Augusta: il Limbo dei ragazzini
In una scuola inagibile, centinaia di migranti minorenni. Due settimane con loro
Si chiama Ousman. Ha diciassette anni. Viene dal Senegal. Ha rischiato la vita per arrivare in Italia. Dopo un lungo viaggio da Agadez è giunto a Sabha, in Libia. Lì è arrestato perché nero sette mesi fa. È rinchiuso nelle famigerate carceri libiche per due mesi. Carceri cofinanziate dall’Italia e dall’Unione Europea (Nobel per la Pace) gestite da personale di polizia addestrato anche da noi. Poi è riuscito a fuggire.
Il primo tentativo di evasione fallisce. Lo catturano di nuovo, lo rinchiudono cinque ore in un armadio e lo sommergono d’acqua per cercare di convincerlo a pagare un riscatto per essere liberato. Fuggito una seconda volta passa due mesi nella campagna di Sabha lavorando come bracciante raccogliendo pomodori. Racimola abbastanza denaro per partire per Tripoli.
Lì, senza un soldo né conoscenti, lavora altri due mesi facendo le pulizie nelle case di famiglie ricche. Così facendo si è potuto pagare la traversata. Dopo tutto questo ha ancora la forza di essere ottimista e di sorridere. Adesso Ousman vive ad Augusta. Augusta, sulla costa tra Catania e Siracusa. Oggi se ne parla solo a proposito dei migranti che la raggiungono.
Il porto commerciale, uno dei più grandi della Sicilia orientale, accoglie dall’anno scorso centinaia di migranti ogni due-tre giorni. In città da alcuni mesi le scuole Verdi, dichiarate inagibili, ma evidentemente adatte ad accogliere ragazzi stranieri, ospitano un centro di accoglienza per minori non accompagnati.
Il centro è stato concepito come posto di passaggio. La legge prevede che la permanenza in questo posto non possa superare le 72 ore. Tre giorni.
Aspettano anche da tre mesi
La realtà è che molti ragazzi aspettano di essere trasferiti in comunità anche da tre mesi. Per i più piccoli è facile trovare una comunità disponibile ad accoglierli. Per chi ha dai diciassette anni in su è tutto molto più difficile. I responsabili legali di questi ragazzi sarebbero gli assistenti sociali del Comune. Decido di passare due settimane in questo centro. Arrivo la settimana di Ferragosto.
Al mio arrivo ci sono 123 “ospiti”. Non è stato difficile avere la possibilità di passare due settimane con dei minori come volontario. È bastato chiedere. Anche perché in questo periodo la maggior parte dei dipendenti preferirebbe essere in vacanza. Purtroppo le centinaia di reportage che sono stati scritti non hanno cambiato per niente la situazione di questi ragazzi. Inoltre un conto è passare qualche ora nel centro giusto per scrivere il pezzo e andarsene e un conto è viverci due settimane. Uno di loro mi ha chiesto di raccontare quello che ho visto anche solo per migliorare la situazione alimentare.
Non che non siano nutriti. Eppure i pasti sono più o meno sempre gli stessi. Pasta e pollo o coniglio. E a molti fa impressione il coniglio. E non concepiscono il fatto di doverlo mangiare. Inoltre dopo tre mesi che si mangia sempre lo stesso pasto a pranzo e cena si capisce un po’ di insofferenza. Come se non bastasse la ditta che fornisce i pasti, vincitrice di un appalto dove era l’unica a presentarsi, ignora la legge rifiutandosi di sigillare le porzioni di cibo. Perché se il cibo è destinato a ragazzi stranieri si possono ignorare le misure igieniche più elementari.
Alcuni ragazzi hanno un tutor in attesa di essere affidati ad una comunità. Questo significa che hanno una famiglia che li accudisce e li assiste. Altri non hanno nessuno. Non hanno niente da fare durante la giornata e sono impazienti di partire per il nord Italia o per il resto dell’Europa.
La mattina ne approfitto per fare due chiacchiere con i francofoni e gli anglofoni. Vengono dal Gambia, dal Mali, dal Senegal dal Sudan e dal Bangladesh.
Poi ci sono gli egiziani che parlano quasi solo arabo. Sono quasi tutti traumatizzati. Hanno tutti la stessa storia. Vivono in cameroni da 10-12 brandine ricavati dalle classi della scuola. Nel pomeriggio facciamo lezioni di italiano e di geografia. Nessuno sa dove si trova né quale sia la forma dell’Europa. E quasi nessuno sa l’italiano.
Dal lunedì al giovedì c’è una permanenza in infermeria garantita dall’azienda sanitaria provinciale e da Emergency. Nel fine settimana il dottor Parisi viene volontariamente e gratis a curare questi ragazzi garantendo un servizio che lo stato sarebbe tenuto a pagare. Per molti l’unica attività è chiedere l’elemosina per le strade di Augusta. La gente è molto generosa e regala soldi e cibo. Alcuni riescono a racimolare anche 40-50 euro al giorno.
I volontari delle parrocchie
11/08/2014 Al mio arrivo conosco Enzo. Insieme ad Aldo è il responsabile del centro. Da quel che vedo dedica tutte le sue energie a questi ragazzi. Ha un turno massacrante dalle 8 alle 22. Prova a imporre le regole del ben vivere in comune e al tempo stesso cerca di creare situazioni simpatiche e di distensione. Chi collabora e lo aiuta nelle varie mansioni riceve una pepsi o più cibo come ricompensa. Mi colpiscono gli odori: fortissimi e molti acri. Candeggina e disinfettante si fondono all’odore di liquami e cibo in decomposizione. Le pulizie vengono fatte due volte al giorno.
Due volte a settimana un gruppo di volontari delle parrocchie distribuiscono vestiti ai ragazzi che ne sono sprovvisti. Mancano mediatori. C’è difficoltà a comunicare e sale la tensione. Nel pomeriggio un gambiano tenta di prendere a bastonate un egiziano perché qualcuno gli ha rubato il cellulare.
12/08/2014 Entrando alle 8 vedo la scena più normale delle due settimane: cinque ragazzini egiziani di 10-13 anni sono seduti su una panchina a vedere Kung-Fu Panda. I loro occhi sono persi nello schermo e sognano beati. Guardare i cartoni animati è l’unica attività da bimbi che gli sia rimasta.
Grandi cicatrici sulla gola
Abdullah viene trasferito in ospedale. Ha enormi problemi psichici e delle grandi cicatrici su tutto il corpo e la gola. Rischia di fare del male a sé e agli altri. Viene dal Ghana. Slcuni dicono che lo abbiano ridotto così le torture in Libia. Altri che quei tagli sarebbero la traccia di un rito fatto in Ghana per cacciare il male.
“Michele” mi chiede di parlami in privato. Viene dal Gambia. È orfano di padre. È strabico e ha una cicatrice alla schiena. Il suo dramma supera il viaggio nel deserto, la fatica della traversata e i problemi fisici.
Qualche mese fa un signore inglese decide di adottarlo. Michele capisce immediatamente che c’è qualcosa che non va: suo “padre” adottivo non si limita ad accarezzarlo ed a coccolarlo come farebbe un padre. Gli propone di rapporti. Michele scopre di trovarsi coinvolto in un caso di turismo sessuale. Qui la voce si fa molto fioca e il suo inglese diventa più difficile da seguire. Mi parla di giornalisti e di poliziotti corrotti che lo accusano di essere omosessuale. Mi racconta di aver passato alcuni giorni in centrale tenuto chiuso in una stanza. Poi la fuga verso l’Europa.
Un ragazzo maliano parte alle 11 per Siracusa: va a fare un provino presso la locale squadra di calcio. È molto promettente ed ha capito che il suo permesso di soggiorno passa dalle sue gambe.
I nove ragazzi del Bangladesh mi chiedono di insegnar loro l’italiano. Sono molto felice del loro entusiasmo e della loro forza di volontà. Non immaginavo che ci saremmo fermati solo quattro ore. In queste ore ripassiamo le pronunce, rivediamo il verbo essere e avere, i colori, come leggere l’orologio, come presentarsi.
Alla fine della lezione sono senza voce e i ragazzi insistono per offrirmi una fetta di pizza, parte della loro cena. Mi raccontano il loro viaggio: in aereo da Dacca a Dubai. Da lì al Cairo e infine in Libia, da dove si sono imbarcati per la Sicilia.
13/08/2014 Al mio arrivo i ragazzi mi raccontano che durante la notte un egiziano è stato derubato e che qualcuno gli ha pure acceso la maglietta con un accendino. Dalle 22 alle 8 questi ragazzi, minori, vengono lasciati soli e senza tutele.
Chiacchierando coi ragazzi un nome ritorna frequentemente: Porto Palo. Qui sorgerebbe un centro di accoglienza dove i ragazzi sono trattati come animali, con pochissime risorse e gestito dalla mafia.
Alcuni ragazzi mi chiedono in continuazione quando saranno trasferiti in comunità o saranno affidati a un tutor. Altri mi chiedono i documenti perché hanno bisogno di una sim. Pensavo che gli fossero già fornite, ma debbono comprare sim intestate ad altri, che se ne approfittano.
All’improvviso arriva una tv americana. Se questi fossero italiani li tuteleremmo e non basterebbe l’autorizzazione del prefetto per riprenderli e filmarli. Ma evidentemente la legge non è uguale per tutti, e comincia la visita allo zoo. La mia scuola di italiano è l’attrazione principale perché a quest’ora quasi tutti dormono. Siamo in sei nel giardino attorno ad una lavagna all’ombra e impariamo alfabeto, pronunce, cia, gia, gn, gl, gli oggetti.
La colletta per il pallone
15/08/2014 Molti faranno presto 18 anni. Saranno trasferiti in un centro per adulti e lì le condizioni sono molto diverse. I ragazzi ne sono davvero ossessionati.
Oggi ripenso ad una notizia che circolava tempo fa. Qualcuno diceva che gli immigrati non mangiavano il cibo che gli veniva fornito e come prova mostravano sacchi della spazzatura pieni di cibo. La notizia era stata diffusa da persone avverse a questo modo di accogliere. Effettivamente ogni giorno vengono buttate dalle 30 alle 40 porzioni di cibo per pasto. Non perché i ragazzi siano schizzinosi, ma perché che il catering fornisce più del necessario. Questa settimana mangio sempre con i ragazzi e sia a pranzo che a cena il menù è stato sempre pasta al sugo, pollo, patatine.
16/08/2014 Per le 5 vedo che alcuni ragazzi stanno facendo una colletta e mi informo. Vogliono comprare un pallone nuovo e stanno radunando 20 euro. Mi intrometto dicendo che mi pare un po’ troppo per un pallone. Mi rispondono che quello è il prezzo migliore che gli abbiano fatto.
Gli spacciatori nel parco
Decido di accompagnarli a comprare il pallone. Al mio arrivo, dopo aver fatto capire che sono italiano e che non sono scemo il prezzo scende misteriosamente a 5 euro. La gratitudine è tanta che mi invitano a dare il primo calcio nel campetto del parco dove giocano vicino alla scuola.
Là, un signore mi chiede chi sono. Sembra disturbato dalla mia presenza. Mentre gioco cerco di informarmi sul suo conto e mi dicono che gestisce lo spaccio al parco.
Altri mi confermano la stessa storia dicendomi che la sera alcuni egiziani sono soliti comprare hascisc e marijuana.
Mi faccio coraggio e ne parlo ai Carabinieri appostati di fronte alla scuola, che non fanno assolutamente niente tutto il giorno. Mi chiedono tutti i dettagli e mi promettono che manderanno qualcuno a presidiare il parco. In realtà dopo due settimane non è cambiato nulla.
Enzo mi conferma che se non vedo più da tre giorni Beletsa, il ragazzo eritreo, il motivo è che è scappato seguendo le indicazioni di un suo contatto.
Rientrando conosco Lamin, 17 anni, del Gambia. E’ orfano di madre e per questo dopo le medie il padre gli ha chiesto di cominciare a lavorare. Ma lui vorrebbe studiare informatica. Mi racconta che la sua famiglia si era trasferita inizialmente in Senegal e poi lui era stato costretto a partire per l’Europa. Ripercorriamo insieme le tappe del viaggio nel deserto.
Oramai quei posti, quelle prigioni, sempre gli stessi mi sono quasi familiari. Ne ho sentito parlare così tanto in questi giorni che per certi versi mi sembra di esserci già stato. La settimana scorsa ho scoperto che la maggior parte degli immigrati arriva via aereo grazie a documenti falsi. Chi arriva in barca è proprio disperato.
Lamin ha passato tre mesi nelle prigioni di Tripoli. È stato arrestato durante una retata della polizia libica contro i neri. Ha passato tre mesi in carcere stando anche tre giorni senza vedere cibo. Ora capisco perché molti di questi ragazzi non vogliano avere a che fare con gli egiziani: li confondono coi libici.
Mentre ceno c’è una rissa tra un egiziano ed un senegalese. Rissa tanto violenta che intervengono i carabinieri. Senza manco ascoltare le due voci in capitolo viene data ragione all’africano e il ragazzo egiziano piange. Mi fa capire che l’altro lo stava strozzando perché gli dava fastidio che intonasse la preghiera serale ad alta voce. Non posso far altro che chiedergli scusa a nome di tutti coloro che non l’hanno voluto manco ascoltare.
Bruciata la brandina
17/08/2014 Questa mattina non trovo per strada Ibrahim. A scuola non c’è. Dopo la colazione vado a vedere se è ancora nella sua brandina ma scopro che è stata parzialmente bruciata. Chiedo agli altri egiziani. Mi dicono che è partito per Milano.
18/08/2014 Alle 17 mi avvertono che sta per avvenire uno sbarco. Quando arriviamo al porto scopro che lo sbarco sarà di 181 siriani. Mi dicono che sarà uno sbarco di lusso: sono calmi, puliti e non avranno problemi a lasciare subito il Paese.
Arrivano su una nave mercantile, un portacontainer che li ha imbarcati in acque greche. La nave non può attraccare nel porto e i passeggeri vengono fatti salire su una piccola imbarcazione all’imboccatura
Mentre aspettiamo sulla banchina la portacontainer si spartisce il panorama con la San Giusto della Marina Militare. Enorme, armatissima, puzzolente, accesa tutto il tempo. Prende parte anche alle missioni di Mare Nostrum. Sono le 19, siamo stati chiamati alle 17 e prima delle 20.30 l’attracco non avverrà. Con a noi sono presenti Croce rossa, Medici senza frontiere, Misericordia, Protezione Civile, Polizia, Guardia di Finanza, Carabinieri, Marina, Guardia Costiera, Autorità portuale… Sono più le persone pronte ad accogliere che quelle che effettivamente arriveranno.
Fotografati senza permesso
C’è anche un giornalista di Catania che lavora per Repubblica. Non dico nulla sul suo operato siccome non lo conosco ma è immorale, oltre che illegale, scattare foto a minori che sbarcano sul suolo italiano.
Capisco la necessità di fare un reportage ma se fossero bambini italiani dovresti far firmare la liberatoria ai genitori.
La legge parla chiaro: i minori hanno tutti gli stessi diritti sul suolo europeo. Ma nessuno ci fa caso.
Fincalmente arrivano i siriani
Passo il tempo chiacchierando con tutti coloro che trovo sul molo per farmi raccontare un po’ di esperienze e per chieder loro le prospettive che si aspettano. Uno mi dice che secondo lui l’Italia non spara ai barconi come fanno gli altri paesi solo perché costano troppo le munizioni. Finalmente i siriani arrivano. Se non sapessi che sono rifugiati che vengono da un paese in guerra che sta facendo migliaia di vittime penserei ad un traghetto turistico con destinazione Ischia o Lipari.
Appena toccano col fianco il molo parte l’applauso. Ci salutiamo con la mano. Ci vogliono 10 minuti per trovare una scaletta per farli scendere.
Vengono condotti a 200 metri di distanza, dove vengono offerti loro un panino, acqua, mela biscotti. Subito dopo vengono “identificati” dalla polizia: sono fotografati e ad ognuno viene affidato un numero.
Nome, cognome, data…
Gli viene chiesto nome, cognome e data di nascita. Nessuna impronta. Mi dicono che quello è compito della scientifica ma lo fanno solo per i presunti scafisti. Per le 22 parte il primo autobus per Melilli. Intanto sono tutti attaccati ai loro cellulari per chiamare i parenti in Siria ma soprattutto per organizzare la loro partenza per il nord Europa. Una ragazza mi dice che il fidanzato sta venendo a prenderla. Domani mattina partiranno in macchina per la Svezia, dove richiederanno asilo. Vengono trattati bene i siriani.
19/08/2014 Sempre risse fra egiziani. Un ragazzo lancia una bottiglietta d’acqua contro Enzo. Tensione, Carabinieri.
Questa mattina all’improvviso è tornato il ragazzo del Ghana con problemi psichici che era stato ricoverato in ospedale ad Augusta… era riuscito ad andarsene.
Per fortuna gli uomini di Terres des hommes l’hanno riconosciuto per strada e hanno fatto in modo che fosse riportato in ospedale.
Pane duro
23/08/2014 Quando arrivo trovo la scuola in mano ad un dipendente comunale con gravi problemi psichici che gli impediscono di operare degnamente in questo contesto difficile. Questa persona non può essere assegnata ai turni delle scuole Verdi. È realmente pericoloso. Al mio arrivo i ragazzi si lamentano perché il pane è duro. Scopro che il signore ha deciso di dare per colazione il pane del pranzo del giorno primo, duro e dal caratteristico sapore di cartone, perché “se hanno fame devono mangiare”.
L’inviato del grande giornale
Nel pomeriggio arriva l’ennesimo giornalista americano, del Washington Post, che dedica a questi ragazzi l’onore di un’intervista. Mi chiede se conosco ragazzi con storie tragiche. Gli faccio notare ce già il fatto di dover lasciare la famiglia a 13 anni mi sembra una storia tragica. Dice di no. Sta cercando qualcuno che magari sia stato torturato in Libia. E dice che non gli interessano i bengalesi. Peccato che tra di loro ce ne sia uno che ha fatto tre mesi nelle carceri libiche ed ha ancora il polso rotto.
Come se visitassero uno zoo
Decido di non aiutare il giornalista, sempre più disgustato verso questa gente che visita questi posti colmi di dolore come se visitasse uno zoo. Vengono qui, danno un’occhiata, ascoltano due storie e scrivono inutili reportage colmi di pietismo. L’atteggiamento è quello di che non vuole approfondire, cercare di capire e provare a dare un contributo per cercare possibili soluzioni. Io pensavo che ogni giornalista dovesse avere questo spirito. Qui non ne ho incontrati. Molti ragazzi rispondono alle domande del giornalista. Pensano che raccontando quello che non va le cose si sistemeranno.