Sclerosi e cannabis terapeutica: c’è qualcosa che non va
La storia di Loredana: quando la cannabis ti aiuta a resistere
“A Messina lavoravo per un concessionario, poi ho aperto un ufficio tutto mio nel 2003. Da consulente sono diventata responsabile”.
Una storia che sembra iniziare bene, ma poi, il mondo, a Loredana, è crollato addosso.
“Una forte scossa elettrica al cervello, nei giorni a seguire parlavo biascicando, non riuscivo a camminare, la parte destra del mio corpo si era addormentata. Sono stata ricoverata, 18 giorni di ospedale”.
“Si parte con una puntura lombare ma non si riesce ad aspirare liquido midollare e allora me la fanno di nuovo: la mia gamba destra sussulta. Alla terza iniezione riescono a prendere il liquido, la diagnosi è chiara: sclerosi multipla”.
“Chiudo l’attività. Il primo medicinale si chiama Rebif. Tre volte settimana, 1794 euro al mese per 12 punture. Le spese fortunatamente sono coperte ma gli effetti collaterali sono devastanti: restringimento dei muscoli, febbre, tremore, non riuscivo a parlare. Per chiamare mio marito dovevo usare il piede, ad agosto dormivo con tre piumoni. Mi sentivo come se fossi su una vespa, nuda, d’inverno. Mi imbottivo di tachipirine, sfiorando l’assuefazione. Nel 2014 ho una forte ricaduta e, per colpa del Rebif, devo andare da una psichiatra che mi dà delle compresse simili a degli ansiolitici, ma non riuscivo neanche ad aprire gli occhi la mattina. Voglio riprendermi da sola, mi dico, con le mie forze”.
Ad un certo punto cambiano i medicinali, ma purtroppo non la storia: “Tecfidera, 1980 mensili, spese ancora coperte fortunatamente”.
Inutile dirlo, effetti collaterali a tempesta, ancora una volta: “Sono tre: rossore della pelle, tachicardia, e qualche ‘colichetta’ allo stomaco. Rossore alla pelle non ne ho mai avuto, tachicardia quasi fino a morire e più che colichetta è giusto chiamarli dolori ulcerali, amplificati dal fatto che già avevo problemi gastrici di mio. Non è finita peggio solo perché mangiavo come una vichinga. Questo medicinale, infatti, richiedeva grandi assunzioni di grassi: solo per colazione mangiavo due cornetti, due cappuccini e 7 fette di pane e nutella. Per pranzo e cena lascio spazio alla vostra fantasia. Mi sono ritrovata con il fegato triplicato, cisti ad entrambi i reni: sembravo incinta di 8 mesi, intanto dormivo tre ore di notte, ero nervosa e ho finito per litigare anche a casa. Alternative però non ce n’erano: una mia amica che mangiava meno di me è finita in coma”.
In tutto questo abbiamo dimenticato, a dire il vero volutamente, un dettaglio: Loredana faceva e fa uso di cannabis per placare i dolori, costretta a comprarla nel mercato nero.
Ma la cannabis per uso terapeutico è legale, direte voi.
Continuiamo con la nostra storia e ci renderemo presto conto che c’è qualcosa che non funziona: “All’ospedale di Messina ritorno nel 2017, era da anni che gli parlavo di cannabis terapeutica così mi viene prescritto il Bedrogan (19-22% thc)”.
Prima domanda da un milione di dollari: esattamente come venivano coperti gli altri medicinali anche la cannabis viene pagata, no?
No.
“Mi danno 1,5 grammi al mese, lo pago 53 euro per 60 cartine da 0,025 mg. Devo bollire le cartine e assumere per decozione. Ma con 0,025g, una di queste cartine bollite cosa mi dovrebbe fare? Mi dicono però che più di così non possono darmi”.
Loredana, che come avrete capito non è proprio al massimo delle sue condizioni, decide dunque di provarle tutte e vola a Torino: “Restando per diversi giorni senza erba arrivata all’ospedale di Torino finisco in terapia antalgica, quella per la cura del dolore. Mi prendono subito in cura e mi danno cartine da 200mg per 12g al mese, suggerendomi di assumerle sì per decozione ma con l’aggiunta di grassi tipo latte di soia”.
Seconda domanda da un milione di dollari: Loredana avrà chiesto cosa ne pensano a Torino del grammo e mezzo mensile di Messina? “Certo, mi hanno risposto che 1,5g al mese per curare i dolori della sclerosi non è classificabile nemmeno come omeopatia”.
Il problema per Loredana persiste, aspettare che l’erba arrivi da Torino è difficile, passa troppo tempo e lei non regge i dolori, così è costretta, ancora, a rivolgersi al cosiddetto mercato nero e quindi alla mafia, con tutti i rischi (anche salutari) che questo comporta. “Fortunatamente – continua – in una farmacia a Siracusa mi hanno dato il contatto di Giuseppe Brancatelli che oltre al supporto morale mi ha insegnato a preparare l’olio di cannabis. Cinque gocce al bisogno placano il mio dolore”
Terza domanda da un milione di dollari: ma Torino e Messina sono entrambe in Italia? Eh sì, perché se sono nello stesso stato dovrebbero rispettare le stesse leggi.
E allora perché a Messina l’erba per alleviare i dolori la paghi tu (a differenza di tutti gli altri medicinali e dei loro effetti collaterali gentilmente offerti) mentre a Torino paga la regione? E perché in Sicilia le dosi “non sono classificabili nemmeno come omeopatia” e in Piemonte vanno bene?
Che poi, cara Sicilia, se vuoi rispettare leggi a parte fai pure ma almeno dei cittadini prenditi cura allo stesso modo.
“Dovremmo passarci un po’ tutti la mano sulla coscienza” – interviene il marito, Carmelo, mentre Loredana prosegue così: “sappiamo di avere un fardello molto grande addosso e sappiamo di dovercelo portare, però vorremmo farlo col supporto morale e psicologico che questa pianta ci dà. Noi malati vorremmo questa cura per cercare di stare bene, non per passarci il tempo o chissà per quale scopo”.
“Funziona”.