moderna), Che Guevara, Ali (nipote del profetto Maometto, a lui sono devoti gli aleviti, che sono la principale minoranza religiosa turca) e musicisti politicamente e civilmente impegnati vengono vendute come simboli di resistenza. Kılıçdaroğlu ha iniziato la marcia il 15 giugno 2017, il giorno dopo la condanna a 25 anni di carcere del parlamentare del CHP Enis Berberoğlu per aver fornito al quotidiano Cumhuriyet informazioni riservate sui camion dei servizi segreti turchi che trasportavano armi, anziché medicinali, in Siria, e l’ha conclusa ad Istanbul dopo 25 giorni e 450km, davanti a centinaia di migliaia di persone. La marcia è stata apartitica ed ha avuto il solo slogan “diritti, legge, giustizia” – foto Delizia Flaccavento

L’ansia creata dai risultati elettorali è diffusa. S., è un giovane psicologo che a stento arriva a fine mese in una economia sempre più instabile: “Non credo che Erdoğan prenderà decisioni sagge con i poteri conferitigli dal nuovo sistema presidenziale. Da cittadino turco, non posso che essere colpito negativamente dai problemi economici, la disoccupazione, il nepotismo, la disuguaglianza, la mancanza di libertà d’espressione. Amo il mio paese e sogno un futuro in cui le persone siano libere di esprimere le proprie opinioni, dove la giustizia sia amministrata in modo indipendente, dove apprezziamo la diversità e trattiamo l’altro con rispetto.”

Una protesta contro il femminicidio. Nel solo 2017, in Turchia sono state uccise 409 donne. Nel Rapporto Globale sulla Disparità di Genere (Global Gender Gap Report) del 2017, la Turchia è al 133esimo posto tra 144 nazioni – foto Delizia Flaccavento

Senza una politica pulita ed una giustizia affidabile e trasparente, i cittadini possono solo sentirsi insicuri e vulnerabili. I. vorrebbe diventare docente universitaria, ma vedere i suoi professori migliori perdere il posto di lavoro la preoccupa: “Durante le elezioni ho lavorato come osservatrice elettorale e questo mi ha fatto riflettere sulle realtà profondamente diverse presenti in Turchia. Tornando a casa in autobus, ho visto le strade piene di gente, soprattutto giovani, che celebrava la vittoria di Erdoğan. Anche la signora seduta accanto a me aveva votato per lui: ‘Cosa vuoi di più, Erdoğan ha cambiato la Turchia! Io che indosso il velo posso girare in pubblico senza problemi, andare a scuola e lavorare nel settore pubblico con il mio velo addosso.’ Purtroppo, nessuno di noi è indipedente dal proprio ambiente. E dopo queste elezioni sento di poter giocare un ruolo più attivo nel processo di democratizzazione. Voglio studiare scienze politiche, fare l’osservatrice elettorale, entrare in contatto con persone di varie estrazioni sociali.”

I graffiti sono illegali in Turchia, persino un’opera dell’artista francese JR è stata cancellata dalla facciata di un palazzo a Karaköy. Ma di graffiti ad Istanbul se ne vedono tanti. Dalle proteste di Gezi Park in poi, sono diventati una forma di espressione politica – foto Delizia Flaccavento

Anche per Z., laureata in ingegneria in cerca della prima occupazione, si deve guardare avanti: “Nella vita non mollo mai. Farò lo stesso nella lotta per la libertà e la democrazia.­­” È la maggioranza dei turchi a pensarla come lei? Sicuramente no, ma, come ha detto A., citando Margaret Mead: “Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi ed impegnati possa cambiare il mondo. In verità, è l’unica cosa che è sempre accaduta.” E se la Turchia dei cittadini coscienziosi ed impegnati si sta unendo, anche l’Italia della società civile si sta mobilitando perché ignoranza e paura non distruggano i valori democratici, la pace e la fratellanza costruiti a partire dalla Resistenza.

Il lungomare di Bostancı si riempie ogni fine settimana di gente che corre, passeggia, pattina, va in bicicletta o a pesca. Bostancı è una delle zone più moderne di Istanbul, una delle roccaforti della laicità turca – foto Delizia Flaccavento

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