Mazzette e discariche, riprende a Palermo il processo Terra mia
Il processo, scaturito dall’inchiesta Terra mia – condotta dalla procura di Palermo e dalla Dia di Agrigento – dello scorso luglio che vede coinvolti con l’accusa di corruzione il funzionario dell’ufficio dell’assessorato regionale al Territorio e ambiente addetto al rilascio e il rinnovo delle Aia (Autorizzazione integrata ambientale) per gli impianti di smaltimento dei rifiuti, Gianfranco Cannova e gli imprenditori della munnizza Antonioli (Tirrenoambiente), Proto (Oikos) e i fratelli Sodano (Soambiente), è ripartito oggi davanti la terza sezione del tribunale palermitano, senza la costituzione di parte civile della Regione siciliana che, nonostante la gravità delle accuse, è stata consigliata dall’avvocatura dello Stato di non costituirsi parte civile. Le mazzette «non sono un fattore di particolare allarme sociale» è il parere espresso dall’avvocatura.
L’inchiesta, partita nel 2011, attraverso un complesso sistema di intercettazioni ha delineato il ruolo centrale del funzionario Cannova, accusato non solo di fare da mediatore nei rapporti tra la macchina regionale e gli imprenditori legati al settore dei rifiuti, ma anche di avvisare i responsabili degli impianti in occasione dei controlli delle autorità e di consigliare le procedure da seguire o ricorsi da presentare in cambio di denaro, viaggi, soggiorni in alberghi di lusso, impianti stereo e un’automobile, un’Audi, acquistata da una concessionaria della provincia di Novara che sarebbe stato uno dei “regali” ricevuti da Cannova da parte di Giuseppe Antonioli, ex ad (e attuale direttore generale) di Tirrenoambiente, società proprietaria della discarica di Mazzarrà sant’Andrea nel messinese. L’imprenditore è anche amministratore delegato della novarese Osmon spa, società titolare di un impianto per la produzione di biogas all’interno della stessa discarica. La struttura è oggi chiusa dalla magistratura e sull’iter seguito da Cannova pendono due sentenze del Tar che hanno annullato le due Aia rilasciate dall’ex funzionario. Anche in questo caso non sarebbe mancato il passaggio di denaro contante e le promesse: l’ex dipendente regionale avrebbe avanzato l’ipotesi di una partecipazione della Tirrenoambiente ad altre gare per impianti nel resto della regione.
Molto più stretto sembrerebbe invece il legame tra Cannova e Domenico Proto, presidente della catanese Oikos. Secondo la ricostruzione dell’accusa, l’ex funzionario – in cambio di denaro, prostitute, vacanze e una tv da 16mila euro – avrebbe permesso l’ampliamento della discarica di contrada Valanghe d’inverno, vicina a quella ormai satura di contrada Tiritì. In alcune occasioni, Gianfranco Cannova avrebbe anche consigliato a Proto come agire, sia in occasione dei controlli dell’Arpa che nella gestione dei cosiddetti fermo impianto. Situazioni nelle quali la procedura prevederebbe l’allerta delle autorità competenti e il blocco dello stoccaggio dei rifiuti, ma che non sarebbe stata messa in atto producendo – secondo quanto appurato nel corso delle indagini – oltre 700mila euro di utili. Il dipendente regionale avrebbe pure consigliato alla OIkos di aumentare i costi del conferimento in discarica, suggerendo di addurre come causa il costo maggiore del carburante ostacolando anche la potenziale concorrenza, come quella creata da un nuovo impianto nel territorio di Ramacca. Un iter che sarebbe stato stoppato proprio da Cannova con un provvedimento Aia negativo.
Mentre i fratelli Nicolò e Calogero Sudano, rappresentanti della Sicedil srl e della Soambiente srl, società con interessi nell’ambito dello smaltimento dei rifiuti nell’agrigentino, avrebbero chiesto l’intercessione del funzionario per le autorizzazioni degli impianti di Pachino e Noto (in provincia di Siracusa) e di Sciacca e Siculiana, ad Agrigento. Su Pachino sarebbero state numerose le pressioni – anche dell’ex governatore Raffaele Lombardo – per impedire la creazione di un nuovo impianto, facendo registrate i malumori dei due imprenditori. Nonostante tutto, i fratelli avrebbero pagato mazzette per almeno centomila euro e un cesto con prodotti natalizi, oltre alla promessa di una villetta nei dintorni della Scala dei Turchi.
La gravità del quadro a carico degli imputati, soprattutto nei confronti di Cannova, ha spinto il tribunale a non accettare la richiesta di patteggiamento proposta dai legali di quest’ultimo a quattro anni di carcere. Il processo potrebbe concludersi – nelle intenzioni degli inquirenti– probabilmente entro l’anno.