sabato, Novembre 23, 2024
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Un amore di Mauro Rostagno

Proviamo a raccontare di Mauro Ro­stagno da un altro punto di vista. Arriveremo alla mafia e alla violenza, contro cui si scagliava Rostagno alla fine, dopo essere stato al fianco degli ultimi dentro la Cattedrale di Palermo molti anni prima…

Stavolta raccontiamo di Rostagno cominciando da una sua storia d’amore. No, attenzione, non gli “amori” segreti, tanto segreti proprio perché non esistevano, o se c’erano non erano cosa da provocare morte tanto spietata, non sono nemmeno gli “amori” che secondo ragionamenti perversi, nelle menti di investigatori poco attenti, o disattenti a comando, investigatori come quei carabinieri che hanno dimenticato per decenni nei loro archivi documenti importanti di denunzie fatte da Rostagno sulle malefatte che si compivano ogni giorno in provincia di Trapani…

Raccontiamo di un amore vero, quello che Mauro Rostagno aveva per questa terra, per la Sicilia, per la città di Trapani. “Io sono più trapanese di voi perché io ho scelto di venire ad abitare qui”.

Scriviamo di Rostagno, cominciando da questa sua affermazione, che come altre lastricano il percorso dei ricordi incancellabili, svelando il suo innamoramento per i siciliani grazie al quale ha vissuto con intensità gli anni del giornalismo a Rtc, coincisi purtroppo con gli ultimi anni della sua vita, in tv, a Rtc, si era portato appresso tutto il bagaglio delle sue esperienze. Perché il lavoro fatto da Rostagno tra il 1986 e il 1988 nella televisione privata trapanese non è altro che la summa di esperienze che lo avevano portato a vivere gli anni della contestazione del ’68 a Trento, la sua laurea in Sociologia, la vita dentro Lotta Continua, l’esperienza del Macondo di Milano, ed ancora con gli arancioni in India prima e a Trapani dopo, e infine il bianco della comunità di recupero per tossicodipendenti Saman. Per raccontare delle cose più straordinarie, per come le ha vissute da lui, che lo hanno visto protagonista.

Lungo queste strade tanti i personaggi da lui incontrati, presi e portati appresso per un periodo, lasciati e poi ripresi, o abbandonati del tutto. Ma forse questo possono riferirlo con maggiore dovizia di particolari e con profonda conoscenza solo i suoi familiari e chi lo ha davvero conosciuto, in profondità, da vero amico. Alcuni ci rammentano – ecco l’amore per gli altri di Rostagno – che lui in effetti non ha mai abbandonato nessuno, e chi voleva poteva continuare a bussare alla sua porta. E chissà che quella maledetta sera del 26 settembre 1988 non gli sembrò che qualcuno era venuto a bussare alla sua porta su quella stradina di Lenzi, forse per questo rallentò la marcia della sua Duna mentre i killer cominciavano a fare fuoco.

E allora proviamo a raccontare Rostagno e la sua storia d’amore con questa città. Con la Trapani che in quegli anni, gli anni 80, ma già da prima ovviamente, dinanzi ai morti ammazzati negava l’esistenza della mafia ed oggi, nel 2012, continua a mostrare incredulità se in galera finiscono i cosidetti “colletti bianchi”, gli imprenditori, i professionisti ed i politici. A Trapani si sostiene che la mafia è stata sconfitta e quindi non esiste, come non esisteva negli anni ’80…e ancora prima ovviamente. E se la mafia è sconfitta, si sostiene, ma non a ragione, che è ingiusto e inutile arrestare un notabile, perché un burocrate da queste parti è un notabile, e un politico è un uomo da ossequiare, soprattutto se poi questo politico viene dalle stanze della più nobile borghesia: quella che subiva in silenzio il ricatto dei campieri mafiosi ma si accordava con loro trovandone convenienza precisa. Una tela che resiste ancora oggi e che fa parte del telaio delle indagini antimafia che riguardano, per esempio, l’ex sottosegretario all’Interno, oggi presidente della Commissione Ambiente del Senato, Tonino D’Alì.

Nei terreni dei D’Alì, a Castelvetrano, contrada Zangara, a fare da campieri c’erano i Messina Denaro, così come erano altri mafiosi nel resto della provincia ad occuparsi di altri terreni e di altri latifondisti, come succedeva quando a comandare era Totò Minore, il vecchio austero capo mafia trapanese che dal dopoguerra agli anni ’80 comandò la mafia trapanese, ubbidito e riverito; Minore fece anche il presidente del Trapani calcio, divideva il comando con un altro ossequiato mammasantissima, Nanai Crimi, uno di quelli che si occupava di edilizia fin nel lontano Lazio con il famigerato e famoso Frank “tre dita” Coppola.

La storia d’amore di Rostagno per Trapani è simile a quelle storie di amore di ogni giorno dove spesso le parole vere sono quelle non dette e si nascondono dietro quelle che vengono pronunciate e che possono pure sembrare banali. Provate a rileggere gli editoriali di Mauro Rostagno, e ci sono quelli che, letti alla luce degli accertamenti e delle verità più scomode emerse anche di recente, svelano le intuizioni che il giornalista aveva avuto.

Per esempio quando parlò di uno sconosciuto imprenditore pacecoto, Ciccio Pace, ne parlò indicando, con sorpresa, la sua improvvisa ascesa in quegli anni ’80, ne scoprì i legami con i cavalieri del lavoro di Catania, Rendo, Graci e Costanzo, venuti a Trapani a costruire aeroporto e case popolari, lo indicò in combutta con i Minore (unico errore che fa, lui come alcuni investigatori perché all’epoca Minore era stato già ucciso dalla mafia corleonese e al suo posto era arrivato già il “coccodrillo” Vincenzo Virga, quello che non lasciava spazi ad alcuni ed arraffava tutto quello che c’era da prendersi in termini di appalti, lavori, soldi), ne ricordò ancora il coinvolgimento, sempre di don Ciccio Pace, in uno scandalo di una cassa rurale.

Pace, che nel frattempo frequentava impunemente le stanze della politica, nel 2001 proprio grazie alle alleanze con la mafia catanese, e per la vicinanza a quella mazarese di Mariano Agate (anche lui bersaglio pubblico degli editoriali di Rostagno), fu scelto da Matteo Messina Denaro quale nuovo capo della mafia trapanese, messo a capo di una “cupola” fatta solo da imprenditori, sgominata quattro anni dopo dalla Squadra Mobile di Trapani con l’operazione “mafia e appalti”.

Questo era il giornalismo fatto da Rostagno, c’era dentro l’amore per la terra nella quale aveva scelto di venire ad invecchiare, a vedere crescere le figlie, e coccolare i nipoti che sarebbero potuti arrivare, e la denuncia, proprio per preservare quel suo amore, di chi sporcava di sangue il territorio, di chi ne speculava le bellezze e le opportunità. Nelle storie d’amore c’è una inversione di tendenza, non sono le parole che volano e gli scritti che restano, ma l’esatto contrario gli scritti volano e le parole restano, e per Rostagno è stato così: oggi spesso si ricordano le sue parole, le sue affermazioni, brevi ma efficaci, nelle parole lasciate da Mauro Rostagno c’è la sintesi di quello che è rimasto stampato sui fogli dei suoi editoriali.

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