Quella discarica che rischia di implodere
Sequestrata la discarica di Mazzarrà Sant’ Andrea, nel messinese, dai carabinieri su mandato della Procura della Repubblica di Barcellona P.G.
Per quattordici anni un flusso ininterrotto di autocompattatori carichi dei rifiuti di mezza Sicilia ha intasato quotidianamente le strade da Barcellona a Falcone diretto alla discarica di contrada Zuppà.
Una vena d’oro che ha rappresentato un’ingente fonte di guadagno per alcuni imprenditori venuti dal nord oltre che per capi bastone e gregari delle cosche locali.
Poi una mattina accade quello che, pur da tanti auspicato, nessuno si sarebbe mai aspettato. Lo scorso 3 novembre gli autisti di quei compattatori si sono visti sbarrare l’accesso dai carabinieri della compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto e del Noe che stavano eseguendo il sequestro del megaimpianto di Tirrenoambiente.
Il dossier sulle discariche
Il provvedimento è stato adottato nell’ambito delle indagini avviate dalla Procura barcellonese su segnalazione della Commissione ispettiva per la verifica degli atti relativi alle discariche private in esercizio per rifiuti non pericolosi site nel territorio siciliano.
La Commissione – istituita dall’assessore Nicolò Marino, silurato poi da Crocetta – aveva il compito di effettuare verifiche sulle quattro discariche private (Tirrenoambiente, Oikos, Gruppo Catanzaro, Siculatrasporti) che in Sicilia agiscono sostanzialmente in una situazione di monopolio nei diversi territori.
Inquinate le falde
L’obiettivo era riscontrare eventuali violazioni sotto il profilo amministrativo in diversi aspetti: nel rilascio delle autorizzazioni; nella mancanza di un impianto di biostabilizzazione che è un obbligo di legge dal 2003; nei volumi di rifiuti conferiti; nella congruità delle tariffe per tonnellata, punto quest’ultimo, che nessuno aveva mai verificato.
La situazione di Mazzarà è apparsa subito molto grave: c’erano importanti violazioni di tipo amministrativo e penale. Si era sbancato dove non si poteva, non erano state inviate alla Regione segnalazioni imminenti e doverose. Più evidenti le violazioni sotto il profilo ambientale.
È stata quindi avviata la procedura di revoca delle autorizzazioni, disposto la chiusura della discarica e trasmesso i risultati all’autorità giudiziaria competente, perché ritenuti meritevoli di una valutazione d’interesse penale.
E i reati ipotizzati dai pm Francesco Massara e Giorgio Nicola vanno dagli imponenti lavori di sbancamento senza autorizzazione (concessione edilizia, nulla osta del Genio civile e della Soprintendenza) per la realizzazione di un nuovo modulo della discarica in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, che ha trasformato “in modo irreversibile la morfologia dei luoghi”, all’illegittima coltivazione – di oltre un milione di metri cubi – in sopraelevazione della discarica, che ha comportato il concreto rischio di fenomeni franosi con rilevante pericolo per l’ambiente e per la incolumità delle persone. È stato accertato che sulle pareti della discarica esistano “situazioni di criticità”, con fuoriuscita di percolato e che le “acque sotterranee della discarica presentano notevoli indici di inquinamento”.
I vertici di Tirreno Ambiente
Ad essere indagati sono tutti i massimi vertici della Tirrenoambiente – alcuni oggi non più in carica – Antonello Crisafulli, Giuseppe Antonioli – che lascia l’incarico di amministratore delegato ma mantiene quello di direttore generale –, Giuseppino Innocenti, Sebastiano Giambò e Francesco Cannone.
Insieme ai primi sono indagati anche un alto dirigente regionale dell’assessorato Territorio e ambiente,Vincenzo Sansone, un funzionario regionale, Gianfranco Cannova e un funzionario dell’ufficio ambiente della Provincia di Messina, Armando Cappadonia.
Sansone e Cannova per il reato di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, commesso con la sottoscrizione dell’atto che concedeva la Valutazione di impatto ambientale e autorizzava l’ampliamento della discarica., Cappadonia risponde da solo di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici.
Parallelamente alle indagini della procura barcellonese sui reati ambientali – di competenza territoriale delle procure locali – quella di Palermo porta avanti le proprie sul rilascio delle autorizzazioni da parte della Regione.
Tangenti e discariche
Nel luglio 2014 l’operazione Terra mia ha smascherato un giro di mazzette e ha visto il rinvio a giudizio di funzionari regionali e imprenditori del settore rifiuti. Una richiesta che indicava la Regione siciliana come parte offesa.
Il procedimento vede imputati proprio il funzionario dell’assessorato regionale Territorio AmbienteGianfranco Cannova, accusato di aver intascato mazzette in cambio di agevolazioni nel rilascio di autorizzazioni per lo smaltimento dei rifiuti, e Giuseppe Antonioli (Tirrenoambiente) insieme ad altri imprenditori della “munnizza”: Mimmo Proto (Oikos) e i fratelli Sodano (Soambiente).
Il processo ha preso il via lo scorso 12 gennaio, ma la Regione non si è costituta parte civile.
Pagare per evitare i controlli
Cannova, nel corso di un interrogatorio, aveva ammesso di avere intascato tangenti per facilitare le pratiche degli imprenditori. Bastava pagare per evitare i controlli nelle discariche e le possibili chiusure. Il prezzo della corruzione sarebbero stati migliaia di euro in contanti e altri “benefit”. Fatti talmente gravi da far respingere ai giudici la richiesta del funzionario infedele di patteggiamento a quattro anni di carcere.
Mentre le indagini penali vanno avanti, i nuovi vertici di Tirrenoambiente hanno affidato all’avvocato Antonio Dalmazio l’incarico per impugnare il decreto di sequestro e impugnato – deducendone, tra gli altri, il vizio di illegittimità per violazione del principio del giusto procedimento senza prima acquisire in sede conferenza di servizi l’eventuale “dissenso costruttivo”, rispetto al progetto, di tutti gli enti pubblici interessati – davanti al Tar di Catania i provvedimenti del Dipartimento regionale acque e rifiuti.
Chiudiamo? Decida il Tar
Lo scorso 18 dicembre i giudici amministrativi hanno ritenuto la domanda cautelare posta dalla ricorrente «meritevole di positiva valutazione», disponendo «che l’Assessorato competente (Energia e servizi di pubblica utilità, retto oggi dal pm Vania Contraffatto) provveda ad indire ed a riesaminare l’istanza di rinnovo del D.R.S. n. 391 del 21 maggio 2009 (che autorizzava la realizzazione all’interno del sito della discarica di un impianto di selezione e biostabilizzazione), presentata dalla ricorrente, in sede di conferenza di servizi, acquisendo nella citata ultima sede il “dissenso costruttivo” degli enti pubblici a vario titolo interessati, entro il termine di giorni 45 dalla comunicazione o dalla notificazione a cura di parte della presente ordinanza.»
La stessa ordinanza ha fissato l’udienza per la trattazione di merito del ricorso per l’8 aprile 2015.