giovedì, Novembre 21, 2024
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Migranti: un ventennio di violenze, abusi e diritti negati

L’ Europa non accoglie, respinge.

La cronaca di questi giorni sta squarciando il velo di propaganda, bufale e menzogne intorno all’arrivo dei migranti. La fortezza Europa non accoglie, ma respinge con violenza, senza pietà. Altro che hotel di lusso e alberghi a cinque stelle: troppe volte ci sono state solo condizioni disumane, degrado (anche sanitario), botte e violenze, abusi, diritti umani calpestati. 


 

Un mese fa circa sono stati sequestrati sette centri in provincia di Avellino per cibo scadente, strutture fatiscenti e scarse condizioni igienico-sanitarie. Un’inchiesta de L’Espresso di quasi due anni fa denunciò alcuni capannoni vicino Ragusa dove erano di routine le violenze sessuali, durante festini per parenti e amici dello sfruttatore.

Molto prima che diventasse noto alle cronache nazionali con l’inchiesta su “Mafia Capitale”, la Rete antirazzista catanese aveva prodotto denunce su quel che accadeva nel Cara di Mineo, attaccando “la disastrosa gestione d’ingentissime risorse pubbliche per il mega-business della pseudo-accoglienza”. Secondo la Rete le condizioni di vita dei migranti peggiorano costantemente e “la media di abitanti nelle case è di oltre venti persone e le condizioni d’indigenza costringono molti migranti a lavorare in nero per dieci o quindici euro al giorno nelle campagne; inoltre dilagano anche la prostituzione e lo spaccio di droga”. “Questo mega-CARA, unico in tutta Europa, è un esperimento fallito di contenimento forzato dei migranti, che vengono parcheggiati a tempo indeterminato e che sta costruendo un conflitto razziale tra autoctoni e migranti: da una parte i richiedenti asilo vengono supersfruttati dai caporali nelle campagne, dall’altro la destra xenofoba alimenta nel calatino la “guerra fra poveri”, mentre con Mafia Capitale i fascio-mafiosi si sono arricchiti sulle nostre spalle e dalle nostre tasche” la conclusione del durissimo j’accuse della Rete. Nei giorni scorsi gli attivisti “No Frontex – No Hotspot – Mai più Lager” hanno denunciato che una brutta copia del centro di Mineo potrebbe sorgere a Messina, ampliando e trasformando in un “megahub” una ex caserma. Gli attivisti respingono tale possibilità e, anzi, chiedono di “chiudere immediatamente gli scandali disumani della tendopoli del Palanebiolo e della caserma Bisconte”. 
Poco prima dello scorso Natale un appello sottoscritto da decine di militanti, associazioni e movimenti ha denunciato la situazione in cui “centinaia di migranti in maggioranza eritrei sono stati illegalmente detenuti a Lampedusa per settimane perché si rifiutavano di farsi prendere le impronte digitali: non perché avessero qualcosa da nascondere, ma perché avrebbero voluto raggiungere i loro cari che si trovavano in altri paesi  dell’Unione europea”.

Un rapporto di Oxfam, Asgi e A Buon Diritto e un’inchiesta de L’Espresso nel dicembre scorso hanno denunciato negli hotspot “gravi violazioni dei diritti umani” tra cui “interviste sommarie a persone ancora sotto shock” e “nessuna informazione circa la possibilità di richiedere protezione internazionale”. 

Antonio Mazzeo ha pubblicato un nuovo articolo sul suo sito documenta la situazione dei “minori non accompagnati” e quello che ha definito il “girone infernale di Messina”. Nonostante la maggior parte di essi abbia manifestato la minore età, operatori del centro avrebbero omesso la segnalazione. Sembrerebbe che l’avvocato della cooperativa abbia dichiarato che dovranno segnalare la minore età nel luogo dove verranno trasferiti insieme agli adulti, poiché tale prassi non è prevista alla tendopoli. Alcuni di questi minori riferiscono di essere a Messina da oltre due mesi. Tutti hanno segnalato l’insalubrità della tendopoli, una carente assistenza sanitaria, nessuna assistenza da parte dei servizi sanitari territoriali, la mancanza di vestiario adeguato.

È una realtà che si ripete ininterrotta da ormai almeno un ventennio. Popoff Quotidiano ha ripercorso alcune delle vicende di questi anni, dal Cpt “Serraino Vulpitta” di Trapani, teatro nel 1999 di un terribile rogo nel quale trovarono la morte tre migranti, al “Regina Pacis” di San Foca in Puglia ad altre. Quest’ultimo chiuse definitivamente nel 2006 e la sua gestione è stata negli anni al centro di varie inchieste della magistratura, che hanno visto assoluzioni e prescrizioni ma anche condanne per sequestro di persona, minacce, truffa aggravata ai danni dello Stato e simulazione di reato.

Il 2 aprile 2004 furono sgomberati gli occupanti di Via Adda 14 a Milano. I fatti di quel giorno furono al centro della campagna “Via Adda non si cancella”, che definì lo sgombero “un atto di violenza contro trecento lavoratori, disoccupati, donne e bambini, portato a termine da un’imponente operazione militare” col risultato di “condannare per dieci anni alla miseria oltre centocinquanta persone deportate in Romania senza poter verificare la propria posizione in Italia; di spezzare interi nuclei familiari non riconoscendo validi i matrimoni rom, di rimandare altre duecento persone nella favela di via Triboniano permanentemente a rischio di sgombero”. “Coloro che avevano i documenti in regola” denunciarono gli attivisti della campagna “ebbero come alternativa il campo di concentramento di via Barzaghi, un luogo senza luce, con bagni chimici senz’acqua, un rubinetto per settanta persone, un muro di tre metri con filo spinato attorno, e un posto di blocco permanente che impedisce l’accesso ai non autorizzati”.


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I documentari di Mencherini

Il caso “Regina Pacis” fu denunciato in passato dal giornalista Stefano Mencherini, ed è stato aggiornato ancora.

Dieci anni dopo “Mare Nostrum”, Mencherini è tornato sul tema con “Schiavi – Le rotte di nuove forme di sfruttamento”, denunciando il peggioramento della situazione, l’enorme spreco di denaro pubblico e le tantissime violazioni dei diritti umani dei migranti durante l’Emergenza Nord Africa del 2011. A parlare è un migrante che riporta l’unico processo in corso in tutta Europa (a Lecce) per riduzione in schiavitù contro datori di lavoro e caporali di Nardò. Fuggito dalle squadre della morte in Costa d’Avorio, schiavizzato da un proprietario terriero in Libia, nei mesi che precedono il crollo di Gheddafi il testimone del film parte per l’Italia, dove conclude la sua odissea nei campi di angurie in Puglia, passando per i “centri d’accoglienza” del governo italiano durante l’emergenza Nord Africa: Cibo avariato, lavori non pagati, giri di prostituzione e sfruttamento del lavoro. Un esodo che ricorda la crudeltà e la disumanità documentata da “Come un uomo sulla terra”.

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