Chiedilo ad un bambino
L’eredità di Gianbattista Scidà
di Mara Trovato
Catania, anni Ottanta. Il corpo di un ragazzo su un marciapiede in Via Vittorio Emanuele. La bocca spalancata, da cui esce un rigagnolo di sangue, nessuna persona intorno, deve essere appena successo.
Sull’autobus un sussulto unanime “bedda matri!” seguito dalle varie supposizioni “L’appunu ammazzari ora…”. Una ragazza, anche lei sull’autobus, con il suo zaino in spalla sussurra: “io oggi non mangio”.
Si può processare mentalmente una frase simile davanti a quella scena? Si può. Ci si abitua a tutto. E di morti ammazzati, di inseguimenti, di posti di blocco la generazione degli anni Ottanta dovrebbe averne un chiaro ricordo come il reiterare della frase: “la mafia a Catania non esiste!”
Poi l’allarme da parte del Tribunale per i Minori: troppi ragazzini in mano alla criminalità. Troppi scippi, rapine, furti, spaccio di droga.
L’eroina girava in quantità, i ragazzi ne morivano. E la sciara nascondeva per giorni i loro corpi. Al ritrovamento, il più duro dei commenti: “unu cchiù picca” (uno in meno), mentre la madre lo piangeva.
Le statistiche riportavano Catania tra le città con il più alto tasso di delinquenza minorile. Dov’erano le famiglie di questi ragazzi? Cosa gli stava succedendo? Una città sempre più cupa e omertosa. Forse per qualcuno una bella città: qualche locale alla moda, i cinema, le discoteche, un appartamento sulla scogliera, le giuste conoscenze. Ma per chi viveva nei quartieri dimenticati, la città era matrigna.
Gianbattista Scidà ne parlò. Parlò di quartieri costruiti senza spazi verdi e scarsità di luoghi di aggregazione, dell’assenza di strutture scolastiche, di scarsa presenza delle forze dell’ordine, di diritti negati. Disse che bisognava ampliare lo sguardo, non limitandosi soltanto ad interventi diretti sul minore ma modificando l’ambiente in cui esso viveva. Il minore al centro dell’ attenzione, sempre.
Tuffiamoci nel presente.
Siamo andate a trovare la presidente del Tribunale per i Minori, Maria Francesca Pricoco, consapevoli che nonostante il percorso tracciato da Titta Scidà ci sia ancora tanta strada da percorrere.
Scopriamo che tra le ultime proposte, c’è quella di far sparire il Tribunale per i Minori, accorpandolo a quello ordinario e abbassando l’età punibile.
Inevitabilmente fanno eco le parole di Scidà: “L’esperienza dimostra che quando si delega tutto alle istituzioni, e ci si rifiuti al dovere civico di sostenerle controllandole, può anche accadere che esse, invece di servire l’interesse pubblico, lo sacrifichino ad istanze di segno opposto”.
E poi ancora :“Non è possibile fare qualcosa per i minori, se si fa solo per loro, prescindendo dal contesto che ne determina la sorte”.
E le parole di un amico: “Per sapere cosa serve a Catania basterebbe chiederlo a un bambino: spazi dove poter stare insieme, una casa, qualcosa di buono da mangiare”.
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Intervista al Presidente del Tribunale per i Minori, Maria Francesca Pricoco.
di Ivana Sciacca, Mara Trovato, Michela Lovato, foto di Mara Trovato
Cosa cambierebbe con l’accorpamento del Tribunale per i minori a quello ordinario? A Catania, quali saranno le conseguenze della soppressione del Tribunale nei quartieri e nelle zone a rischio?
La riforma, attualmente all’ esame presso la Commissione Giustizia del Senato, prevede dei cambiamenti che farebbero venir meno l’esercizio della funzione della giustizia minorile all’interno di un tribunale autonomo qual è, attualmente, quello per i minori. Con la riforma la funzione minorile verrebbe esercitata da una sezione specializzata distrettuale ma all’interno del Tribunale Ordinario e sotto direzione del presidente di questo Tribunale, e quindi senza più alcuna autonomia gestionale. Nella sede della Corte d’Appello questa sezione tratterebbe, oltre alle materie minorili, quelle riguardanti la famiglia, la tutela, anche degli adulti disabili, e i procedimenti per la protezione internazionale relativi agli adulti.
Con la conseguenza che per la complessità delle materie e per i diversi riti processuali non sarebbe facile ed efficace l’organizzazione del lavoro senza una autonomia gestionale. Ciò potrebbe far saltare un sistema che ha sempre funzionato ed il rischio è che l’ attenzione esercitata finora in maniera esclusiva e diretta, sull’interesse del minore verrebbe meno e si potrebbe disperdere la specializzazione fino ad ora acquisita e messa in atto.
Secondo quale idea di miglioramento è stata avanzata questa proposta?
Premesso che occorre migliorare l’attuale sistema della giustizia minorile e familiare e che la possibilità di riunire entrambe le materie dinanzi ad un unico ufficio giudiziario è la soluzione auspicabile, occorre sottolineare come l’attuale proposta di riforma persegua prevalentemente l’obiettivo di ridurre la spesa pubblica e che, d’altra parte, per il medesimo obiettivo di contenere questa spesa, pare, non possa essere istituito un Tribunale autonomo che si occupi di minori e di famiglia. Per questa ragione non sono stati presi in considerazione i progetti di legge che prevedono quest’ultima soluzione.
La povertà è madre delle ingiustizie sociali ma spesso anche del disagio minorile. Si assiste di frequente a casi come quello della bambina di Librino, periferia di Catania, che veniva venduta dai genitori in cambio di spesa. Come intervengono/dovrebbero intervenire le istituzioni in questo senso?
Dagli studi dell’Università di Scienze Politiche di Catania del 2013, emerge che il nostro territorio è molto povero. Molte famiglie sono disoccupate e non hanno la possibilità di vivere in maniera dignitosa. Analfabetismo, ignoranza e uno scarso senso di protezione verso la prole, determinano casi come quello che avete citato. Caso simile a Napoli, lì però i due bambini sono morti. Omertà, nessuna responsabilità, mancata solidarietà. Tutti fattori che ostacolano l’aiuto al minore.
Come potrebbero intervenire le istituzioni? Potenziando i servizi sociali nei quartieri disagiati, le attività di ascolto nelle scuole. La ragazzina in questione, per esempio, frequentava la scuola ma probabilmente, non è riuscita a crescere in un ambito di fiducia. Ha però trovato in un’altra persona della sua famiglia ascolto, e ciò l’ha aiutata ad uscire dalla quella situazione. E’ necessario che i minori vengano seguiti ed accompagnati in ogni fase e momento della loro crescita.
Paradossalmente, invece, a Catania le scuole vengono chiuse o decentrate, e non se ne parla. Perché secondo lei? Per non parlare dello scarso numero di assistenti sociali.
Da molti anni il Tribunale per i minori si è adoperato per sensibilizzare e promuovere adeguate risorse scolastiche e quelle dei servizi. A causa della mancanza di programmazioni economiche per i servizi del territorio non vengono espletati da tempo i concorsi pubblici per ricoprire i posti ormai vuoti di molti assistenti sociali. Rispetto all’inizio degli anni ’90 il numero si è attualmente dimezzato. Anche nel servizio sanitario: nessun potenziamento delle strutture che riguardano i minori e un basso numero di interventi per potenziare alcuni servizi specializzati per l’infanzia. Prima le strade o altre infrastrutture, poi altre attività legate al risanamento del territorio, e alla fine, poca attenzione agli interventi di sostegno per i minori, ai quali invece viene tolto spazio. Gli interventi a tutela della persona, spesso, vengono tralasciati rispetto ad altre iniziative, pur utili, che riguardano beni materiali.
Oltre alle istituzioni vi è la responsabilità di ogni singolo cittadino. Come si potrebbe promuovere una cultura sociale attenta al prossimo?
In una società coloro che si spendono per gli altri, che potrebbero avere il coraggio di agire per dare aiuto e vicinanza, se non si sentono protetti, rassicurati, sostenuti, tendono a fare un passo indietro.
Per questo è necessario che accanto alla disponibilità di volontari vi sia anche l’intervento professionale e culturale delle istituzioni. In questo modo potrebbero essere potenziate quelle risorse che soprattutto nelle nuove generazioni possano potenziare uno slancio maggiore e coinvolgere anche gli adulti ormai disincantati.
Ci vogliono professionalità attente in ogni luogo dell’infanzia e dell’adolescenza : nella scuola, nella sanità e nella giustizia, nei luoghi di aggregazione e di socializzazione al fine di creare rapporti di fiducia e risposte che colgano i bisogni. Investire nei bambini e nei ragazzi significa migliorare la vita di tutti, pensando al futuro.
Anche se i dati ufficiali parlano di diminuzione dei reati minorili, l’attenzione verso i minori continua ad essere inadeguata: dal numero insufficiente di assistenti sociali nei quartieri popolari all’accoglienza di migranti minorenni che spesso non prevede i giusti supporti psicologici e materiali. Si può vedere anche dalla proposta del ministro Alfano che vorrebbe abbassare l’età punibile. Perché questa disattenzione? Oggi dovremmo essere più sensibili.
In una società in crisi il caos è inevitabile: il caos della vita, dei valori, della convivenza in genere. In situazioni così confuse e perdute, coloro che hanno il compito di governare la nostra società si rifugiano dietro gli ordini, l’autorità. È più immediato, semplice dire: “ti ordino di non entrare nel nostro paese!” “se commetti reati anche se sei piccolo vai in carcere!”, senza considerare che non è la punizione la soluzione, non è la repressione, non sono le barriere che risolvono i problemi.
Sono diminuiti i reati minorili? Non è così, sono piuttosto diminuiti gli arresti. Nel 2015 c’è stato un evidente calo degli arresti dei minori, il che non significa che sia diminuita la criminalità minorile. Nel 2014/2015 non c’è stato un rinnovamento in termini numerici delle forze dell’ordine e molti militari sono stati impegnati in altre attività, quali quelle di fronteggiare i numerosi sbarchi sulle nostre coste. Di conseguenza alcuni territori a rischio sono stati privati del controllo con difficoltà a procedere all’accertamento dei reati. Nei primi mesi del 2016 il numero degli arresti minorili si è rialzato con ciò dimostrandosi che, appena le forze dell’ordine sono di nuovo in campo nel territorio, i comportamenti criminali vengono rilevati e che la condizione della devianza minorile è rimasta invariata.
Emergenza profughi minorenni: come la sta affrontando lo Stato? Quali mezzi di controllo a tutela del minore ha a disposizione? Ci sono numeri allarmanti su sparizioni.
Il tribunale per i minori di Catania è molto impegnato nella tutela dei minori stranieri non accompagnati, crediamo di non poter rimanere indifferenti e anche se non abbiamo una legge organica e completa che ci indichi la strada, possiamo trovare le soluzioni attraverso l’interpretazione delle norme esistenti, seppure ci scontriamo con un sistema che è carente. Il sistema delle strutture non è stato ancora messo a punto, i numeri dei migranti sono alti e i centri di accoglienza saturi. Tutto ciò crea disagio e l’organizzazione sta andando in tilt. Non c’è un metodo articolato di distribuzione delle risorse, e nonostante gli sforzi delle prefetture e delle questure, della protezione civile, della croce rossa, di tutte le organizzazioni umanitarie coinvolte nei luoghi di sbarco, è carente l’organizzazione centralizzata per il monitoraggio delle risorse di accoglienza e del percorso dei migranti. Il numeri dei minori non accompagnati che sbarcano nelle nostre coste è arrivato a livelli di ingovernabilità.
All’hot-spot di Pozzallo i più piccoli vengono trasferiti immediatamente presso comunità adatte alle loro età, ma dai 15 anni in poi rimangono in questo luogo di identificazione per le prime settimane in una situazione di stallo. Non c’è nessun interesse a trattenerli lì, c’è invece l’intenzione di risolvere la situazione per esempio cercando di provvedere alla individuazione di una migliore sistemazione a loro destinata.
Tanti commenti negativi da parte della gente. Non si pensa più a come si potrebbe fare per accoglierli meglio, c’è invece molta cattiveria.
Una società in crisi, dove non c’è lavoro, mancano le risorse, i servizi primari, dove si assiste a fragilità psicologiche, interiori, affettive, è una società che non sa come affrontare i problemi. In questa condizione di miseria complessiva, soprattutto sul piano dei valori e dei sentimenti, il rifiuto è legato prevalentemente ad una necessità difensiva, salvo che sia di tipo ideologico. Spesso chi commenta negativamente non conosce la situazione.
Si dibatte su quanto sia ingiusto “affittare un utero” e/o adottare all’estero ma non si parla quasi mai di quanto siano difficili le adozioni e gli affidamenti dei minori in Italia. Adesso si parla tanto di adozione da parte delle coppie omosessuali. Si sposta l’attenzione dall’adozione alle coppie etero.
Quando c’è disponibilità di persone a dare fiducia, a proporsi come affidatari, c’è la soluzione per molti bambini perché gli viene riconosciuto il diritto di crescere in modo migliore. Sta accadendo però che le disponibilità, soprattutto riguardo all’affidamento, stanno venendo meno, alcune famiglie si stanno ritirando, non hanno più quella forza e le stesse motivazioni di una volta. Se, quindi, si sviluppano altre disponibilità occorre esplorarle senza pregiudizio.
Bisogna,in ogni caso, accertare se la disponibilità, sia che provenga da una coppia omosessuale, etero o da un single, sia legata a motivazioni di reale aiuto, generosità, che hanno come interesse solo ed esclusivamente il bene del bambino. Il nostro lavoro sta nel valutare le competenze genitoriali e le motivazioni che spingono verso l’adozione e l’affidamento. L’adozione, l’affidamento sono un impegno, una scelta responsabile e consapevole al di là di molti luoghi comuni e molti alibi, quale le lungaggini della procedura, a cui spesso si ricorre per non acquisire una profonda consapevolezza dell’effettiva disponibilità all’accoglienza di un bambino in abbandono.
Riguardo alla pratica dell’utero in affitto, che prevalentemente appartiene ad un progetto di vita familiare nell’interesse esclusivo di adulti che vogliono un figlio ad ogni costo esprimo il mio disaccordo per la violazione dei principi connessi e l’inevitabile sfruttamento della condizione di bisogno di chi aderisce, per denaro, a questa richiesta.
Che traccia ha lasciato Giambattista Scidà nella storia di Catania?
ll presidente Scidà ha lasciato una traccia profonda nel tribunale per i minorenni di Catania ed ha inciso nella cultura minorile a livello nazionale assumendo il ruolo di Maestro per noi giudici, insieme ad altri autorevoli colleghi.
Tra i suoi più grandi insegnamenti ricordo, anzitutto, le continue sollecitazioni a pensare alla funzione minorile come funzione prossima al territorio a cui si rivolte, alla necessità di ricorrere ad un lavoro di rete e di progettualità con i servizi pubblici di quel territorio e a dedicare il tempo dovuto alla conoscenza delle relazioni familiari e all’ascolto dei minori. Negli anni in cui è stato giudice e poi presidente del Tribunale si è impegnato perché Catania potesse avere un numero sufficiente di assistenti sociali e ha cercato di favorire e potenziare nell’organizzazione dell’Ufficio l’integrazione dei saperi, apportando i temi specifici della psicologia, della neuropsichiatria infantile, della psichiatria, della pedagogia nella consapevolezza che il diritto, da solo, non avrebbe potuto consentire la necessaria specializzazione del giudice minorile.
Lo ha fatto non solo attraverso un percorso culturale, proponendo testi di studio, ma anche coltivando la cultura dei giudici minorili onorari, che compongono il tribunale insieme ai giudici professionali. Ha creduto nel lavoro collegiale e nel valore della camera di consiglio, creando anche gruppi di lavoro, quale il gruppo per la scelta delle coppie adottive. Dei suoi rinnovamenti e del suo metodo di lavoro professionale ancora il tribunale per minorenni di Catania trae benefici proseguendo nel difficile percorso della giustizia per le persone più indifese e vulnerabili.