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Bergoglio. La scalata ai vertici

“L’unico Signore” del quartiere operaio di San Miguel

È l’ora dell’inizio della liturgia nel Colegio Máximo di San José nella zona di San Miguel, ovest della Gran Buenos Aires, il gigantesco cordone operaio urbano che circonda la capitale argentina. L’edificio principale è classico, sobrio. Non ha lussi o decorazioni artificiose, però è bello e imponente. Si erge nel mezzo di un enorme parco di 50mila metri quadrati. Tra i grandi alberi, il prato curato e il rumore sommesso dell’acqua si sentono voci che cantano: “Un solo Signore, una sola fede, un solo spirito”, un canto corale che va in crescendo.

A guidare la cerimonia c’è il Rettore ed ex capo della Provincia argentina della Compagnia di Gesù, a cui piace moltissimo quel canto. Per molti di coloro che si trovano lì, il rettore è molto più di un semplice rettore. È il leader. Alcuni pensano sia addirittura un santo. E un giorno, non a caso, quest’uomo sarà il primo papa americano della Chiesa Cattolica. “In questa casa c’è un solo Signore”, aveva l’abitudine di dire. Tutti sapevano che non si riferiva a Cristo.

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“Un anno di speranza”. Un manifesto di Bergoglio lungo la Recoleta, due anni dopo la proclamazione come Papa Francesco. Buenos Aires, 2014 – foto Aldo Feroce

“Lo conobbi quando avevo circa dieci anni, all’inizio degli anni Ottanta, e lui era Rettore e parroco della chiesa locale. Più tardi, feci parte della prima generazione di bambini del barrio che presero i voti di sacerdote nel Colegio Máximo”, racconta Eduardo Vallejos, uno del quartiere, nato e cresciuto nel luogo in cui si trova l’insediamento gesuitico e che conobbe l’attuale pontefice molto prima che fosse Francesco.
“Quando arrivò – dice ancora Vallejos – una delle prime cose che fece fu ordinare il controllo della popolazione, un censimento che comprendeva tutto. Come erano formate le famiglie, la realtà economico-sociale di ciascuna”. Informazioni che gli servivano per sapere com’era composta la popolazione, quali erano i bisogni della gente e se c’erano bambini e giovani che sarebbero potuti entrare nella Congregazione. Con questi dati sviluppò un lavoro di “integrazione” nel contesto sociale. Questo modo di svolgere il lavoro pastorale ha comportato un cambio radicale rispetto all’isolamento che aveva caratterizzato la regione fino a quel momento.  La logica della nuova “costola” sociale sarà infatti una caratteristica del profilo religioso di Bergoglio e del suo modo di dirigere: l’applicherà sia nella sua prima tappa di direttore del Collegio, sia quando diventerà arcivescovo e cardinale della città di Buenos Aires. Si rispolverava così un vecchio sistema utilizzato dai gesuiti, che nei secoli della colonizzazione dei territori americani realizzavano censimenti dei popoli originari e, di qui, davano vita alle cosiddette “reducciones”, un lento e paziente processo di integrazione nell’ambito del contesto dominante.

Sub angelo lucis
Verso i primi anni Ottanta la Chiesa attraversava, a livello mondiale, una grave crisi di giovani che volevano farsi sacerdoti. Dal suo incarico di “provinciale” della Compagnia il gesuita Bergoglio decise dunque di realizzare un piano. Tutte le parrocchie e scuole primarie e secondarie sotto la sua orbita dovevano procurare nuove “vocazioni” al Colegio Máximo. “Ogni anno, la nostra scuola doveva mandare uno o due giovani”, spiega un ex studente del Colegio, diplomatosi nel Collegio della Immacolata Concezione della città di Santa Fe, un altro luogo in cui esercitò Bergoglio. Ma alcuni dei novizi di allora ricordano con dolore quella tappa. In una lettera inedita che è stata scritta recentemente da due di loro si legge: “Esisteva una chiara politica di reclutamento dei giovani. Si aveva bisogno di loro per fondare una nuova provincia. Questi giovani sarebbero stati la nuova speranza”. E più avanti: “Il lavaggio del cervello diventò “love bombing” e cominciò in alcuni collegi gesuiti in Argentina”. Il “love bombing” è una forma di manipolazione degli affetti con l’obiettivo di influire nel comportamento. “Come dice San Ignacio, ‘sub angelo lucis’ si approfittò dell’età vulnerabile di quei ragazzi, in realtà poco più che bambini, per fini personali”, dichiara uno degli autori della lettera che preferisce restare anonimo (la citazione in latino di Loyola significa che il male si presenta di solito sotto le spoglie di un “angelo della luce”).
I luoghi principali del progetto, spiega la lettera, erano il Collegio dell’Immacolata della città di Santa Fe, il Salvador di Buenos Aires e i centri giovanili di Trujui (San Miguel-Moreno) nella provincia di Buenos Aires. I giovani cominciavano a essere selezionati quando frequentavano il secondo anno della “scuola secondaria”, avevano cioè intorno ai tredici anni. Secondo la lettera, “non erano ragazzi qualunque”, ma selezionati secondo criteri molto precisi. Si puntava a quei giovani che mostravano caratteristiche di “leadership, simpatia, bellezza o che provenivano da ‘buone famiglie'”.
Attraverso i “ritiri spirituali”, bambini e adolescenti confessavano i conflitti familiari e i dubbi esistenziali tipici dell’età. In quello stato di vulnerabilità ricevevano la proposta di consegnarsi a Dio senza riserve, come unica forma di salvezza. “In quel processo il nome di Bergoglio veniva fatto come quello di un santo in vita che con una certa fortuna avremmo potuto conoscere un giorno”, dice ancora la lettera. Nel giro di poco tempo, il futuro papa poté esibire al resto della Compagnia e della Chiesa i suoi successi. Mentre nel mondo il numero di giovani che aderivano agli studi sacerdotali diminuiva, nella provincia argentina andava crescendo.
L’insegnamento che il gruppo bergogliano impartiva a quell’epoca univa un’esigente dedizione allo studio a una forte repressione affettiva, recita la lettera. Si applicava a oltranza un principio che il credo cristiano attribuisce a Gesù: “Chi si mette all’aratro e poi si volta indietro non è adatto al regno di Dio”. Secondo il Vangelo, Gesù lo disse a un uomo che si mostrava disposto a seguirlo ma gli chiedeva di aspettarlo mentre assisteva al seppellimento del padre appena morto. Gesù gli rispose in quel modo per far capire che il dovere dell’amore verso Dio attraverso la sua persona era superiore a quello per la famiglia. Quello stesso principio si applicava ai novizi del Colegio Máximo. Il dovere verso Dio comprendeva l’ammirazione e la subordinazione alla figura di “padre” Jorge. Nella pratica, significava che si cercava di fare in modo che i novizi perdessero i vincoli affettivi con le proprie famiglie, con gli amici e in generale con tutte le relazioni private. In cambio si offriva “una consegna totale a Dio e l’appartenenza al gruppo”.
Un’altra caratteristica di quel tipo di indottrinamento era una stretta disciplina di “mortificazione” del corpo. “L’uso del cilicio e della disciplina era un modo per controllare le passioni corporali”, racconta Gabriel Pérez, un ex novizio ed ex sacerdote che studiò con Bergoglio. Il cilicio è una forma di autopunizione la cui origine risale alla Chiesa medievale: i religiosi si legano una specie di rete di filo sotto i vestiti in modo che sia a contatto con la pelle. A poco a poco questo filo ferisce e provoca lacerazioni molto dolorose. La “disciplina” verte invece nell’autoflagellazione con una frusta. Si ritiene che queste forme di dolore autoprovocato servano perché il monaco rafforzi la volontà dello spirito contro le debolezze del corpo.

Verso la seconda metà degli anni Ottanta sembrava che Bergoglio avesse consolidato il proprio potere all’interno della Compania di Gesù. Eppure, nel 1986 i superiori dell’Ordine lo rimossero dall’incarico. I motivi di questa decisione non sono del tutto chiari. Secondo alcuni avrebbero a che fare con la volontà di frenare il suo progetto, che aveva provocato numerosi conflitti interni. Alcuni dei novizi che erano passati per l’esperienza educativa accennata si allontanarono dal sacerdozio. Qualcuno dovette addirittura affidarsi alle cure di uno psicologo a causa del danno subito. Dopo la rimozione di Bergoglio,  “le nuove autorità della Compagnia, i postbergogliani, si incaricarono di formare un gruppo di psicologi che ci aiutassero ad andare avanti”, racconta uno di loro. Al riguardo la biografia pubblicata in Internet dal Vaticano stesso dice: “Nel marzo del 1986 si trasferisce in Germania per ultimare la sua tesi dottorale, dopodiché i suoi superiori lo mandano nel collegio del Salvador, a Buenos Aires, e poi nella chiesa della Compagnia a Cordoba”. In questa specie di “esilio”, Bergoglio trascorrerà alcuni anni. E cioè fino a quando il cardinale primate dell’Argentina, monsignor Quarracino, se lo portò come vice all’Arcivescovado della città di Buenos Aires. Il resto è storia nota.

Verso Roma
La politica sviluppata nel Colegio Máximo era collegata a una strategia più ampia. Già allora si era formato intorno a Bergoglio un gruppo di sacerdoti e di laici. Gradualmente, questo gruppo cominciò a occupare posizioni rilevanti sia dentro, sia fuori dalla Chiesa. “Sa gestire molto bene i fili del potere”, spiega padre Eduardo de la Serna, del Segretariato di Cura per i poveri, un’istituzione ecclesiastica che ha una chiara posizione anti-neoliberale e di appoggio ai movimenti popolari latinoamericani.
In questa ricostruzione c’è ora una tappa chiave ma poco analizzata, che è importante per tracciare un ritratto verosimile del personaggio e capire come Bergoglio preparò il cammino che lo avrebbe portato alla guida del Vaticano. Per quasi due decadi, Bergoglio esercitò la direzione reale del posto più influente per la formazione dei quadri intellettuali e della direzione politica della Chiesa cattolica in America Latina, ovvero – come abbiamo visto – il Colegio Máximo de San José. Il Máximo non è un centro qualunque di formazione di sacerdoti, ma molto di più. Dal 1932 funzionano in questo istituto le facoltà di Filosofia e Teologia, sotto il controllo della Compagnia di Gesù e con l’approvazione della Santa Sede a Roma. Il fatto di chiamarsi Máximo dice che vi si impartisce l’ultimo grado di insegnamento ecclesiastico. E per molti anni è stato l’unico centro in America del Sud abilitato dalla Chiesa Cattolica a conferire gradi accademici come Bachillerato, Licenciatura o Doctorado. Negli anni sono passati di qui giovani provenienti da diversi Paesi latinoamericani, dall’Argentina al Messico alla Bolivia, Uruguay, Paraguay, Cile, Perù e Brasile. Non solo gesuiti ma anche laici e membri di altre congregazioni religiose.

Tra il 1973 e il 1979 Bergoglio terrà il Colegio nella sua orbita in quanto capo della Compagnia di Gesù in Argentina e Uruguay. Questo periodo in Argentina è contrassegnato dal terrorismo di Stato esercitato dalla dittatura militare, che governò il Paese tra il 1976 e il 1983, una dittatura che è responsabile di 30mila desaparecidos. Le Madres di Plaza de Mayo e le organizzazioni dei diritti umani parlano esplicitamente di complicità delle gerarchie della Chiesa cattolica con il regime militare, ma il ruolo personale di Bergoglio è motivo di controversia. Il giornalista Horacio Verbistky, autore di numerose inchieste sui rapporti tra la Chiesa e la dittatura argentina di quel periodo, sostiene che il medico e militante peronista Lorenzo Riquelme sia stato rapito e torturato in un luogo di Buenos Aires da un gruppo di forze repressive che operava in seno al Colegio Maximo e che Bergoglio stesso abbia avuto gravi responsabilità, non proteggendoli, nel rapimento dei gesuiti Orlando Yorio e  Francisco Jalics, torturati e rilasciati dopo cinque mesi di detenzione. Al contrario, il Nobel per la pace Adolfo Perez Esquivel, dopo la nomina di Bergoglio, ha escluso che, al contrario di altri vescovi, il futuro papa sia stato complice della dittatura. Sta di fatto che Bergoglio – il quale “non poteva non sapere”, come dice l’avvocato di parte civile delle famiglie dei desaparecidos, Marcello Gentili – non risulta tra coloro che hanno denunciato e combattuto il regime militare.
Tra il 1980 e il 1986 Bergoglio sarà il rettore diretto del Colegio Máximo. E, successivamente, “benché formalmente non fosse più il direttore, per molti anni continuò a esercitare una influenza molto forte attraverso i suoi sostenitori”, spiega ancora Pérez, studente del Máximo negli anni in cui Bergoglio non era più rettore.
“Ci rendevamo tutti conto che era ancora Bergoglio a comandare perché lui stesso lo faceva notare. Si organizzavano periodicamente chiacchierate e conferenze per i novizi e gli studenti che, come me, studiavano lì”, racconta. “Quindi veniva al Colegio e ci parlava. Si sedeva insieme a noialtri, che eravamo semplici novizi. Durante queste conversazioni cercava sempre di impressionarci con la sua grande umiltà e semplicità, ma allo stesso tempo ci dimostrava il suo potere. Come di passaggio, ci raccontava che questa o quella persona che occupavano posti rilevanti nella gerarchia ecclesiastica o del proprio Colegio li aveva sistemati lui”, spiega. Insomma, fu lì che Bergoglio costruì gran parte delle sue relazioni e della sua influenza che molti anni dopo portarono lui e il suo gruppo alla vetta del potere ecclesiastico a Roma.

Il Santo argentino
Il culto della personalità include la santità come una caratteristica peculiare già da molti anni. Uno dei criteri utilizzati dalla Chiesa per santificare uno dei suoi membri è quello delle cosiddette “virtù eroiche”. La lettera già citata degli ex studenti gesuiti mostra che è qui la chiave per capire il tanto pubblicizzato spirito “di servizio”, l’“umiltà” di Bergoglio e il suo ascetismo. “Il problema di Jorge – aggiunge un fratello coadiutore che condivise con il futuro papa gli anni di gioventù – non è che tutti i giorni lavasse i vestiti ai compagni di noviziato, li mettesse ad asciugare e li facesse poi trovare, piegati, ai piedi del letto di ciascuno. Il problema era assicurarsi che tutti sapessero che quelle cose le aveva fatte lui”. Alcuni vedono in questi gesti la prova della sua “santità” e ai suoi estimatori piace enfatizzare quest’aspetto. “La mia gente è povera e io sono uno di loro, ha detto più di una volta per spiegare la scelta di vivere in un appartamento e di prepararsi la cena da solo”, racconta la biografia del pontefice nella pagina web del Vaticano.
Nel Collegio Immacolata della città di Santa Fe, dove studia l’alta borghesia locale, c’è un museo che ricorda il suo passaggio. Vi si esibisce una specie di riproduzione del suo umile dormitorio: un piccolo letto e un comodino sono tutto il mobilio. E oggi, molti lo definiscono, appunto, il “papa umile”. Altri, tuttavia, ritengono che queste cose siano parte di una strategia verso la santità e siano un modo per trovare empatia nei settori popolari. “È venuta Mata Medina… Mi ha aspettato a lungo finché non mi ha incontrato. I figli hanno freddo, poverina, le ho dato le mie coperte”. Secondo quello che riporta la lettera di cui sopra, così raccontava padre Bergoglio ai novizi. Ad ogni modo, tale “umiltà” non ha nulla a che fare con una scelta ideologica. Dice ancora Pérez: “Il pensiero di Bergoglio non c’entra con la Teologia della Liberazione. Piuttosto, si rifà a un peronismo precedente a quel movimento. Infatti, quando Bergoglio dirigeva il Colegio Máximo vi si promuoveva la lettura di libri di Perón come ‘La società organizzata’, che rappresenta una tappa precedente”. Ciononostante, conclude Pérez, “il ruolo che attualmente ricopre Bergoglio quando denuncia gli effetti nocivi del capitalismo nel mondo è importante e molto interessante”.
L’America Latina è al momento il continente con la maggior quantità di fedeli cattolici di tutto il pianeta. È anche, da più di una decade, il laboratorio di una serie di movimenti sociali anti-neoliberali di grande penetrazione nei settori popolari che storicamente sono sempre stati emarginati. Nello stesso tempo, è lo scenario di una violenta reazione da parte delle minoranze ricche e privilegiate, che hanno sfruttato la spaventosa disuguaglianza che affligge la regione da decenni. È in questo contesto sociale che si è formata buona parte della visione del mondo del papa argentino, “l’unico Signore” del quartiere operaio di San Miguel.

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