La Tana, un blog olandese sulle mafie
«Affari sporchi e latitanti stanno anche qui»
Dal 2007 nel suo blog “La Tana” la giornalista Cecile Landman racconta da Amsterdam storie di mafia ai suoi connazionali. Un interesse nato negli anni Novanta, insieme all’amore per l’Italia e, in particolare, per Catania
«Ho aperto il blog nel 2007 perché amici in Olanda me lo chiedevano, e serviva e serve ancora per raccontare le storie sull’Italia che, per un motivo o un altro, non vendo ai media». Così la giornalista freelance Cecile Landman spiega com’è nata La Tana in cui racconta da Amsterdam la mafia italiana agli olandesi. Storie solo apparentemente lontane dal suo Paese, contrariamente a quanto normalmente si crede.
Negli anni Novanta Cecile è stata corrispondente in Italia per il quotidiano nazionale olandese Trouw, ma della nostra terra si è innamorata molti anni prima, quando l’ha conosciuta «a causa di passati amori romani». Era la metà degli anni Ottanta. «L’ultima bomba della strategia della tensione a Bologna era ancora fresca nella memoria di tutti – racconta – Ovunque si incontravano blocchi stradali di carabinieri e polizia e in quel periodo ho iniziato ad imparare nomi e abbreviazioni: Craxi, Andreotti, Forlani, P2, Cosa Nostra, ‘ndrangheta, Opus Dei». Per strada e grazie alla televisione ha imparato anche la nostra lingua. «Mi ricordo un programma con una presentatrice finta bionda – dice, cercando senza successo di ricordare il nome di Raffaella Carrà – e Roberto Benigni come ospite che accusava loud and clear Silvio Berlusconi di essersi arricchito con la vendita di libretti porno-hard».
Rimane talmente affascinata dall’Italia che due amiche argentine cominciano a chiamarla la tana, l’italiana. «Molti anni dopo – rivela – ho scoperto che tana libera tutti è anche il nome del gioco del nascondino. Mi piaceva per diversi motivi, così ho deciso di usarlo per i mio blog». Il terzo della sua carriera. Ha iniziato nel 2004 con streamtime.org, nato come progetto di radio via web dall’Iraq, dove era appena cominciata l’ennesima guerra, e presto trasformato in un network di blogger per raccontarne le atrocità. «Con loro ho chattato tantissimi giorni e notti, mentre entravano e uscivano dalle connessioni Web a causa di blackout elettrici, di pallottole, bombe che esplodevano e altri orrori». Anche streamtime.org non era sempre online per via degli attacchi digitali contro il sito. E cosi, parallelamente, ha aperto Xer-files. «In primis per l’incazzatura suscitata dai sabotaggi – dice – e ovviamente per poter essere sempre online».
In Sicilia arriva per la prima volta nel 1992. Ricorda il viaggio con i suoi amici del gruppo One Love di Roma che facevano un concerto a Catania, il bagno ad Acitrezza e quando al ritorno dal mare, nel bar dove volevano comprare un gelato, è scoppiato il panico. «Alla radio – spiega – trasmettevano la notizia della bomba a Palermo e della morte di Paolo Borsellino». Un ricordo ancora fresco nella memoria, nonostante i tanti anni passati.
Ma è stata un’altra vicenda a rafforzare il suo interesse per le storie della nostra terra. Quella di Agata Azzolina con cui nel ‘97 è stata messa in contatto dai giornalisti della redazione dei Siciliani, ai quali è ancora legata da rapporti di amicizia. Il marito e il figlio di Agata erano stati ammazzati nell’autunno del 1996 nel loro negozio, sotto la loro casa a Niscemi. «Solo sei mesi dopo da Niscemi passava la carovana antimafia, ma i loro nomi non venivano letti tra quelli delle vittime di mafia e lei godeva solo di poca protezione – ricorda Cecile – Mi raccontava che era andata alla polizia per denunciare la rottura delle finestre del negozio, sempre sotto casa sua. La risposta era stata: “Ma signora, stanotte ha fatto molto freddo. Chissà si saranno rotte per il gelo”. Ovviamente poteva significare solo una cosa. La polizia stava dall’altra parte. Io che vengo dall’Olanda di certo so che le finestre non si rompono col freddo».
Ricorda la telefonata fatta subito dopo al giornalista di Repubblica Attilio Bolzoni per chiedergli di intervistare Agata e far uscire la notizia anche in Italia e dell’altra telefonata il giorno dopo per dirgli che era troppo tardi perché la donna si era impiccata. «A quel punto Attilio mi ha mandato alla redazione di Repubblica a Roma, e il giorno dopo la storia di Agata era in prima pagina. Un delirio», racconta. La invitò, insieme alla figlia della vittima, anche Michele Santoro che allora lavorava a Mediaset. «Il titolo scelto dalla redazione di Moby Dick era: I morti del Sud e la storia di Agata veniva affiancata a quella di un uomo che si era dato fuoco per mancanza di lavoro – dice Cecile – Non ero mica felice e credo di aver avuto una faccia parecchio incazzata durante tutta la trasmissione». Una rabbia che riemerge anche se lo racconta ridendo. Questa vicenda le ha «fatto capire tantissimo della morsa delle mafie sulla popolazione italiana – afferma – e che è difficilissimo formare una vera resistenza contro questi poteri occulti». Per farlo bisogna anche raccontarli ed è proprio in questo modo che lei dà il suo contributo.
Ma come mai parla di mafia agli olandesi? Non è per loro una realtà lontana come spesso pensiamo noi italiani? «Dalle indagini della magistratura italiana sappiamo che l’Olanda è un punto di riferimento per le organizzazioni criminali – spiega – I killer di Duisburg della ‘ndrangheta sono stati arrestati ad Amsterdam. E succede quasi regolarmente che mafiosi italiani vengano arrestati in Olanda». Le sue inchieste hanno spesso al centro questi legami tra i due Paesi, come quella sull’olandese Theodor Cranendonk, oscuro personaggio connesso ai rifiuti sulle navi a perdere nelle acque calabresi, come la Jolly Rosso. «Durante l’inchiesta – dice – ho scoperto che nel 1990 aveva venduto 30 bazooka alla ‘ndrangheta. Condannato nel 1998 a Milano, era scappato nel 1999. L’ho ritrovato io. Abitava in uno dei piani alti di una torre nel centro di Rotterdam. Adesso è di nuovo a piede libero e lo Stato olandese non sembra preoccuparsene». Con un’altra recente inchiesta Cecile ha contribuito all’arresto di Francesco Santolla, killer della Sacra Corona Unita. «Nonostante la condanna in appello all’ergastolo in Puglia – dichiara la giornalista – l’Olanda gli ha dato il sussidio di disoccupazione, ignorando la richiesta di estradizione e il mandato internazionale di arresto. Insomma – conclude – è difficile capire quali siano gli interessi dello Stato olandese».
A Cecile piace raccontare, parlare e lo fa sempre con ironia. Dice che tornerà certamente a visitare Catania. «È una città che amo. Il caos, l’Etna. Ci sono stata spesso e ho molti buonissimi amici catanesi», afferma. E ci sono luoghi ancora vivi nella sua memoria, come il negozietto che vende presepi tutto l’anno, anche di notte e la vecchia redazione dei Siciliani. «La prima volta che ci sono andata – riaffiorano i ricordi – venivo da un campeggio vicino a Pachino. Faceva un caldo mostruoso. Dentro la redazione fu subito un gran caos di voci e scherzi. Ma dopo un po’ di tempo ho capito come trattarli». E ride.