“Ci scusiamo per il disagio. Che comunque resta solo vostro”
A Catania di autobus ne passeranno sempre meno
“Sa quando passa l’autobus?” chiede una vecchietta appena dimessa dall’ospedale Vittorio Emanuele. “No, ma aspetto altri cinque minuti e dopo vado via” le risponde un signore seduto alla fermata.
“Non è che per caso chiamerebbe il numero verde dal mio cellulare per vedere cosa ci dicono?”. La vecchina ha la faccia di chi ha appena subìto un intervento, nessuno la riaccompagna a casa premurosamente. “Il numero verde??? Signora, l’Amt sta fallendo, manco gli autobus ci saranno più tra poco! Vede che l’hanno scritto pure nell’insegna?”. E in effetti si avvisano i signori passeggeri che “il servizio invernale sarà ridotto notevolmente a causa della diminuzione di autobus. Ci scusiamo per il disagio”. Scriverci che si sono mangiati anche i soldi per pagare gli stipendi e per il carburante pareva brutto.
“Non deve chiamare il numero verde per gli orari, glieli do io i numeri dove chiamare!” un’altra signora, Maria, è sull’autobus che finalmente dopo tre quarti d’ora passa “Ma deve sentire come si infastidiscono appena una li chiama! Ma io ho diritto di sapere in tempo se passa o no? Cosa ci dico a lavoro se l’autobus passa con una o due ore di ritardo? Mi faccio licenziare? Almeno me la faccio a piedi!”.
Dimostra più anni di quanti ne ha. “E gli dovrei pagare pure il biglietto? Non ne pago biglietto! Tanto che mi devono togliere? Non ho nulla!” prosegue “Vado a lavorare per cinque euro all’ora e devo andarci perché mio marito è senza lavoro, e abbiamo una figlia di quattordici anni da crescere. Adesso si è iscritta alla scuola di parrucchiera. Sa che mi sembra brutto: ieri mi ha chiesto cinque euro e ho dovuto dirle che deve farseli bastare per almeno tre giorni. Come faccio? Siamo stati pure a rischio sfratto. Lavoro principalmente solo per pagare l’affitto, col resto stiamo attenti pure a fare la spesa”.
L’autobus è sporco e rumoroso. Ad ogni buca si sobbalza. Chi usa l’autobus per muoversi? Immigrati, anziani, studenti, senza fissa dimora, le fasce della popolazione più squattrinate che, alla faccia del trattato di Schengen, non possono permettersi di circolare liberamente neanche in città. La vecchietta intanto con le sue buste colme di biancheria preme il pulsante e prenota la fermata “Ah, che mal di schiena, non posso neanche camminare. Ma senta lei fa la badante, ho capito bene? Ma non è che se trova qualcuno che ha bisogno me lo fa sapere? Anche a lavare scale!”. Ha la schiena curva, gli occhi stanchi.
Appena scende, Maria esclama “Se dice che ha mal di schiena nessuno la fa lavorare! Però anche lei ha ragione… Ma vede questa signora seduta dietro di me?” bisbiglia, per non farsi sentire “Ha settantacinque anni e assiste un anziano e fa lavori domestici per mantenersi”. Dietro c’è una figura sparuta, con i capelli grigi e spettinati, non ascolta neanche quello che si dice, il suo sguardo vaga nel vuoto dal finestrino, nel trambusto della città del primo pomeriggio, quando un esercito di persone esce di casa per andare a lavorare per cinque euro all’ora. Se aumenteranno le tariffe del gas, dell’acqua, della spazzatura come faranno?