L’omicidio del magistrato Montalto
Trentacinque anni fa veniva assassinato il magistrato che fiutava i soldi dei boss
Sostituto procuratore di Trapani, a partire dal 1971, svolse indagini sui clan trapanesi dediti al traffico di droga, al commercio di armi, alla sofisticazione di vini, alle frodi comunitarie e agli appalti per la ricostruzione del Belice, e sui collegamenti tra mafia trapanese e Cosa nostra americana. Era la memoria storica della procura di Trapani. Fiutava i soldi dei boss nei conti bancari e da questi scopriva le attività dei mafiosi e le relazioni con l’imprenditoria e la politica. Lavorava a stretto contatto con le forze dell’ordine in strada. Fu eliminato a colpi di pistola proprio davanti la sua villetta a Valderice. L’auto non era blindata e il magistrato non possedeva nemmeno la scorta.
Il corpo venne ritrovato la mattina del 26 gennaio sui sedili della sua auto. Aveva quarant’anni e lasciava la moglie e tre figlie. Entro poche settimane, si sarebbe dovuto trasferire, su sua richiesta, in Toscana. Era la prima volta che la mafia trapanese uccideva un uomo dello stato. Indagava anche ad Alcamo, convinto che vi fosse una delle più grosse raffinerie siciliane di droga del mondo. E infatti c’era, ma verrà scoperta dopo. Si racconta che Mariano Agate, capo mandamento di Mazara del Vallo, nel 1982 in carcere, passò un giorno in un corridoio e rivolgendosi a un mafioso alcamese, Giuseppe Ferro, disse: “Ciaccino arrivau a stazione”.
Dal blog Senza memoria, viaggio nella storia dimenticata le parole di sua figlia Marene: “Posso dire che aveva quarantuno anni. Era nel fiore della sua vita e la amava in tutte le sue forme. Amava la musica. Il mare e la libertà, di pensiero, di parola, di fare il proprio lavoro con scrupolo e dedizione, ha pagato il prezzo più alto. Lo ha pagato per tutti, anche per quelli che girano la testa e tacciono”.
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