Accursio Miraglia e l’antimafia rossa
Un giorno del settembre 1946 migliaia di contadini siciliani occuparono le terre incolte. Li guidava Miraglia. I mafiosi lo uccisero pochi mesi dopo
Sia che ci fosse il Duce e la Monarchia o gli Americani e poi i nuovi governanti e la Repubblica visse queste diverse situazioni storiche non dimenticando mai che la sua storia doveva essere quella di aiutare i deboli e gli sfruttati, gli esclusi e i disgraziati, di colpire, inevitabilmente, gli interessi e i privilegi dei forti e dei padroni di sempre.
Diplomatosi ragioniere, trovò subito lavoro in banca presso il Credito Italiano di Catania; dopo un anno fu trasferito a Milano e qui entrò in contatto con il gruppo anarchico di Porta Ticinese e svolse un’intensa attività politica e sindacale schierandosi apertamente a fianco degli operai in lotta e, inevitabilmente, fu licenziato “per contrasti di natura politica”.
Tornò a Sciacca e si diede da fare nell’attività della conservazione del pesce e del commerciò del ferro e dei metalli in genere.
Era riuscito ad allontanare e ad abbandonare lo stato di difficoltà che, talvolta, aveva avvertito da bambino e sembrava desiderasse fortemente che quello stato d’indigenza non dovesse essere sofferto da nessuno.
Padre Michele Arena trovò sempre in Accursio Miraglia un formidabile sostegno nella ristrutturazione di una parte dell’orfanotrofio. Puntualmente garantì il rifornimento di beni di prima necessità per tutte le orfanelle del “Boccone del povero”.
Fu nominato amministratore del teatro “Mariano Rossi” e in questa veste il destino volle che incontrasse Tatiana Klimenco, la donna della sua vita. Di famiglia aristocratica russa imparentata con lo zar, costretta a cedere tutte le proprietà, a vendere agli inglesi i gioielli pur di mettersi in salvo. I fuoriusciti giunsero in Italia trovarono il modo di tirare a campare formando una compagnia di avanspettacolo con musiche e danze russe da portare in giro nei teatri italiani.
Agli inizi degli anni trenta la compagnia si esibì al teatro Massimo di Palermo.
“Mio padre andò a Palermo, vide questa compagnia, vide pure mia madre e scritturò la compagnia per farla venire a Sciacca. E quando vennero a Sciacca “sequestrò” mia madre e non la fece più tornare con la compagnia. S’innamorarono l’uno dell’altra e così mia madre e mia nonna si fermarono qui”. (Intervista a Nico Miraglia. Ebano, 2005)
Allo scoppio della seconda guerra mondiale Accursio Miraglia si adoperò per alleviare le difficoltà di tutti; non disdegnò di fornire di nascosto agli artigiani quei materiali ferrosi e metallici in genere che, a causa della guerra, venivano rigorosamente requisiti.
Quando arrivarono gli Alleati Accursio approdò al Partito comunista e alla Confederazione Generale del Lavoro, istituendo a Sciacca la prima Camera del Lavoro della Sicilia ed il CLN locale.
Entrò in rotta di collisione con i latifondisti che boicottavano l’ammasso del grano e allora Accursio non fu più il buon benefattore dei poveri, ma il nemico da abbattere.
Ecco, allora, che si capisce bene la frase “Meglio morire in piedi, che vivere in ginocchio” tratta dal romanzo “Per chi suona la campana” di Ernest Hemingway che Accursio ricordava sempre a se stesso e agli altri.
Ecco, allora, la liturgia delle minacce, delle intimidazioni e dei consigli più o meno interessati a farsi da parte, a lasciar correre, a pensare, piuttosto, alla famiglia.
Accursio Miraglia visse questo scontro in maniera totale, anche come membro della Commissione per l’individuazione delle terre da assegnare ai contadini a prescindere dalla loro appartenenza politica.
Il figlio di Accursio mi ha raccontato che a un contadino comunista che si lamentava del fatto che al sorteggio avrebbe pure partecipato un contadino fascista, rispose che non importava in quel momento essere comunisti o fascisti, ma semplicemente e ugualmente contadini.
SCHEGGE
LA PARTIGIANA GRAZIELLA
Numerosi cittadini catanesi parteciparono alla Resistenza, i più fortunati tornarono e raccontarono ai familiari l’incredibile, drammatica ed esaltante avventura della Liberazione.
Tanti altri non tornarono e a noi tocca il dovere della Memoria, l’obbligo di non dimenticare.
Tra gli altri, Graziella Giuffrida, volontaria nelle Squadre di Azione Partigiana.
Era nata a Catania, a S. Cristoforo, nel 1924; appena ventenne emigrò al nord a fare la “maestrina” dalle parti di Genova.
La primavera del 1945 era appena cominciata, ma per Graziella il 24 marzo sarebbe stato l’ultimo giorno e non solo di primavera.
Tutto accadde quasi per caso: per caso lei prese quel tram, per caso su quel tram c’erano dei tedeschi. Lei bella e giovane, loro stronzi e basta cominciarono ad importunarla e lei reagì e loro, stronzi e vigliacchi, le misero le mani addosso e addosso le trovarono una pistola.
Gli stronzi e vigliacchi l’arrestarono e la torturarono e la violentarono e poi gli stronzi e vigliacchi e, ora anche assassini, l’ammazzarono e la buttarono in un fosso.
Il suo corpo e quello di altri quattro giovani partigiani furono ritrovati a Fegino, in val Polcevera, qualche giorno dopo la Liberazione.
Anche suo fratello Salvatore fu preso ed ammazzato dai tedeschi e a Catania, a casa rimase la madre che, avendo saputo della tragica fine di Graziella e Salvatore, impazzì dal dolore.
Sul fronte di una casa da molti anni ormai senza vita, tra via Bellia e piazza Machiavelli, resta una lapide “Alla libertà e alla patria offrì la giovane esistenza nella guerra di Liberazione”.
Vorrei sapere come e perché i nostri Amministratori ancora non abbiano pensato d’intitolare a Graziella e Salvatore Giuffrida una via o una piazza. Risulta dalla testimonianza di Domenico Stimolo che nel gennaio 2003 furono consegnate all’Amministrazione comunale 5000 firma per intitolare tre vie a tre martiri della Resistenza, tra cui Graziella Giuffrida. E allora?