sabato, Novembre 23, 2024
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Perché ce ne siamo andati

“Lavoro? Qui, è sfruttamento. E alla fine ti passa la voglia”

“Non è vero che l’Italia non ti offre possibilità di lavoro. Non proprio, almeno. L’Italia ti offre ottime possibilità di lavoro sfruttato, sta a  te decidere se ci stai o no”. Lo dice Walter, diciannove anni, cuoco a Southwold, paesino a un’oretta abbondante da Ipswich e a tre da Londra; lavora lì grazie ai contatti della sua scuola, l’alberghiero, ma “quando ho lavorato in un ristorante a Catania per l’alternanza scuola-lavoro sgobbavo quattordici ore al giorno e non mi pagavano. C’è tendenza a sfruttarti, tutto qui”.

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Insieme a lui, in Inghilterra, anche se non si conoscono, c’è Laura, fa l’aupair (ragazza alla pari) e sta a Wordsworth, che da casa di Walter dista meno di mezz’ora. Lontani chilometri e chilometri da casa, Walter e Laura, non vedranno l’ora di tornare e riabbracciare l’Italia. “Casa mi manca un sacco, ma io voglio girare il mondo per conoscere ogni tipo di cucina, bisogna viverla la cultura di un paese, non studiarla”. “Mi manca tanto casa, la famiglia, ma voglio rimanere qui dato che prenderò un certificato che mi permetterà di fare l’università a Londra”.

A questo punto vi presentiamo anche Ilenia, lei di anni ne ha diciotto e studia fisica alla Sapienza. Ilenia ha qualcosa in comune con Laura e Walter, nonostante che Roma e Londra siano due mondi separati e distinti. “Non dimenticherò mai la terra da cui provengo, ma non m’immagino una stabilità in assoluto. La Sicilia per me sarà sempre un punto di riferimento, ma se ci si vuole orientare in un ambito come la ricerca scientifica bisogna spostarsi non solo dalla Sicilia ma anche dall’Italia”. Volere è potere. O forse no. Si vuole, si vorrebbe, ma si deve pensare anche a se stessi e quindi non si può. “Sono andato a Milano – dice Alfio – perché l’organizzazione dell’università di Catania è veramente pietosa e l’ho pagato sulla mia pelle, e inoltre perché a Milano città e università forniscono occasioni di lavoro certo superiori a Catania”. Lui, se potesse, tornerebbe: ma lavoro non ce n’è e quindi si resta lassù, sotto il cielo grigio del nord, con tanta nostalgia ma poche alternative.

Roberta e Dario li abbiamo lasciati per ultimi. Lei sogna di collaborare con le Ong e perciò studia a Trieste, che come città di confine la può aiutare di più. Dario è andato lontano, ma lontano lontano, in Romania, a fare medicina. Là i test sono meno difficili e si fa molta più pratica e meno teoria. “Per noi italiani equivale a studiare cose a memoria e poi fare il test”. Dario però tornerebbe volentieri ad aprirsi uno studio qui. Roberta, grazie alle Ong, seppur da lontano, forse la Sicilia l’aiuterebbe. Amarezza. “Fuga dei cervelli” è un discorso trito e ritrito. E allora tritiamolo e ritritiamolo ancora, perché di questo passo qui rimarremo solo io, tu, Turi Sghei e n’autri sei. Sempre che a Turi Sghei non passi la voglia di essere sfruttato ed emigri al Nord insieme ai nostri lavoratori e studenti fuorisede.

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