Chi è fuori è fuori, chi è dentro è dentro
Cronaca di un doposcuola a Calvairate
Oggi lezione di bici. Ci vediamo al parchetto o giardinetto, purché la “e” si pronunci aperta. Lo spazio verde e marrone dentro la città dove l’autunno è più malinconico che altrove. Se in estate il prato diventa spiaggia dove abbronzarsi, cercare l’ombra o salutare il sole, in autunno si copre di foglie gialle, piume di piccione e pezzi di sogni infranti.
“Parchi rubati ai bambini” scrive il Corriere della Sera in un articolo di qualche mese fa. I ladri sono “sbandati” che dormono o bivaccano nell’area bimbi. Nell’immancabile fotogallery si vedono piedi che fuoriescono dalla casetta colorata, bottiglie rotte sotto alle altalene, non si vedono ma sono narrate feci spalmate “per dispetto” sugli scivoli. Sulla scrivania del sindaco, leggo, c’è un dossier con duecento aree segnalate per degrado e incuria e, immagino, chiusi in casa molti bambini tristi.
Ma noi sfidiamo le cronache, sdegniamo la relazione simbolica bambino-adulto e facciamo girare velocissime le ruote. La sua bici ha un teschio sul sellino e la ruota di dietro sgonfia, la mia ha il cestino e frena poco. C’è un’altra bici che ci gira intorno, una di quelle del bike sharing a flusso libero di cui si è riempita Milano (navigli inclusi), una Ofo gialla made in China, quelle che puoi noleggiare con la carta di credito. Sopra ci impenna un bambino. Io non ho ancora capito come funziona l’app con il QR code e lui spadroneggia con membra d’acciaio e sguardo furente. Però non può tornare a casa da solo da scuola, c’è una circolare del Miur che da questo mese lo impone: “Non saranno prese in considerazione autorizzazioni o liberatorie all’uscita autonoma degli alunni”. C’è anche scritto che “una volta fuori dall’edificio nessun alunno può rientrare, per nessun motivo”. Chi è fuori è fuori, chi è dentro è dentro, la regola d’oro del nascondino diventa un protocollo di sicurezza. Con la paura di essere scoperta mista alla gioia della liberazione, penso alle tendenze all’autoorganizzazione dei bambini descritte da Erich Liesner, uno dei fondatori del movimento infantile comunista nell’epoca weimeriana. Ma in Germania andò a finire che la prassi rivoluzionaria non poteva essere sostituita con l’istruzione rivoluzionaria e i bambini tornarono allo gne gne. Poi a dirla tutta arrivò Hitler.
Distratta dalle teorie di educazione socialista delle masse e dall’avvento del nazismo, non mi accorgo che stanno litigando, il più grande difende il fratello piccolo, qualcuno l’ha spinto, non capisco bene, non mi avvicino, li lascio agire, stanno facendo un’esperienza di lotta, ai giardinetti, che c’entro io? Gli avversari sono un po’ più grandi, tra loro c’è il ladro di bicicletta che mantiene la posizione, sento dire che sono marocchini (me l’hanno già detto che con gli egiziani non possono andare d’accordo), gli altri insultano, le mamme soprattutto, in italiano mai in arabo, e sputano pure, sempre in italiano. Io dico qualcosa, tipo basta, senza voler essere decisiva, non avverto nessun urgenza di farlo, non sta succedendo niente di sbagliato anzi mi sembra sia uno di quei momenti dell’infanzia in cui si decide se l’uomo sarà in seguito un combattente o un imboscato.
Mi viene in mente il racconto di Dino Buzzati, Il borghese stregato, quello dove Giuseppe Gaspari, commerciante in cereali di quarantaquattro anni in vacanza con la famiglia in montagna, si mette a seguire un gruppo di bambini che giocano alla guerra. “Non c’era ombra di compatimento in lui, come negli altri uomini grandi quando si degnano di giocare. Pareva proprio facesse sul serio”. E così si ritrova invischiato nel gioco, in una terra inesplorata a lottare con dei selvaggi, finché uno stregone “incrostato di lebbre e di inferno” esce da un rovo e lo colpisce con una freccia al petto. “Si era messo a giocare coi bambini, credendoci come loro; solo che nei bambini c’è una specie di angelica leggerezza; mentre lui ci aveva creduto sul serio, con una fede pesante e rabbiosa”.
Intanto, felice di essermi salvata dallo stregone e dal pensiero borghese, li vedo arrivare sudati e fieri, pronti per tornare a casa, sta facendo buio. Camminando parliamo di quello che è successo, dell’importanza di difendersi da soli e di capire quale sia il limite, poi cambiamo discorso. L’Egitto si è qualificato ai mondiali, è la prima volta dopo Italia 90. Il Marocco no.
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