domenica, Novembre 24, 2024
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Processo Saguto, +18: si alza il sipario

Sono diciannove gli imputati che dovranno giustificare davanti ai giudici di Caltanissetta il loro operato e i reati di cui sono accusati nel processo contro l’operato dell’Ufficio misure di prevenzione di Palermo.

In realtà, diciamo solo teoricamente, avrebbero potuto essere molti di più se si fossero configurati o individuati gli estremi di reato nell’operato degli amministratori giudiziari e nei collegamenti spesso funzionali a coprire tale operato: parliamo di giornalisti, di consulenti, di magistrati che sono rimasti fuori dall’inchiesta e che al momento stanno a guardare.

Il caso è scoppiato nel settembre 2015 e sta andando finalmente a processo dopo un anno e nove mesi di attesa. Al processo mancava la principale imputata, che non ha neanche giustificato la sua assenza, cioè Silvana Saguto, la quale peraltro non era neanche presente a Roma, dove il Consiglio Superiore della Magistratura dovrebbe valutare il suo comportamento e decidere sul suo destino e sulla sua prosecuzione del lavoro di magistrato. Insomma, la zza Silvana è sparita, neanche i segugi di “Chi l’ha visto” in questo momento potrebbero scoprire dove si trova. Ma tranquilli, lei è del mestiere e sa cosa fa e come evitare ulteriori problemi con la legge. Per la verità erano assenti tutti gli imputati, compreso Cappellano, i quali si sono fatti rappresentare dai loro avvocati. Gli avvocati della Saguto sono Ninni Reina e Giulia Bongiorno, l’avvocato di Andreotti, quella che poi è stata eletta deputato nelle file di Forza Italia.

Erano presenti invece una serie di parti civili, quindici per l’esattezza, le quali hanno chiesto al giudice di costituirsi, nella prospettiva di avere un rimborso per ciò in cui sono state danneggiate: c’erano quelle del ministri dell’Interno, della Giustizia, dell’Economia, c’era l’Agenzia nazionale per i beni confiscati, al momento presieduta dal dottor Postiglione, la quale ha lavorato in perfetta armonia con la Saguto, prima di accorgersi, dopo le denunce del suo predecessore Caruso, che c’erano parecchie cose poco chiare, c’erano gli amministratori giudiziari dei sequestri Rappa, (per intenderci quello affidato a Walter Virga), Ingrassia, Acanto, Vetrano, Buttitta, Leone, Di Bella, Veragel, Motoroil, dove, da una parte e dall’altra, vengono fuori i nomi di Cappellano Seminara, di Nicola Santangelo, di Carmelo Provenzano e di tutta la sfilza di parenti che hanno trovato posto e lavoro in questo business complesso. Non si è costituita l’amministrazione dei beni di Niceta, il cui passato amministratore Aulo Gigante è invece imputato per avere assunto a lavorare nei beni sequestrati un raccomandato, sempre su segnalazione della Saguto. Una richiesta di costituzione di parte civile è arrivata anche dal legale di Antonio Padovani, un imprenditore di slot machines cui è stato sequestrato, dal giudice Tona di Caltanissetta un impero di quaranta milioni di euro, la cui gestione è stata affidata a Cappellano Seminara, con la consulenza strapagata di Lorenzo Caramma, marito della Saguto.

Insomma, siamo alle prime schermaglie di un processo che si rivelerà lungo, e dal quale potrebbero essere stralciati o derubricati una serie di personaggi importanti, con la vaga e sgradevole sensazione che a pagare qualcosa potrebbero essere i soliti poveri fessi.

Nuove convocazioni per il 13 e il 17 luglio.

Non siamo d’accordo con la definizione che oggi leggiamo su La Repubblica, a firma di Salvo Palazzolo, che è “alla sbarra l’antimafia malata”. L’antimafia non c’entra niente. L’operato dei giudici, nella lotta contro la mafia, è lo stesso loro lavoro, non può definirsi “antimafia”. Il processo è fatto ad alcuni settori della magistratura e di tutto l’apparato legale che la circonda, nella misura in cui, dietro il cappello dell’antimafia, costoro avevano messo in opera un sistema paramafioso utilizzando i beni di alcuni imprenditori per trarne un personale profitto. Nella stessa misura in cui, parassitariamente, la mafia succhia risorse a coloro che lavorano, vive sul lavoro degli altri, i personaggi coinvolti in questa storia, parassitariamente, in nome di una presunta legalità e con le armi che la legge mette loro a disposizione, hanno succhiato le risorse realizzate in diversi casi con un lavoro che penalmente è stato ritenuto onesto e corretto, al punto che diversi sottoposti alle misure di prevenzione sono stati assolti definitivamente, ma ancora si trovano privati dei loro beni che non sono stati restituiti. E che, ove lo fossero, sono stati dilapidati, e quindi si tratterà solo di briciole. Il tutto sempre “in nome del popolo italiano” e secondo una discutibile applicazione della regola “la legge è uguale per tutti”.

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