sabato, Novembre 23, 2024
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“L’incontro e l’ascolto per restare umani”

Unica via per uscire da questo progressivo imbarbarimento.

L’attuale imbarbarimento del nostro mondo ha radici lontane nel tempo, ma l’odierno processo di globalizzazione le fa giungere quotidianamente ad ognuno di noi, anestetizzandoci nei confronti della sofferenza che noi, magari senza accorgercene, produciamo.

nel ricordare i migranti morti sulla riva della catanese, foto Ivana Sciacca

Non solo. In questo clima di paura e di insicurezza anche le relazioni interpersonali stanno via via degenerando: diciamo di non aver tempo, ma in realtà l’altro non ci interessa, temiamo d’incontrarlo per non essere disturbati, ci si saluta appena e ognuno tira dritto per la sua strada, non abbiamo più il tempo di guardarci attorno, abbiamo perfino paura di doverci fermare.

L’allettamento di questo momento storico è il profitto, che sembra essere diventato il nuovo Dio a cui prostrarsi, l’unica possibilità per lo sviluppo, anche a scapito dei diritti acquisiti. Ed è pure il potere con il quale scendere a compromessi pur di mantenere posizioni acquisite e privilegi.

Per superare l’attuale degrado umano, sociale e ambientale: “la cultura dell’indifferenza”, è utile e necessario riportare l’umanità alla civiltà dell’amore, trasformandosi in donne e uomini di relazione, che hanno capito l’importanza dell’incontro e dell’ascolto dell’altro, unica via per uscire da questo progressivo imbarbarimento.

Lo stiamo vivendo oggi in modo acuto non solo nell’efferatezza del terrorismo, ma anche nel persistere e nell’aggravarsi delle situazioni d’ingiustizia tollerate e spesso volute per vantaggi economici e finanziari.

La società appare bloccata, paralizzata ma non riesce a mettersi assieme, a fondersi in un empito di solidarietà. Dal momento che ogni categoria rivendica i propri diritti contro quelli delle altre. E non parliamo dei gruppi politici che si fanno vivi soltanto nelle contrapposizioni. È vero, sono tramontate le ideologie, ed è subentrato il pragmatismo, ripiegato sul presente che pretende di essere più concreto, con i piedi per terra. Ma siamo sicuri che sia il più efficace, efficiente e creativo? Si vanta una politica del fare, ma anche questa si esprime in promesse che spesso si rivelano illusioni.

In passato era naturale vedere nelle giovani generazioni la speranza di futuro. In queste proposte però i grandi assenti sono i giovani, condannati alla precarietà, alla flessibilità e alla fuga all’estero. Il che drammaticamente vuol dire che non sono più giovani, perché gioventù da che mondo è mondo, vuol dire proiezione verso il futuro, sogno, aspirazione, possibilità di progetti. Sono loro la speranza dei valori come la democrazia, la solidarietà, il bene comune e i diritti umani universali.

Mi torna in mente il monito di don Tonino Bello che, commentando le tentazioni di Gesù nel deserto, invitava ad abbandonare le tre “P” di “Profitto, Prodigio e Potere”, per adottare quelle di “Parola, Progetto e Protesta”.

Oggi possiamo affermare con tranquillità e nettezza che siamo nel tempo delle scimmie urlatrici: urlano le piazze, urla la pubblicità che interrompe i programmi con “i consigli per gli acquisti”, urlano i politici alla ricerca quotidiana di un megafono che amplifichi i loro contorti ragionamenti o il vuoto dei loro discorsi. potremmo fare una hit parade delle scimmie urlatrici e sapremmo anche metterci nomi e cognomi.

Di fronte a ciò non possiamo chiuderci nel nostro guscio ma al contrario assumere tutte le lotte e le sofferenze del mondo. Rifiutare la guerra, denunciare i mercanti di morte; il commercio delle armi, sono rimasto basito quando ho letto che per ogni abitante della terra, ogni giorno si spendono cinque dollari a testa, un’assurdità quando si sa, purtroppo che c’è più di un miliardo di uomini, donne e bambini che vivono con un dollaro al giorno; tutte le tirannie politiche che minacciano di distruggere la razza umana e il mondo intero; le ingiustizie razziali e religiose; le tirannie economico-finanziarie; i falsi processi politici. Urge contrastare le menzogne dei politici, dei propagandisti anti-migranti e degli agitatori degli egoismi nostrani.

Se la rabbia si scaglia contro le poche spese umanitarie per il recupero delle vittime dei naufragi, anziché contro le enormi spese militari che generano le guerre dalle quali fuggono, c’è un problema di intelligenza. Ossia di capacità di comprendere le cose e di collegarle. Occorre recuperare la coscienza oltre che i morti.

le favelas di Carapicuiba, photo credit pixabay

Ho passato due settimane in Brasile, una sera, mentre il tepore della giornata dell’inverno brasiliano lasciava il posto a umidità e a pochi gradi, una decina, io e Waldemar Boff, il nostro referente del progetto “Agua Doce”, ci siamo intrattenuti in una lunga conversazione. Nel comunicarvela uso “volutamente” la parola persona e non popolo, perché è in questi termini che penso a chi è coinvolto nel dramma che Waldemar mi racconta. Perché popolo è un’espressione generica e un po’ lontana. E invece, ascoltandolo le ho sentite vicinissime queste persone. Persone. Che riconosco una per una, dando loro i volti che i suoi racconti mi hanno descritto.

Vasti, una bella donna nera di mezza età, che accoglie trenta bambini nel cortile della sua casa nella Baixada Fluminense; la signora Maria, sempre aggressiva, non saluta mai e non sorride mai. Parlando con sua zia, Waldemar ha scoperto che a dodici anni era stata venduta a un ragazzo che saliva nel quartiere con un carretto, comprando ferro vecchio. Ai salti di gioia di Edicleusa, quando Odette, l’assistente sociale della comunità, le ha comunicato che era riuscita dopo tante peripezie a ricostruire la sua storia e le ha consegnato il certificato di nascita.

Finalmente! Ufficialmente riconosciuta come una persona, una cittadina. Persone di cui percepiscono il dolore, la precarietà, la paura. E li condividono. Soffrendo per loro, avendo paura con loro. Persone verso le quali provano una compassione profonda. E questo sentimento che ci rende umani come non mai. Ci rende uomini tra gli uomini, dando valore alle nostre vite, dignità al nostro continuare di ogni giorno.

Tutti abbiamo bisogno di modelli e riferimenti che ci aiutino a vivere, a vivere veramente la spiritualità. Tutti abbiamo bisogno di pensieri semplici e profondi che possiamo accogliere nella nostra interiorità e che ci aiutino a dare una risposta semplice agli eventi della vita e della quotidianità. Capisci che l’amore opera meraviglie insospettate, è audace l’amore, non ha confini o gabbie in cui costringerlo, si fa gioco dei nostri schemi e calcoli. Riesce a riempire il vuoto. Misteriosamente, delicatamente, lasciando respirare il dolore, dandogli aria e fiducia.

Capisci che l’amore oltre alle parole ha bisogno di gesti. Piccole attenzioni quotidiane che trasformano la vita di tanti “grandi” considerati “piccoli” perché poveri. Capisci che per secoli abbiamo interpretato come obbligo l’essere solidali e caritatevoli. Mentre il suo invito è andare oltre, all’incontro con l’altro, l’investire la vita per imparare ad amare l’altro, gli altri, la natura, tutti i viventi, perché la nostra vita, lo vogliamo riconoscere o no, si nutre attraverso la tenerezza, la dolcezza, l’amicizia. Se tutti noi volessimo, anche soltanto per un istante, “restare umani”, potremmo trasformare la nostra vita e quella dell’intera umanità.

 

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