Camminando con Dino Frisullo sarebbe stato un bel 2 Giugno di Pace
Portare al centro della politica gli ultimi, gli emarginati, gli impoveriti, i lavoratori, chi lotta contro le ingiustizie, le mafie, la disumanità e la barbarie delle guerre.
Una “Repubblica democratica” non può mai essere rappresentata da una parata militare.
L’Italia è una “Repubblica democratica” recita l’articolo 1 della Costituzione Italiana. In democrazia (demos, popolo; kratos, potere) il popolo dovrebbe essere sovrano, esercitando il suo “potere” con strade civili e nonviolente, ripudiando decisamente la legge del più forte e della sopraffazione violenta. La forza militare è l’esatto opposto, il contrario più totale della democrazia. Essa è depositaria della violenza più bruta, che cancella ogni ratio e dove prevale solo l’arroganza e il ferro. L’esercito è sempre stato in ogni dittatura elemento preponderante e decisivo per opprimere e imporre la tirannia. Una democrazia non può quindi mai e poi mai esaltare la violenza delle armi, la potenza del proprio apparato bellico. Essa dovrebbe invece addirittura averne vergogna, in quanto la “necessità” delle armi è una sua sconfitta, una sua resa. Esse sono la massima esaltazione della “legge” del più forte, dell’arroganza bellica, della disumanità. Una parata militarista del 2 giugno non potrà mai “festeggiare” una “Repubblica democratica”.
Tre giorni dopo la “Festa della Repubblica” c’è stata una nuova tornata di elezioni amministrative. Quello che dovrebbe essere uno dei momenti più alti del vivere e agire democratico ma che, troppo spesso, in una “politica” ostaggio di giochi di Potere, lobby, interessi più o meno criminali, sovversivismo delle elite dominanti, è invece la rappresentazione del peggio possibile. Ma il 5 giugno è stato anche il giorno dell’anniversario della nascita e della morte di Dino Frisullo. Scrisse Riccardo Orioles dopo la sua morte che Dino appartiene alla storia più nobile e permanente della sinistra, di coloro che erano “raramente a proprio agio nei palazzi” perché il loro “ambiente naturale era la vita dei poveri, la strada”. Scrisse che “per riprendere il filo della lettura del mondo, c’è un solo modo: mettersi dalla parte delle vittime. Guardare il mondo, anche il nostro, con i loro occhi. Con gli occhi dei profughi, dei discriminati, degli incarcerati, degli affamati. Ma questo non è possibile se, anche per un solo attimo, non si condivide una parte della loro vita”. Davanti a coloro che si definiscono “di sinistra e democratici” (o anche semplicemente democratici), ma poi accettano di essere amici di imprenditori senza scrupoli, chiudono gli occhi su speculazioni e devastazioni del territorio, proclamano alti impegni ma poi balbettano o si distraggono se chi gli garantisce poltrone e prebende così ordina, di fronte a “democrazie” che esportano armi, finanziamenti, bombe verso dittature feroci e contro altri popoli, che erige muri e lager, che semina odio e guerre tra ultimi e penultimi, che cancella diritti e dignità delle classi meno abbienti, il filo della lettura di Dino è l’unico da riprendere in mano, è l’unica strada per chi non si arrende allo “stato di cose presenti”, alle oligarchie dei Potenti e alla erosione costante della democrazia.
Oltre vent’anni fa Dino già capì il carico di umanità che stava bussando alle porte dell’Europa. Umanità di culture, popoli straordinari. Umanità calpestata, incatenata, oppressa da guerre e non solo. Guerre realizzate con armi prodotte in Occidente, in nome degli interessi di signori della guerra che siedono nelle grandi assise mondiali e che in giacca e cravatta si presentano lindi e puliti sulla ribalta mediatica occidentale. Puliti perché altri si sporcano le mani di sangue per i loro interessi.
La storia di Dino è la storia più nobile dell’umanità, di chi in ogni epoca e in ogni latitudine ha lottato nel nome degli ideali più nobili ed autentici, indignati, quotidianamente, senza mai indietreggiare, senza mai dire “non mi interessa”, senza mai lavarsi le mani ma anzi pronti a sporcarsele se fosse possibile anche 25 ore al giorno. Le lotte di Dino sono antiche e profonde. Sono le stesse lotte degli scioperi delle mondine dell’Ottocento, dei senzatetto nei latifondi, di chi si è opposto alla bestia nazifascista, degli operai nei primi decenni della rivoluzione del capitalismo industriale. Sono le lotte di chi ha costruito e percorsi strade degli ideali e dei valori democratici più alti, quelli che una “Repubblica democratica” dovrebbe avere al centro e da cui farsi, con totale esclusiva, animarsi.
E allora basta con cerimonie militariste e retoriche intrise di un nazionalismo tutt’altro che democratico e aperto al mondo. Il 2 giugno si poteva dedicarlo a Dino, a portare al centro della politica gli ultimi, gli emarginati, gli impoveriti, i lavoratori, chi lotta contro le ingiustizie, le mafie, la disumanità e la barbarie delle guerre.
In ogni volto di kurdo che continua a lottare per l’affermazione della propria esistenza, in ogni migrante che giunge sulle nostre coste e viene rinchiuso nei CIE, in ogni famiglia rimasta senza casa e prospettive nel futuro, possiamo scorgere gli occhi malinconici e appassionati di Dino Frisullo, nei loro passi i suoi. Mille Alì sognano ancora l’Europa, innumerevoli Leyla dagli occhi “più profondi del mare” vivono ancora nel Kurdistan in attesa del giorno in cui avranno una patria e saranno liberi, sotto il cielo di Zako, nei prigionieri assetati di vita nel deserto del Neghev, nel senza casa che disperatamente vuol sperare nel futuro, nei lavoratori e in tutti coloro che non si arrendono alla cancellazione dei propri diritti e della propria dignità.
La democrazia la difendono coloro che, da Idomeni a Ventimiglia, non si arrendono al respingimento e alla disumanità delle “politiche europee” contro i migranti. Hanno dato un alto esempio democratico i bengalesi che a Palermo si sono ribellati alle mafie. Quelle mafie che si arricchiscono anche col caporalato, presente in tante regioni italiane e alimentato anche da chi lucra sulla disperazione di chi cerca di fuggire da guerre, miseria, dagli effetti più nefasti della globalizzazione capitalista. E anche qua Dino ci ha preceduto e ha alzato forte la voce della denuncia prima di moltissimi altri. Un esempio su tutti: Narcomafie del settembre 1997, quando Dino denunciò, documentando e fornendo dettagli, la “holding degli schiavisti”. Sono dinamiche e fatti che abbiamo poi rivisto negli anni denunciati da “Schiavi” e “Mare Nostrum” di Stefano Mencherini, dai tanti dossier sul caporalato che negli ultimi anni associazioni, movimenti e giornalisti con la schiena dritta hanno realizzato. E’ di poco più di un mese fa l’ultima denuncia di Stefano Mencherini su Cesare Lodeserto, è passato un anno (e 4 giorni) dallo sgombero con la forza a Milano di una donna incinta di 7 mesi, costretta poi a dover ricorrere urgentemente ad un ambulanza perché si era sentita male mentre la buttavano fuori di casa, nel novembre scorso analoga sorte toccò anche ad un bambino gravemente malato a Bologna, sono cronaca quotidiana gli omicidi di donne che non hanno accettato il dominio e il possesso di un “maschio”, intriso di quel barbaro e ripugnante maschilismo per il quale le donne devono solo servire i loro desideri e valgono solo corpo. Finché accadranno ancora questi fatti ci sarà solo da lottare e impegnarsi per riparare e migliorare la democrazia e il mondo che ci circonda. Non c’è altra strada. Altro che parate militare e cerimonie piene di retorica a buon mercato …