Charlie Hebdo: je suis Lillò
Lillo Venezia era il direttore del “Male” (fra l’altro ci collaborava anche Wolinski), che era la versione italiana del vecchio Harakiri (che poi, cambiato nome, diventò Charlie Hebdo). In questa veste ha preso circa duecento querele, qualcuna delle quali lo portò in galera insieme con altri disegnatori blasfemi di quei tempi. Ce lo siamo ritrovati ai “Siciliani”, di cui per un periodo fu anche amministratore: firmò cambiali e ci rimise – grazie alla scarsa pazienza della Lega delle Cooperative – i mobili di casa. Non è una persona perbene, non lo è mai stato (né Sparagna, Wolinski e compagnia bella) e non credo che ai suoi funerali verranno i pezzi grossi di mezzo mondo, smettendo per mezza giornata di ammazzare e/o mettere in galera i disegnatori blasfemi.
La più bella copertina di Wolinski, ahimè, non la vedremo mai: è quella che avrebbe fatto mettendoci le facce compunte di tutti i ciarlatani e gli ipocriti che aveva preso per il culo per cinquant’anni e adesso, per giusta vendetta, prendevano per il culo lui con la loro “commozione”.
Non mi chiedete dov’è Lillo e che cosa fa in questo momento, in quale grande giornale lavora e chi, dei valorosi colleghi che ora sono-tutti-charlie si ricorda di lui. La satira, nel Belpaese, è onorata e protetta, a patto però che sia involontaria. Altrimenti so’ cazzi vostri, caro Lillo e caro Wolinski (da vivo).
(Ah: guardate che degli islamici morti a Parigi metà erano terroristi e metà erano cittadini che cercavano di fermarli).
(Ah: guardate che l’ultima copertina di CharlieHebdo non ce l’aveva con l’Islam ma con uno scrittore antislamico sostenitore dei Le Pen).
(Ah: fatevele raccontare complete, le storie, sennò diventate pezzi di satira voi stessi).