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La città di plastica nel giardino dei sogni

Tre storie di donne, tre racconti che si intrecciano e narrano condizioni ancora disumane di ragazze, studentesse e lavoratrici.

“La città di plastica nel giardino dei sogni” di Silvia Resta e Francesco Zarzana, prodotto dalla Compagnia della Luna, con la regia di Norma Martelli, allestito al Teatro Angelo Musco di Catania dal 25 al 30 novembre 2014, racconta il dramma e la sofferenza di tre donne in tre luoghi diversi del mondo.

Nada Salehi Agha Soltan, la studentessa iraniana uccisa barbaramente a Teheran nel 2009 durante le rivolte dopo le elezioni presidenziali di Ahmadinejad. Il suo nome, Nada, che in persiano vuol dire “voce” è diventato la voce dell’Iran e il suo volto un simbolo di tutti i manifestanti per la democrazia.

Hanifa, dall’Afghanistan, che per evitare di essere venduta dal padre ad un marito troppo vecchio e violento sceglie di darsi fuoco dopo essersi cosparsa di benzina, come fanno tante altre ragazze del suo paese. Alcune muoiono, altre restano ustionate a vita, ma libere.

Rose, una ragazza che vive in Kenya e che lavora nelle immense serre realizzate nel suo paese dalle multinazionali. Centinaia di donne lavorano dieci ore al giorno per pochi dollari e mentre esse lavorano vengono iniettati polveri tossiche e concimi chimici. Così la “città di plastica” oltre a produrre fiori produce una grande quantità di tumori.

Interprete di grande valore Claudia Campagnola riesce a coinvolgere lo spettatore nelle realtà vissute dalle tre protagoniste ed a creare un clima di sensibilizzazione sulla drammaticità di tanti problemi internazionali. Problemi che ledono i diritti umani e soprattutto i diritti delle donne.

Essenziali le scenografie, realizzate da Camilla Grappelli e Francesco Pellicane. Pali di legno con drappi colorati, corredati da bidoni metallici, teli di plastica, mazzi di rose ed oggetti vari, riescono a fondere le storie delle tre ragazze ed immergere il pubblico dentro la scena. Mentre le musiche di David Barittoni e la voce registrata di Antonella Civale che recita la poesia di Forough Farrokhzad, fanno da sottofondo, aumentando il valore dell’opera.

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In questo attento spettacolo, si narrano, storie di donne che possono sembrare lontane dalla nostra realtà locale, ma invece sono unite da un lungo filo rosso con le storie che molte donne vivono nella nostra città, nei nostri quartieri del centro storico e delle periferie, storie di sfruttamento sul lavoro o di violenza molte volte consumate in “famiglia”.

Storie di donne che vivono una condizione di infelicità sociale dovuta alle tante ingiustizie provocate da un “maschio padrone”, molto simile ad un sistema di uno “stato sociale” e politico assente che non vuol, nonostante le dichiarazioni di comodo, considerare le donne come grande risorsa nella società.

Donne che sono unici punti di riferimento per la famiglia anche quando questa soffre povertà e disagio.

Lo spettacolo lascia il segno e ci fa vedere una “città di Plastica” molto simile alla nostra città.

L’unica speranza e quella che le donne e gli uomini,una volta, usciti dal teatro vengano colti da questo segno e si ricordino che ciò che hanno visto è ascoltato non è finzione ma realtà, e che questa realtà, esige riflessione e cambiamento nelle nostre coscienze.

Marcella Giammusso – Giovanni Caruso

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