domenica, Novembre 24, 2024
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Storie dal nostro mestiere

E’ ancora possibile fare stampa d’opposizione in Italia? Due storie esemplari

1/ ESTER CASTANO

Se i bravi giornalisti lavorano al ristorante.

Coraggio, valore, professionalità, premi giornalistici ma per guadagnare qualcosa soltanto lavori da camerieri. Ha fatto bene il presidente dell’OdG, Enzo Iacopino, a rendere noto con amarezza e sdegno che Ester Castano non riesce a trovare un la­voro retribuito se non come cameriera in un ristorante.

È una vicenda triste che fa riflettere. Perché, per chi ancora non lo sapesse, Ester è la giovane cronista che due anni fa ebbe notorietà nazionale e che ha ricevuto numerosi prestigiosi premi giornalistici per il coraggio e la tenacia con cui ha do­cumentato le infiltrazioni mafiose nel Co­mune di Sedriano, alle porte di Milano, due anni prima che l’amministrazione co­munale, nel 2013, fosse sciolta per decre­to del governo.

Ha scritto Enzo Iacopino, con amaro sarcasmo, su Facebook: “Ester Castano: hamburger e patatine. Le danno premi a ripetizione: Pippo Fava, Mario Francese, Premiolino, Biagio Agnes per l’impegno civile. Ma nel suo futuro, nel suo presente ci sono hamburger e patatine. Potrà farlo rivolgendosi ai clienti in italiano, inglese, francese e, con minore fluidità, tedesco e ebraico. Già, per guadagnare 650 euro netti al mese (caviale e champagne, come si intuisce!) Ester servirà in un rinomato fast food.

Ma uno di quei direttoroni che la pre­miano, uno dei bigs politici che la lodano, una di quelle primedonne della tv che usa­no il suo lavoro senza mai citar­la, un an­golino per consentirle di conti­nuare a fare il mestiere che ama e che adora non rie­scono davvero a trovarlo? Proviamo a chiederlo tutti. Non neghia­moci la speran­za”.

Purtroppo lo stesso trattamento è riser­vato a numerosi altri giornalisti che hanno mostrato valore professionale e coraggio. Ossigeno ne ha incontrati tanti. Ricordere­mo per tutti Arnaldo Capezzuto, che a Na­poli meriterebbe di lavorare in un grande gior­nale e invece deve arrangiarsi con vari la­voretti. Ricorderò i colleghi dei “Sicilia­ni giovani”che a Catania hanno preso il fuo­co con le mani, hanno dimostrato indi­scutibili qualità giornalistiche ma per sbarca­re il lunario devono servire la pizza ai ta­voli.

Altro che premi giornalistici…

Dunque la domanda di Iacopino è perti­nente, e andrebbe riproposta ogni volta che si celebra un premio giornalistico. Ogni volta i componenti delle giurie, i di­rettori dei giornali che consegnano i rico­noscimenti, gli sponsor che li finanziano credo che dovrebbero rispondere anche a quest’altra domanda: essere giornalisti bravi e coraggiosi serve a trovare lavoro o è un impiccio?

La reputazione lesa del capomafia

2/ RINO GIACALONE

“Mafioso pezzo di m.”

A giudizio per diffamazione

La vedova ha querelato il giornalista per aver leso la reputazione del capomafia de­ceduto. Lettera di solidarietà di quaran­ta familiari di vittime mafiose

Ill Tribunale di Trapani giudicherà il giornalista Rino Giacalone accusato del reato di diffama­zione a mezzo stampa per avere offeso la reputazione del boss mafioso Mariano Agate. Lo ha deciso il pubblico ministero Franco Belvisi, disponendo la citazione diretta del giornalista.

Il processo nasce dalla querela di Rosa Pace, vedova di Mariano Agate in relazio­ne ad un articolo pubblicato il 3 aprile 2014 dal blog Malitalia in cui Giacalone, pochi giorni dopo il decesso, ha ricostrui­to l’efferata carriera criminale del capo­mafia e ha concluso paragonandolo a “un bel pezzo di m…”. Una invettiva che, con tutta evidenza, va al di là del significato letterale ed è fatta per trasgredire il rispet­to plateale che i mafiosi ottengono con la prepotenza e la violenza.

Lo scorso marzo quaranta familiari di vittime della mafia avevano espresso soli­darietà a Giacalone e avevano diffuso una lettera aperta con la quale hanno chiesto alla vedova del capomafia di Mazara del Vallo di ritirare la querela e di dissociarsi dalle imprese criminali del marito. Inoltre hanno chiesto alla magistratura di respin­gere la “pretesa di difendere una buona reputazione inesistente, un tentativo di abusare della giustizia per indirizzare messaggi intimidatori a Rino Giacalone e a tutti i giornalisti”.

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