Dopo sessant’anni ancora ruspe
Il comitato San Berillo lotta per non far crollare ogni speranza
“Le belle” son sedute a pettinarsi i capelli, a rifarsi il trucco, una risata e un po’ di cipria e la strada rivive. Sono lì da tempo, più di quanto si possa pensare, uniche testimoni di quella fotografia ormai sbiadita di un quartiere a luci rosse.
C’è una prospettiva inquietante lungo quella strada: a sinistra gli edifici degli anni ’60 frutto di un progetto di rinnovamento, a destra le abitazioni ottocentesche.
Nella penombra delle viuzze l’odore acre di urina e varichina stordisce, mentre il martellare ritmico di un falegname fa eco al cigolio delle ruote di una bicicletta.
Quello che ci meraviglia è trovare la polizia municipale a sorvegliare l’isolato transennato tra via Di Prima e via Pistone: uno degli edifici storici di San Berillo ha ceduto all’incuria del tempo, i solai sono crollati l’uno sull’altro. A resistere solo una piccola stanza che ospitava un senza fissa dimora, che è uscito indenne dalle macerie.
Roberto Ferlito da anni si batte attraverso il comitato San Berillo per la salvaguardia di questo quartiere cercando di sensibilizzare rispetto ad alcune dinamiche.
C’è stato un momento in passato in cui San Berillo è stato un bene comune? Cosa rimane degli spazi di socialità?
In passato il quartiere è stato un luogo di “saperi”, con una filiera produttiva ed intense attività culturali. Dopo lo sventramento, San Berillo ha cessato di essere un riferimento produttivo.
In passato la socialità era favorita dalla fitta rete di stradine e vicoli, dove si svolgevano la maggior parte delle attività produttive: era inevitabile incontrarsi! Queste dinamiche sono sopravvissute ma del tutto ridimensionate.
In questi anni il lavoro del nostro comitato si è concentrato sui luoghi di socialità in continuità con il passato, organizzando delle tavolate in strada in collaborazione con l’Arci e delle feste da ballo negli spazi di Officina Rebelde. La partecipazione a queste iniziative non è totale perché gli abitanti del quartiere sono, purtroppo, abituati ad essere sfruttati dai vari poteri o da chi scrive o fotografa, tanto da dimostrare una certa reticenza e rassegnazione.
Con le tavolate organizzate di “Porte aperte a San Berillo” cosa avete notato?
Hanno preso parte alle tavolate tanti ragazzi portando del cibo: anche grazie a loro si è creata un amalgama con gli abitanti.
Storicamente su San Berillo è stata costruita un’immagine negativa, per creare consenso presso la pubblica opinione così da avvallare il progetto di sventramento. Questa operazione non ancora oggi non è finita: tutte le notizie su San Berillo contengono messaggi negativi. Comunicare un’altra immagine non è solo restyling ma un’operazione politica che toglie argomentazioni “forti” a chi vuole che il quartiere debba essere cambiato con le ruspe perché degradato.
Nella pratica come si combatte tutto questo?
Entrare nel quartiere vuol dire acquisire consapevolezza: per questo organizziamo visite con i ragazzi dell’università e non solo. Le loro reazioni spesso sono legate a ciò che leggono sui giornali: attraverso le nostre visite puntiamo sulla formazione di una coscienza critica.
In questo quartiere ci sono diverse barriere: in termini pratici cosa comportano?
Le barriere esistono e non si può far finta che non ci siano, ma sono le stesse che dividono un quartiere degradato come San Cristoforo dalla città bene. Le diverse zone possono e devono comunicare mantenendo ognuna la propria natura.
Questa è una delle caratteristiche che contraddistingue Catania: diversità e pluralità di culture. Perché nascondere ed occultare la storia?
Gli abitanti sono stati lasciati soli per troppo tempo, la conseguenza è stata la perdita di riferimenti e la diffidenza.
Da diversi anni lavoriamo per scardinare tutto questo, da poco iniziamo a raccogliere i frutti. Ad esempio era impensabile che le prostitute di via Pistone e via delle Finanze partecipassero ai pranzi in strada. Eppure gli ultimi eventi li abbiamo organizzati perché sono stati richiesti da loro. Si sono rese conto che c’è un’altra dimensione oltre a quella lavorativa, che può essere anche più piacevole del fatto di guadagnare dei soldi. Questo scambio umano che si sta creando è qualcosa di cui abbiamo bisogno tutti.
Cosa è accaduto il 16 novembre dopo il crollo dell’edificio in via Pistone?
Il Comune ha chiesto lo stato di emergenza e calamità: ciò consentirà di aggirare le normali procedure senza interpellare né la sovraintendenza né i privati.
Quindi non si terrà conto neanche di chi ci abita?
Quello è l’ultimo problema. San Berillo da chi è abitato? Dai senegalesi e dalle prostitute, quanto contano?
Nel tratto che hanno chiuso non abitano senegalesi. C’è la casa di Amelia che, pur essendo proprietaria, non può entrare a casa! Ci abitano anche due senzatetto e hanno mandato via tutte le ragazze che lavorano lì. Il crollo ha coinvolto anche l’edificio adiacente al residence Casta Diva, provocando ingenti danni, quindi tutti i bassi di via Pistone e di via delle Finanze…
Sono stati liberati?
Hanno saldato le porte raggiungendo il loro obiettivo con un’ottima scusa, perché quando c’è di mezzo la sicurezza non si può ribattere. La cosa assurda è che hanno chiuso con un’ordinanza preventiva, perché i palazzi potrebbero essere pericolanti…
Certo! Il dato di fatto è che non hanno ancora proceduto con un sopralluogo o delle perizie, ma ancora più grave è che nell’ordinanza è prevista la chiusura di un perimetro ma loro hanno arbitrariamente chiuso un’altra strada. Cosa che abbiamo posto all’attenzione del responsabile che ci ha risposto: “Sì è vero, c’è stato un errore nell’ordinanza, stiamo provvedendo all’integrazione”. Sono già trascorsi quattro giorni e ancora non c’è stata alcuna integrazione.
Il comune sembra aver trovato il modo per controllare la situazione?
Bisognerà capire con quali modalità verranno eseguite queste demolizioni, che cosa verrà ricostruito e chi ricostruirà. I privati dovranno svendere? Si prospetta uno scenario molto complesso.
L’assessore all’urbanistica e al decoro urbano Salvo Di Salvo che risposte ha dato?
Ha risposto che non è lui l’interlocutore interessato, ma l’ufficio dei lavori pubblici, però l’assessore Di Salvo è giornalmente qui a visionare la situazione.
Cosa pensate di fare come comitato?
Vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica. Abbiamo già esposto una richiesta formale in prefettura, in sovraintendenza, e al sindaco, affinché indica un’assemblea cittadina per esporre le intenzioni e le procedure che intendono seguire. Anche se il sindaco ha già dichiarato: “A sensazione prevedo parecchie demolizioni”.
Quello che mi fa arrabbiare è che stiamo vivendo un’ingiustizia. Le dinamiche a distanza di sessant’anni non sono cambiate. Nonostante da più di cinque anni organizziamo incontri e proponiamo progetti, adesso che potremmo partecipare attivamente ci tagliano fuori!
La speculazione che può generarsi è evidente: ad esempio l’edificio crollato ha procurato dei danni al residence Casta Diva, che sappiamo essere di proprietà di una società di Costanzo. Le probabilità che i proprietari del vecchio edificio non possano sostenere le spese per i danni causati sono altissime. Di conseguenza la società si accorderà acquisendo l’edificio fatiscente ritrovandosi un’area edificabile enorme nel centro storico.
Una possibile proposta sarebbe quella di costituire un fondo patrimoniale così da metterci a pari livello degli speculatori. Nel senso che se i proprietari sono costretti a svendere, piuttosto che farlo con un mafioso o uno speculatore possono rivolgersi a un fondo patrimoniale costituito da cittadini attivi che magari in quel luogo possono realizzarci qualcosa di pulito. La lotta che bisogna intraprendere è quella del cambiamento delle dinamiche e del sistema, e questo bisogna farlo con tutte le altre associazioni di cittadinanza attiva.