giovedì, Novembre 21, 2024
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“A Palermo la mafia militare, qui quella economica”

Lo disse Falcone, molti anni fa. Trapani, la provincia delle logge segrete, del brulichìo di banche, dei potentissimi finanzieri Salvo. E adesso? Che cos’è cambiato nell’estrema Sicilia, tradizionale regno di Cosa Nostra e P2?

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C’è una immagine che aiuta subito a rendere chiaro come la provincia di Trapani sia “scrigno” di inconfessabili segreti. L’immagine “educativa” in tal senso è quella scattata a Castelvetrano, cuore del Belice trapanese, era il 5 luglio del 1950, siamo in via Mannone, cortile De Maria. Riverso per terra, faccia rivolta sul selciato, c’è il corpo senza vita del bandito che era il terrore delle popolazioni siciliane dell’epoca, Salvatore Giuliano. Una foto che ancora oggi fa il giro del mondo.

Il delitto di Salvatore Giuliano e la stessa vita del bandito di Montelepre sono il primo mistero siciliano del dopoguerra e ancora oggi se ne sentono gli strascichi. Certamente quell’immagine di quel cadavere senza vita riverso a terra nel cortile De Maria fu frutto di una sceneggiata, una messinscena organizzata dalla mafia e tollerata dalle istituzioni. La prima di tante altre “fiction”, ma non da teleschermi.

Trapani subito dimostrò le sue capacità a offrire gli spazi giusti per questi inciuci criminali. Castelvetrano era già la città di Francesco Messina Denaro, il “patriarca” della mafia belicina, che subito guadagnò “galloni” nel campo di Cosa nostra, quando don Ciccio ufficialmente non era nessuno, e Bernardo Provenzano era già un latitante, era quest’ultimo, e non l’altro, a recarsi a trovarlo: guidando la sua 500, Binnu, il “padrino” di Corleone giungeva a Castelvetrano, lui al cospetto di Messina Denaro, e non viceversa.

Oggi Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993, figlio quasi cinquantenne di Francesco, nel frattempo morto, in latitanza, nel 1998, è l’erede del padre ma anche di don Binnu. Inciuci e intrecci sono la sua specialità. Ha le mani sporche di sangue e con queste gestisce la nuova mafia, quella sommersa, che fa impresa e le stesse mani che hanno piazzato le bombe per piegare lo Stato verso la trattativa.

La mafia trapanese è cresciuta dal dopoguerra in poi all’ombra di istituzioni gestite da uomini che avevano un compito prioritario, spendere la migliore energia a negare l’esistenza della mafia e a chiamare “sbirro” chi indagava, quasi indicandolo al pubblico ludibrio, come per esempio è stato intercettato a fare l’ex vice presidente della Regione Sicilia, l’on. Bartolo Pellegrino. Inciuci di morte.

Carlo Palermo
Carlo Palermo raccontato da Lucarelli - clicca sulla foto

Il 2 aprile del 1985 in una curva di Pizzolungo i mafiosi, ma non solo i mafiosi, come spesso si sente dire per i delitti eccellenti commessi a Trapani, piazzarono una autobomba che fece strazio di una donna e dei suoi due figlioletti. Erano su una automobile, guidava Barbara Rizzo Asta, portava Salvatore e Giuseppe, gemelli di sei anni a scuola, fecero da “scudo” al momento della esplosione ad una Fiat Argenta sulla quale si trovava il magistrato Carlo Palermo che scortato stava raggiungendo il Palazzo di Giustizia dove da meno di 40 giorni svolgeva le funzioni di sostituto procuratore.

Il pm si salvò, la scorta anche. Salvezza apparente: il magistrato fu preso e portato lontano da Trapani e poi fuori dalla magistratura, era andato a toccare fili ad alta tensione: mafia, politica, affari, traffici di droga e di armi, soldi neri nelle casse dei manager socialisti, aveva osato sfidare il potere che l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi si era costruito attorno. Davanti ai corpi dilaniati dal tritolo, quelli di Barbara e dei suoi due gemellini, l’allora sindaco di Trapani, Erasmo Garuccio, intervistato da Enzo Biagi in diretta tv, disse che a Trapani la mafia non esisteva.

A più di vent’anni da quelle dichiarazioni, quando sono decine le sentenze che certificano in via definitiva l’esistenza della mafia, la cupola regionale e quelle provinciali, la presenza di Cosa nostra nelle istituzioni, l’oramai divenuto ex sindaco di Trapani Erasmo Garuccio sentito in un processo di mafia in Tribunale a Trapani sollecitato dal pm Andrea Tarondo è tornato a dire che per lui quell’affermazione non era infondata. Nessun passo indietro, né mea culpa, “non ho cambiato idea” ha detto rispondendo ad un pm rimasto quasi senza parole. Nel frattempo nel 2001 candidato alle nazionali per Forza Italia nel collegio di Trapani arrivò il figlio di Bettino, Bobo Craxi.

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