Ma quale libertà di informazione?
Noi, nudo e crudo, diciamo che non è vero. Sulla libertà di informazione, di espressione e satira siamo agli ultimi posti. Facciamo un lavoro di memoria partendo dalla nostra Sicilia e dalla nostra Catania: in Sicilia, dagli anni 60 agli anni 90, sono stati uccisi dalla mafia 8 giornalisti perchè con le loro inchieste e articoli fecero venir fuori le verità sui rapporti tra mafia e politica, mafia e comitati d’affari e imprenditoria corrotta. Il terrorismo mafioso fermò le penne dei giornalisti migliori: da Mauro De Mauro fino a Beppe Alfano.
Quarant’anni di “censura” violenta e sanguinosa che con la solitudine, l’omertà e la paura fecero sprofondare nell’oblio, nei depistaggi, nella diffamazione, allo scopo di non accertare mai la verità su quei delitti. Gli stessi giornali siciliani,”consorziati” tra di loro, non fecero nulla per difendere quei valorosi giornalisti che per un giornalismo fatto di verità diedero la vita.
Catania, 5 gennaio 1984: viene ucciso dal terrorismo mafioso un uomo, un giornalista, drammaturgo, un artista che raccontava la società siciliana:”puttana e matrigna”, volutamente oppressa dai poteri occulti e nascosti tra mafia e comitati d’affari.
Quell’uomo si chiamava Giuseppe Fava e fu censurato da cinque colpi di pistola. Lo uccisero e poi lo diffamarono affinché la gente di Catania lo ricordasse come un donnaiolo e ricattatore. Ma non fu così, i ragazzi de “I SICILIANI”raccolsero il testimone continuando a raccontare la verità attraverso parole di carta. Sì, fu diffamato e ancora censurato dai notabili catanesi, dall’unico quotidiano della città, dai suoi ex colleghi giornalisti che volutamente si autocensurarono.
Paura di perdere il posto? Di non essere ammessi nella” società bene”? Non sappiamo, e in fondo non ce ne importa nulla! Ne rispondano alla loro coscienza, all’etica giornalistica.
Oggi la mafia non uccide più i giornalisti siciliani: ci pensa il sistema dei grandi editori a censurarli prima. Ci sono ragazzi e ragazze che pieni di entusiasmo vorrebbero indagare sui fatti di cronaca, attraverso un giornalismo che racconti la verità. Ma il “sistema”della grande editoria è lì pronto a impedirlo: “Cara ragazza, vuoi fare la giornalista? Fammi questo pezzo, poi vai in amministrazione dove ti daranno 10 euro, contenta? Vedrai la tua firma sul nostro prestigioso giornale!”.
“Ma veramente io volevo scrivere sui centri commerciali e i soldi riciclati dalla mafia”
“Cosa? Ma lascia perdere, ma quale riciclaggio? Quale mafia? Invece fammi un bell’articolo sul barocco catanese.”
Ecco un esempio di censura che non uccide il corpo ma la voglia di raccontare la verità.
E oggi a Catania com’è la censura?