venerdì, Novembre 22, 2024
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Venezuela, Adolfo fa il trafficante

Storie dal confine tra Venezuela e Colombia

Un camion va in retromarcia verso il confine portando dietro un sacco di gente. «Chi sono quelli?», chiede uno. Sono venezuelani senza passaporto, catturati e riportati indietro.

Quando attraversi il ponte Bolivár mille voci ti parlano di affari, bus, hotel, sottovoce o gridando ridono, ti chiamano: «Papi, papi, mentre morenos e negros in canottiera e jeans muovono le braccia per farsi notare o con le facce furbe guardano sorridenti zaini e valigie. Dal Venezuela ci vuole un minuto a piedi per arrivare in Colombia. Partendo da San Antonio del Tachira basta attraversare un ponte di appena cento metri e si è dall’altra parte, in Cucuta, dove l’unica cosa da fare è una fila di quattro ore alla dogana per un permesso di tre mesi. Quest’anno, in sei mesi, poco meno di un milione di venezuelani lo ha attraversato. La maggiorparte poi migra verso il Perù, un viaggio di due mila chilometri da fare in aereo, in bus, in autostop, camminando.

A chi non ha documenti quel pezzo di cemento sembra una montagna. Per problemi del genere ci sono apposta le persone come Adolfo, secche e alte, messe dentro un giaccone dell’Harley Davinson di tre taglie più grande, che si avvicinano piano e dicono in confidenza: «Trocha, trocha». Adolfo è un ragazzo di ventiquattro anni con due figli e fa il trafficante di migranti. Parla scocciato, seduto sul marciapiede, e stringe le ginocchia fra le braccia sotto un cielo nuvoloso di venerdì mattina: «Faccio ‘sto lavoro da quindici giorni, dalla mattina alla sera, e passo la notte per strada». Dietro di lui il libertador Simon Bolivar si gode soddisfatto i suoi dieci murales colorati, mentre la gente gli passa davanti e va via dal paese: «La trocha è un sentiero di montagna – spiega Adolfo – ma noi chiamiamo così il passaggio in barca attraverso il fiume».

«E quanto costa?».

«Sono trenta mila pesos colombiani – risponde –  dieci dollari, però alla fine puoi pagare con qualsiasi cosa che ha questo valore. Un cellulare, i tappetini della macchina, in base a come ci si accorda». I trafficanti accettano tutto tranne i bolivares, i soldi venezuelani, che ogni giorno valgono sempre meno, travolti dalla inflazione più alta del mondo nel 2017. Subito dopo i controlli di frontiera parte la strada principale di San Antonio del Tachira, una lezione di economia internazionale a cielo aperto dove i commercianti fanno da professori: tutto ha almeno tre prezzi, dodici uova si pagano in milioni di bolivares, i clienti tirano dalle tasche mazzette di soldi legati con elastici, i biglietti del bus costano meno del mangiare perché la gasolina è più economica dell’acqua in bottiglia.

«E tu perché non emigri?». Adolfo ci pensa bene, una pioggerella fina gli bagna il giubbotto, si guarda le scarpe bianche consumate e poi dice: «Perché no, avrei dei contatti in Colombia», ma non è convinto. In fondo lui un lavoro ce l’ha e anche se non dice quanto guadagna si capisce che la sua paga va sopra i cinque milioni di bolivares, quasi un dollaro, lo stipendio minimo al 17 agosto.

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