Va in scena la rivoluzione
Come si esprime una donna muta protagonista di un’opera lirica? La regista Emma Dante ha pensato che la sua Fenella, personaggio principale de La Muette de Portici, all’Opéra Comique di Parigi dal 5 aprile, debba parlare attraverso una sciarpa rossa
Troppo semplice per lo spettatore pensarla come fil rouge che dà unità ai cinque atti di quest’opera dalla struttura complessa. E in verità sono tanti i simboli ne La Muette de Portici di Emma Dante.
“Nel libretto originale ci sono milioni di ambienti – spiega la regista seduta in platea dell’incantevole sala fine-ottocentesca del teatro parigino, durante la pausa delle prove – si passa dal mare al giardino del palazzo reale, e poi si va al Vesuvio: questi numerosi cambi di scenografia sono difficili da rappresentare a teatro. Quindi ho scelto di lavorare sul simbolismo attraverso certi elementi, come per esempio le porte della città. Queste rappresentano un dentro e un fuori, la gente le attraversa e porta con sé i propri sentimenti, la propria storia. Dietro queste porte si nascondono le cose intime, i segreti. È il dentro e il fuori nella rivoluzione di Masaniello, ed è il dentro e il fuori nella dominazione degli Spagnoli che si installano nella città e ne rubano la cultura”.
E infatti è proprio la rivoluzione che La Muette de Portici racconta. Una rivoluzione scatenata fortuitamente dall’ingenua e povera Fenella. La muta viene sedotta da Alphonse, il figlio del viceré, che sposerà poi la ricca principessa Elvire. E contro questa offesa alla donna, intesa come offesa al popolo tutto, sarà Masaniello, fratello di Fenella ferito nell’orgoglio, a invocare la rivolta degli umili. Questa è la storia che ha affascinato Emma Dante.
“E’ il richiamo alla dignità dell’uomo – racconta la regista siciliana – all’indignazione nei confronti di un potere che opprime, che distrugge, che ruba la cultura di un popolo”.
Quella in scena nel teatro di Emma Dante è una nobiltà imbambolata, immobile, senza vita come le bambole, appunto. E infatti, non a caso, nel primo atto, quello in cui la costumista Vanessa Sannino ha fatto un lavoro eccezionale, i soldati ballano con quattro bambole e le donne sono spogliate di una buona parte del loro abito e ostentano solo lo scheletro della crinolina.
“Questa nobiltà – continua Dante – sarà contrastata dalla povertà che è il mondo di Masaniello, ovvero il mondo della vitalità, o anche il mondo dei valori, della morale che l’altra categoria ha perso perché si è installata in un mondo che non gli appartiene e a cui sta rubando tutto”.
Dopo la Carmen alla Scala di Milano nel 2010, Emma Dante, regista di teatro sperimentale, torna quindi alla lirica con La Muette de Portici e lo fa in un teatro che ama la sperimentazione, l’Opéra Comique. È comunque una sfida per una regista che spinge quasi fino all’impossibile le richieste ai suoi attori. Emma Dante li maltratta e loro amano farsi maltrattare. Per la Muette gliene sono arrivati alcuni dalla Francia.
Il gruppo di attori dell’opera è infatti composto da alcuni dei suoi fedeli stabili a Palermo e da un gruppo di francesi che lei ha cominciato a conoscere la scorsa estate, durante due laboratori nel capoluogo siciliano.
Il risultato è una equipe già affiatata, che nel passaggio della tarantella al mercato, ad esempio, riesce a mettere in scena una danza per certi versi improvvisata, in cui la coreografia non è un imperativo, come Emma Dante comanda.
Poi c’è Elena Borgogni, che riesce a far parlare questa muta, Fenella, con i suoi movimenti convulsi e con le espressioni del volto. Come quella, alla fine tragica dell’opera, in cui diventa statua in una teca votiva (mentre nell’opera originale si getta dal Vesuvio), martire immolata di una rivoluzione a cui nemmeno pensava, lei ingenua innamorata, sedotta e abbandonata. Nel suo volto deformato e con bocca spalancata sembra urlare tutta la voce che non ha.
Per i cantanti lirici, per queste “creature fragili” come li chiama Emma Dante, il lavoro non può che essere differente. “La sfida è fare recitare i cantanti – spiega – ecco ora è passato Masaniello”. La regista smette di parlare e per qualche secondo osserva Michael Spyres, il tenore nel ruolo del capo popolo, che si aggira nella sala dell’Opéra Comique.
“Ecco – continua – secondo me lui fa un personaggio bellissimo, a parte la voce, che è la sua caratteristica. Lui è anche un grande interprete e fa questa follia di Masaniello, riesce a essere tenero, violento, aggressivo e romantico contemporaneamente. Ma quando chiedi ai cantanti di fare un movimento difficile mentre stanno cantando gli chiedi molto perché li metti in difficoltà. E quindi l’interpretazione che chiedi a un cantante gli deve essere di protezione sennò la voce esce male. Bisogna stare molto attenti, bisogna essere molto delicati. Poi ci sono alcuni cantanti come Michael che si lasciano andare, o come Kauffman per la Caren. Con loro infine ho avuto attori tra le mie mani”.
La Muette de Portici, opera del 1828 con la musica di Daniel-François-Esprit Auber, è frutto di una collaborazione tra l’Opéra Comique di Parigi e Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles – suoi infatti l’Orchestra e il Coro diretti da Patrick Davin – dove sarà rappresentata, a data da destinarsi, dopo il debutto parigino. E pare che, proprio alla Muette, il Belgio debba, in parte, la sua indipendenza.
Si racconta infatti che, dopo la rappresentazione il 25 agosto 1830 in onore del cinquantanovesimo compleanno di re Guglielmo I, la platea, catturata dalla storia di ribellione del popolo guidato da Masaniello, si riversò nelle strade della città incitando alla rivoluzione e rivendicando l’indipendenza che arrivò il 4 ottobre dello stesso 1830.
E allora cosa può accadere nel 2012, in una Francia in fermento per le elezioni presidenziali? “Non so se è più il tempo della rivoluzione – ammette Emma Dante – non so se vedendo un’opera lirica, poi si scenda in piazza. Siamo cambiati. Scriviamo i blog, facciamo altre cose”. Qui si ferma e sorride ironica. Poi continua: “Però è bello quando il teatro ti porta a una reazione vitale nei confronti del mondo. Esci dal teatro e sei cambiato”.
E allora forse il mondo istituzionale di Palermo, la città della regista, non ha mai visto un suo spettacolo perché nella lunga e densa carriera di Emma Dante, nulla è cambiato nel rapporto con chi gestisce il capoluogo siciliano.
“Non succede il miracolo”, dice lei. Emma Dante porta i suoi spettacoli in tutta Italia, in Francia, in Belgio, è applaudita e amata ovunque, tranne che nella sua Palermo. Troppo vero per lei il “nemo propheta in patria”. E ciononostante resiste. “Lavoro tanto in Francia, per fortuna c’è chi crede in me. Ma lasciare Palermo no, non ho motivo. Magari penso di vivere un po’ qua e un po’ là, e già lo faccio”.
Non a caso, proprio a Palermo Emma Dante farà il suo primo film, finanziato dal ministero per i Beni e le Attività Culturali, dalla Svizzera e dalla casa di produzione Vivo Film.
“In estate preparerò un film sulla strada di Via Castellana Bandiera. È la storia due donne che guidano una macchina, che si incontrano in un vicolo molto stretto e nessuna delle due vuole passare l’altra”.