Tre nostri amici e Falcone
Il giorno delle celebrazioni
Dal mio ristretto e provinciale punto di vista, Falcone è quel magistrato le cui acquisizioni – in particolare il concorso esterno in associazione mafiosa – sono state dichiarate inutili e superate nella città in cui vivo, che è Catania. Questo annullamento della dottrina Falcone non fu affatto casuale o privo d’interessi, ma ebbe un effetto preciso, quello di sottrarre alle indagini della giustizia il principale imprenditore del Sistema locale, Mario Ciancio.
L’annullamento di Falcone a Catania fu – per il momento – revocato un anno dopo. Nel corso di quest’anno non si ebbero significative prese di posizione al riguardo; il sindaco della città, da intercettazioni telefoniche, risultò anzi strettissimamente legato a Mario Ciancio. I pochi che come noi osarono protestare furono senz’altro tacciati di essere complici dei mafiosi. I nostri amici catanesi subirono questa calunnia come avevano subìto il silenziamento di Falcone, vale a dire in silenzio.
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Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è fratello di un uomo ucciso dal potere mafioso, e questo imprinting fortissimo è alla base di tutta la sua vita, politica e umana; in diverse occasioni l’ha dimostrato. Non ha tuttavia difeso Falcone imbavagliato a Catania per impedirgli di pesare su Ciancio.
Del giovane Roberto Saviano abbiamo in diverse occasioni lodato il coraggio e criticato gli errori. In genere, ci sembra difficile non contarlo fra gli intellettuali che si sono sinceramente impegnati contro le mafie, e ha scritto cose condivisibili sulla ritualità di molte celebrazioni. Tuttavia, su Catania ha taciuto, ha lasciato correre la censura a Falcone e ha evitato di raccogliere, in quella città, notizie accurate in merito al caso Falcone e al collegato caso Ciancio.
Infine, il nostro collega Attilio Bolzoni, fra i pochi che hanno dato attenzione ai nostri ragazzi e il cronista probabilmente migliore fra quelli che hanno scritto di mafia in questi trent’anni. Anche lui, sulla vacuità delle cerimonie, ha scritto parole giuste e meditate. Tuttavia il suo giornale, che è in rapporti d’affari con Ciancio, ha sostanzialmente censurato le censure a Falcone e – ovviamente – ogni e qualsiasi notizia relativa a Ciancio.
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Non è il chiasso dei complici che ci fa paura. Quando i giornalisti collusi, che attaccarono il pool antimafia e difesero i mafiosi, citano compuntamente parole di Falcone la cosa non ci turba affatto ed anzi, con senso di rivincita, ci diverte. È il silenzio dei buoni, di quelli che ci sono amici, degli antimafiosi sinceri che ci fa paura. Non si può “celebrare” Falcone senza dire apertamente “Catania” e “Ciancio”. Non dirlo significa parlar d’altro, non di Falcone.