giovedì, Novembre 21, 2024
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Vite precarie, pagine precarie

Errori di stampa è l’associazione (e il sito) fondata da un gruppo di giovani giornalist… “Giornalisti? Ohibò! Come vi permettete di chiamarvi giornalisti se non avete una tessera! Un contratto! Un…”. Già. Che cos’è un giornalista, oggigiorno? Oltre che un precario?

Dimenticate quelli che dicevano che “il giornalismo è il mestiere più bello del mondo”. Dimenticate il reporter fi­gura romantica e mitologica in giro per cinque continenti a cambiare il corso della storia. Dimenticate Monta­nelli, Biagi o D’Avanzo. L’Italia di oggi non è più un paese per giornalisti. O almeno non lo è più per giornalisti di quel tipo.

Oggi la situazione è molto cambiata e fare il cronista, oltre a non essere più così romantico, è diventato simile alla lotta per la sopravvivenza nella giungla.

Perché i giornalisti precari o i free lan­ce sono trattati alla stregua della mano­valanza che viene assoldata nei campi del profondo sud dal caporalato mafioso.

Perché ci troviamo di fronte a un’intera generazione che pur avendo investito in anni di formazione e gavetta in decine di redazioni di tutto il paese, è costretta a dover fare i conti con un precariato siste­mico e logorante, che non permette di fare progetti né di vedere vie di uscita per il futuro.

Perché le cifre che vengono pagate per un articolo, un servizio o un video sono umilianti.

Un tempo si parlava degli abusivi, che una volta entrati in redazione, dopo aver consumato le suole per qualche anno ed essersi fatti le ossa con “la nera”, avreb­bero raggiunto l’agognata stabilità e la garanzia di poter svolgere un mestiere delicato e fondamentale per la vita del paese con le dovute garanzie e tutele. Oggi no, non ci sono tutele, né garanzie né dignità.

Ed è per questo che nel giro di pochi anni in tutta Italia molti colleghi si sono uniti in coordinamenti e associazioni di giornalisti precari. Come è successo an­che nella capitale circa un anno e mezzo fa con Errori di Stampa. Un pugno di cronisti per lo più attivi sulla cronaca cit­tadina, che un giorno decidono di metter­si insieme per cominciare a denunciare quanto sia diventata insopportabile la condizione di sfruttamento di centinaia di forzati in tutta Italia.

Un anno e mezzo di lotte durante il quale il coordinamento ha stilato un ma­nifesto per rivendicare la necessità di avere un equo compenso, di garantire fe­rie, malattie e maternità anche a chi non gode di un contratto stabile, per ottenere meritocrazia e giustizia attraverso la co­stituzione di bacini di giornalisti precari. E poi l’esigenza di fare un censimento per monitorare in maniera precisa quali fossero i numeri di questa voragine.

Un’indagine che ha portato alla luce cifre drammatiche, presenta­te il 25 aprile anche a Perugia al festival internazionale del giornalismo (dopo essere state divulgate per la prima volta in una conferenza stampa lo scorso febbraio a Roma).

L’auto-censimento ha rivelato che solo nella capitale ci sarebbero circa 2000 giornalisti precari (colleghi che lavorano a borderò, attraverso finte partite iva e co.co.pro).

Duemila, una cifra finanche troppo cle­mente, considerato il fatto che l’indagine non è riuscita a fare una stima precisa di tutte le persone impiegate negli uffici stampa.

Ma oltre al numero, quello che più deve far pensare sono i compensi.

I “tariffari della vergogna” li hanno chiamati i ragazzi di Errori di Stampa.

Cifre che in media si attesterebbero sui 25 euro lordi per articolo.

Per arrivare a 1000 euro, provocatoria­mente, il coordinamento ha calcolato che “un mese non basta”.

Non basterebbe un mese, lavorando tutti i giorni compresi i festivi e quando si è malati, per arrivare a 1000 euro.

Ci vorrebbero 40 giorni per raggiunge­re a una cifra che seppur ancora troppo al di sotto della decenza, viene da molti in­dicata come la soglia minima della so­pravvivenza.

 

La clausola maternità in Rai

 

Perché di questo si tratta. Di sopravvi­vere facendo più di un la­voro per potersi garantire il diritto a fare quella che si sta trasformando sempre di più in una pro­fessione per soli ricchi.

Oltre al dramma emerso grazie al cen­simento, il coordinamento romano si è incaricato, primo in Italia, di portare alla luce anche un altro scandalo.

Quello della clausola maternità in Rai, che dietro cela non soltanto una norma sessista e retrograda, ma ancora una vol­ta l’offesa dell’abuso di finti contratti mascherati con le partite iva.

La nuova frontiera di uno sfruttamento che pur non volendo garantire ai giorna­listi il minimo indispensabile dei diritti dovuti a chi di fatto svolge un lavoro su­bordinato a tutti i livelli, ne pretende i doveri. Senza aver garantito nemmeno l’acces­so nella più grande azienda editoriale del paese, all’interno della quale i precari continuano ad entrare con il pass per vi­sitatori.

Oggi il Coordinamento si fa carico di garantire un punto di riferimento per tutti i colleghi precari, sfiduciati rispetto agli organismi di categoria che per anni si sono voltati dall’altra parte rispetto al problema del precariato.

Ultimamente l’interesse sembra essere maggiore, ma sempre condizionato a squallidi do ut des che spesso legano a doppio filo alcuni colleghi garantiti agli editori, sempre più feroci nel falcidiare la categoria per aumentare i profitti.

E’ di questi giorni la notizia che solo nel 2011 gli stati di crisi hanno portato al licenziamento 637 giornalisti: 469 dei quotidiani, 124 dei settimanali e 44 delle agenzie.

A rivelarlo, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino.

Cifre drammatiche che ovviamente non tengono conto dei precari.

E tutto questo mentre grandi aziende editoriali del paese nascondono dietro il miraggio del “citizen journalism” nuove forme di sfruttamento.

Con la promessa della visibilità o peg­gio ancora di un contratto che non arrive­rà mai.

Oggi occorre ridare dignità a una pro­fessione che ormai anche nelle classifi­che mondiali viene indicata come una delle meno ambite (secondo uno studio del “careerCast.com”, pubblicata dal Wall Street Journal, fare il giornalista si trova al 196° posto tra le 200 professioni censite, dietro solo i taglialegna, gli ope­rai delle piattaforme petrolifere, i lava­piatti e i soldati di professione).

Perché molto presto a farne le spese non saranno solo i giornalisti precari, ma tutto il sistema della comunicazione.

E soprattutto la libertà d’informazione, che senza la giusta retribuzione di chi la garantisce giorno per giorni, diventerà solo un guscio vuoto e inutile, sempre più rarefatta e esclusiva.

 

Scheda

LE CIFRE DEL PRECARIATO

Giornalisti precari in Italia: 25mila (i 2/3 del totale)

Il 62% di loro denuncia un reddito in­feriore ai 5000 euro l’anno

2000 sono i giornalisti precari censiti nella capitale

Media retribuzione ad articolo: 25 euro lorde (per arrivare a 1000 un giorna­lista precario dovrebbe lavorare 40 giorni)

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