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La roba dei pazzi, la roba di tutti. Chiusi definitivamente gli ospedali psichiatrici giudiziari

“Vedi, qua. Da questi corridoi si accedeva alle camerate dei padiglioni. Che erano come delle stanze dove stava la roba dei pazzi. Poche cose, non ti immaginare grandi patrimoni che le restrizioni erano aspre”.

ex Ospedale Psichiatrico “Leonardo Bianchi”, corridoio. Foto di Imma Pepino
ex Ospedale Psichiatrico “Leonardo Bianchi”, corridoio. Foto di Imma Pepino

“L’incontro con la pazzia – quando non è patologico – è, per così dire, casuale. Essa costituisce di fatto il tema portante di gran parte della produzione letteraria che ognuno di noi incontra almeno una volta sui banchi di scuola, è al centro di opere artistiche, mostre e speculazioni filosofiche di ogni tipo. Quella che incontriamo nella nostra carriera scolastica ha toni lievi, è una follia effimera, una nevrosi stimolante prodotta dal cervello troppo attivo di questo o quell’autore dalla biografia satura”.

Esiste però un’altra follia: concreta, fatti di muri, mattoni, persone internate e di leggi dello Stato. È una pazzia che negli anni ha trovato poco spazio nelle conversazioni e nei racconti, lasciata all’analisi medica ed istituzionale. Non riesco a pensare ad altro, guardando la struttura malamente conservata dell’ Ospedale Psichiatrico “Leonardo Bianchi”, conosciuto anche come il manicomio di Capodichino perché sorge, di fatti, a poca distanza dall’aeroporto internazionale di Napoli.

Mentre resto ad ascoltare il racconto che mio padre fa di quel luogo mi sovviene quanto la cultura popolare certe volte sappia essere crudele.

Voluto in epoca borbonica per sostituire la funzione del reparto “pazzaria” dell’Ospedale Incurabili, il “Leonardo Bianchi” fu chiuso solo nel 1999 – quasi dieci anni dopo l’approvazione della Legge Basaglia, che disponeva la dismissione degli ospedali psichiatrici ad uso civile e di quelli ad uso giudiziario – e da allora i suoi corridoi vengono percorsi solo periodicamente nelle giornate di apertura al pubblico organizzate dall’ASL Napoli 1 Centro proprietaria dell’edificio o in occasioni di proteste rivolte alla stessa azienda sanitaria locale.

Non è un museo, perché di norma nei musei viene esposta la bellezza,  mentre gli ampi interni ricoperti di muschio dell’ex manicomio lasciano trasudare uno spaccato di orrore restituendo perfettamente l’immagine di una delle pagine più buie della sanità campana ed italiana.

I manicomi sono stati, infatti, per centinaia di anni luoghi di sospensione incastonati nei centri delle grandi città come Verona, Milano, Roma e Napoli.

Le dinamiche di privazione e – talvolta – di vera e propria coercizione interne agli Ospedali psichiatrici sono emerse solo a partire dagli anni Sessanta e hanno necessitato di un decennio per arrivare ad incidere concretamente sul piano sociale e politico. Fu svelato l’uso intensivo dell’elettroshock e numerose violenze sessuali subite dagli internati furono denunciate, stimolando proteste e iniziative tese alla cessazione dell’attività manicomiale.

Ospedale Psichiatrico “Leonardo Bianchi”, interno. Foto di Imma Pepino
Ospedale Psichiatrico “Leonardo Bianchi”, interno. Foto di Imma Pepino

Eppure, anche dopo l’approvazione della Legge Basaglia i manicomi hanno continuato ad esistere. Furono introdotte mediante il testo di legge misure importanti a tutela dei pazienti internati ma nessuno tra i principali ospedali psichiatrici giudiziari presenti sul suolo nazionale fu chiuso con effetto immediato, tant’è che molte di queste strutture sono rimaste in attività fino ai primi anni duemila (basti pensare al manicomio criminale di Aversa, chiuso solo nel 2010).

I ritardi nella chiusura dei complessi sono stati, nel corso degli anni, giustificati dalla presenza di pazienti e detenuti per cui non era prevista alcun tipo di assistenza alternativa. E proprio la presenza di pazienti, la necessità, e il dovere di garantire loro un’assistenza sanitaria e umana qualitativamente migliore ha portato alla Legge 81 del 2014 che dispone la chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici e la sostituzione di quest’ultimi con le Rems, strutture sanitarie ideate per prendere in carico i pazienti autori di reati e garantirne l’assistenza in collaborazione con i Dipartimenti di Salute Mentale delle ASL. La transazione dai manicomi alle Rems è stata lenta ed ha necessitato la nomina da parte del Governo di un commissario straordinario per il superamento degli OPG, Franco Corleone, ed è stata portata a termine solo lo scorso 2 Marzo con la chiusura definitiva del manicomio di Montelupo Fiorentino.

Le 32 Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) aperte sul suolo nazionale non sono certamente perfette – resta molto da fare sul piano dell’integrazione e dell’assistenza post pena – ma rappresentano un balzo in avanti nel rapporto tra lo Stato Italiano e la malattia mentale.

L’acquisizione della coscienza collettiva passa senza ombra di dubbio anche dall’analisi della situazione manicomiale e carceraria in generale. In un Paese che stenta ad ammettere di aver più volte, nel corso della sua storia, istituzionalizzato la tortura ogni piccolo passo in avanti va difeso. Quei luoghi infernali, che hanno dilatato tempi e segnato corpi e vite, come il “Leonardo Bianchi” di Napoli, vanno preservati, resi luoghi di impegno e memoria affinché la roba dei pazzi diventi – finalmente – la roba di tutti.

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