Il muro di Calais
Siamo al confine tra Francia e Inghilterra, sulle rive del Canale. Duemilaquattrocento esseri umani in fuga sono in attesa di raggiungere l’ultima meta della loro odissea
“Ma è sicuro che siamo arrivati a destinazione?” si preoccupa un ragazzo sull’autobus che collega Parigi a Londra vedendomi scendere a Calais.
Sono l’unico a scendere in quella che è ormai nota come la città da cui i migranti tentano di raggiungere l’Inghilterra. Siamo a nord est, non lontano dal confine col Belgio. Dover e le sue bianche scogliere distano solo 33 km. Quando il cielo è terso le si possono scorgere perfino dalla spiaggia di Calais. Guardando il mare vengono in mente le scene del commovente film Welcome.
Oggi secondo la prefettura sono presenti in zona oltre 2400 migranti. Sono uomini e donne, bimbe e bimbi, sudanesi, eritrei, siriani, afghani, iracheni. Hanno storie terribili alle spalle e molti di loro vogliono raggiungere l’Inghilterra, dove sperano di trovare un lavoro e di rifarsi una vita.
Visitarli è come entrare in un campo profughi. Vivono in condizioni disumane in squats e jungles. Gli squats sono vecchie case, capannoni o infrastrutture abbandonati e trasformati in alloggio precario, mentre viene chiamata jungle quella che potremmo assimilare a una tendopoli.
La zona a più alta densità di migranti si trova presso la fabbrica chimica della Tioxite. I suoi terreni sono avvelenati, le acque inquinate e l’aria a tratti irrespirabile.
Nonostante ciò centinaia di esseri umani continuano a viverci e a lavarsi con queste acque biancastre. I più ricchi o coloro che sono appena arrivati passano la notte in hotel. Il costo di una notte per una famiglia di tre persone si aggira intorno ai 110 euro. Ahmed, 24 anni, siriano, ingegnere informatico, racconta che un posto in camerata può costare 15 euro a notte.
Di giorno e di notte provano a nascondersi sotto i camion o nei container per entrare nei ferry diretti verso l’Inghilterra e raggiungere l’Eldorado. Altri provano a passare con documenti falsi ma è troppo rischioso, perché se scoperti si è espulsi dall’Europa. Quelli che se lo possono permettere pagano un passeur, che, se “onesto”, trova un passaggio per l’Inghilterra su un’auto o un camion di un complice. Il sistema è mafioso.
In fuga dall’Isis
Sofia, professoressa di matematica e madre di due gemelli e di una bimba di sei anni lo sa bene. Costretta a fuggire dall’Iraq dopo essere stata minacciata dall’Isis perché cristiana, ha pagato 48 mila euro per un visto per la Polonia. Da lì è arrivata a Calais e ora vuole raggiungere l’Inghilterra per cominciare una nuova vita. La prima volta che ha contattato un passeur è stata ingannata e ha pagato 8 mila euro per niente. Inshallah il marito la raggiungerà presto.
I controlli al porto e nelle stazioni di sosta per i camion sono serratissimi, presidiati dalle forze di polizia, dai vigilanti privati e dalla criminalità. Dal 2003 con gli accordi di Touquet, le frontiere inglesi si trovano in territorio francese, nella zona portuale di Calais.
“Ogni individuo ha diritto…”
Questo settembre i due ministri dell’interno, Cazeneuve e May, hanno firmato un accordo che prevede un versamento nelle casse francesi di 5 milioni all’anno per tre anni, per finanziare il consolidamento delle frontiere. In pratica il Regno Unito paga la Francia per fare il lavoro sporco a casa sua.
Articolo 13 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.”
Ma perché rischiare la vita e spendere i risparmi di una vita quando si potrebbe depositare la domanda d’asilo in Francia o in un altro paese europeo?
Questi uomini e queste donne hanno fretta di voltare pagina e di cominciare una nuova vita. Cominciare le pratiche per richiedere il permesso di soggiorno in Francia può chiedere anche qualche anno; in Inghilterra, invece, qualche settimana. Maria, 28 anni, etiope, è esperta di marketing e vive a Sheffield, dove ha ottenuto i documenti in tre settimane. Il fidanzato, Elias, 28 anni, farmacista, sta provando a raggiungerla da mesi.
Inoltre per molti di loro la sola lingua europea nota è l’inglese e vogliono studiare nelle prestigiose università britanniche.
Le storie che custodiscono nei loro cuori sono terribili: i siriani scappano dalla guerra, gli afghani sono stanchi dell’instabilità del loro paese dilaniato dalla violenza, gli eritrei fuggono da una dittatura che impone il servizio militare fino ai 55 anni per uomini e donne.
Un giorno vengo fermato da un gruppo di afghani che parlano perfettamente l’italiano. Vengono da Modena e Piacenza. Hanno tutti il permesso di soggiorno ma non trovano lavoro. Preferiscono rischiare la vita, raggiungere l’Inghilterra e viverci da clandestini ma lavorando piuttosto che avere i documenti e restare inattivi.
Gli eroi del nostro tempo
In confronto alle loro vicende l’Odissea non è niente. Sono questi uomini e queste donne gli eroi del nostro tempo. Ma non sono mitici, sono reali.
Ci sono persone generosissime, che offrono ad ogni occasione il nulla che possiedono. Visitando lo squat della Tioxite, ovunque ci viene offerto tè e caffè. Ci fermiamo al ristorante etiope, dove ci viene servito del superbo doro wat a base di salsa e pollo su deliziose ‘njera.
James, sudanese, 35 anni, mi dice che vuole raggiungere Dover a nuoto. Gli spiego che è impossibile. Provo a convincerlo dicendogli che perfino nel film Welcome il protagonista non riesce a raggiungere l’Inghilterra a nuoto. Ma niente: dal giorno dopo il nostro incontro non lo vedo più e risulta non raggiungibile. Forse i fondali della Manica custodiscono un’altra vittima dell’egoismo europeo.
Un giorno visitiamo la jungle delle dune, una spiaggia dove molti migranti hanno installato tende e cucina da campo. Non incontriamo nessuno perché ci dicono che la notte prima ci sono stati molti scontri tra sudanesi ed etiopi. In compenso uscendo incontriamo cinque poliziotti in assetto antisommossa che ci bloccano.
Da un lato cinque ragazzi con la pettorina della Caritas che portano pesanti taniche di caffè, dall’altra cinque poliziotti armati fino ai denti. Senza alcuna motivazione ci tengono fermi in piedi. Un modo per ricordarci chi ha il potere.
La polizia antisommossa è ovunque.
Molti sono violenti con i migranti e numerosissime sono le denunce che raccoglie settimanalmente Médecins du monde. Ma talvolta sono proprio questi poliziotti a difendere i migranti dalle aggressioni dei calesiani. La tensione è palpabile in città: per le strade e nei ristoranti si sentono discorsi razzisti di cittadini stufi di quella che considerano un’invasione.
Una mattina accompagniamo i volontari della Caritas a portare un caffè, un sorriso e una parola di conforto a dei siriani accampati sotto un palazzo nella zona del porto. Al nostro arrivo una vecchietta comincia a insultarci dalla finestra. Il giorno dopo qualcuno rompe i vetri posteriori di uno dei furgoni della Caritas.
“Mai vista tanta ostilità”
Ogni giorno i volontari e i migranti vengono insultati o guardati di malocchio. L’ambiente è davvero ostile. Joel, volontario impegnato ad aiutare i migranti a Calais da oltre venti anni è molto preoccupato perché non aveva mai visto tanta ostilità nei confronti dei migranti.
Nel pomeriggio, alle 16 o alle 17, Salam o l’Auberge des migrants si occupano di fornir loro un pasto caldo. Oltre 1000 persone si accodano già dalle 15 per cercare di prendere un pasto.
Qui e negli squats i giornalisti prendono d’assalto questi disperati per racimolare storie da pubblicare. Il riferimento per conoscere quello che accade realmente a Calais e dintorni resta il blog di Philippe Wanesson.
Il resto del tempo il Secours Catholique è in prima linea. Offre assistenza legale e un locale riscaldato.
Pochi mesi fa il comune di Calais ha sfrattato la Caritas dalla sua sede. Fortunatamente si è riusciti a riutilizzare una vecchia macelleria e adesso oltre cento migranti vengono quotidianamente in questi locali per riscaldarsi, ricaricare i cellulari e riposare.
Nonostante il gran numero di migranti e richiedenti asilo che necessitano assistenza, sono solo tre gli impiegati della Caritas. Per il resto, l’aiuto è possibile grazie alla generosità di decine di volontari, che dedicano davvero tutto il loro tempo libero all’aiuto dei migranti.
La scena più commovente è quella della distribuzione del pasto alle 16 o alle 17. Un serpentone di oltre mille esseri umani, il volto scavato dalla fatica e dal freddo.
Di primo acchito si potrebbe pensare a scene da campo di prigionia, ma bastano un sorriso e una stretta di mano per restituire l’umanità ad una comunità che rischia di perderla.
Forse fra poco sarà attivo in periferia un centro d’accoglienza diurno. Forse risolverà qualche problema, ma sicuramente non la questione dell’alloggio. E permetterà di decentralizzare i migranti… così finalmente la Calais bene non sarà più costretta a guardare in faccia la realtà e ad avere problemi con la coscienza.
Siamo a Calais, in Francia, terra di Libertà, Uguaglianza e Fraternità.