Il boss, il capitano, i “veri uomini” e Sciascia
Ci sono diversi modi di scrivere sulla mafia, quaggiù in Sicilia. Combatterla apertamente, o farne un sottile gioco intellettuale…
[…] Sciascia è convinto che la mafia sia un sottile gioco di cervello. La condizione umana non è influente: la povertà, l’ignoranza, il dolore non entrano nel gioco. Il mafioso è tale per composizione storica di elementi: psicologia, tradizioni, contrapposizioni d’interesse. In tutti i libri di Sciascia la violenza degli uomini è mossa soltanto dal fatto di essere già all’inizio personaggi definiti.
In nessuno di tali personaggi, dietro la violenza, ci sono mai la sofferenza sociale dell’uomo, il dolore dell’individuo, la sua disperazione di potere altrimenti modificare il destino, e cioè gli antichi ed immutati dolori del Sud: miseria, solitudine, ignoranza.
I personaggi entrano in scena e sono già disegnati, con tutti i loro abiti indosso, ognuno deve recitare la sua parte già scritta, senza mai spiegare il perché, essi sono il buono, il cattivo, l’uccisore, il testimone, la vittima, senza mai dare spiegazione, com’è accaduto: per quale dolore, ribellione o inganno quel tale sia nel ruolo di assassino e l’altro in quello della vittima. Può accadere che ci sia thrilling, poiché Sciascia ha anche questa geniale perfidia letteraria di utilizzare il mistero, per cui tu non capisci ancora chi sia il giusto o l’ingiusto, l’assassino o la vittima, ma al momento in cui il thrilling si risolve, tu ti rendi conto che quel giusto era giusto fin dall’inizio, e così anche l’ingiusto, l’assassino e la vittima, sei tu mediocre a non averlo capito prima.
E’ come se Sciascia entrasse nel teatro in cui si recita l’essere siciliani a spettacolo già cominciato e volesse interpretare i protagonisti solo per quello che dicono. Il resto, il passato, il già detto e già avvenuto non influisce. E’ ombra. L’intuizione diventa più difficile. Il gioco intellettuale più affascinante.
“Talvolta la ragione chiude gli occhi…”
[…] Sciascia non è simpatico. Talvolta è affascinante, ma chiunque lo sente diverso, in una sua astrazione intellettuale, dove gli altri uomini non possono penetrare, ma restare in attesa di capire. Sciascia non è mai d’accordo con alcuno. E’ vero, cita verità enunciate da altri, battute, frasi, ma costoro sono morti.
Uno dei tratti ammirabili di Sciascia è infatti la straordinaria forza mentale, l’infallibile rigore logico, con il quale anzitutto egli riesce sempre, quasi sempre, a dominare se stesso, riconducendo ogni atto, parola, pensiero, soluzione a quel perfetto personaggio morale che egli ha studiato e costruito di se stesso. Senza mai, quasi mai, una fragilità, un cedimento, per quelle forze antiche e misteriose della sua natura siciliana, per quelle violenze viste, pagate e fatalmente adottate negli anni dell’infanzia e adolescenza. La ragione, cioè la forza mentale di Sciascia è tale, ed anche tale la sua sicurezza nella sua stessa intelligenza, che egli conduce il gioco fino al limite intellettuale, basta una incrinatura e la ragione diventa delirio. Questo è genio.
Talvolta (ma è un lampo, per un attimo, davvero appena un lampo) la ragione chiude gli occhi sfinita, e vien fuori don Mariano Arena de “Il giorno della civetta”, abietto persecutore della povera gente e mandante di dieci assassinii, il quale spiega all’ebete capitano Bellodi la classificazione degli esseri viventi: uomini, mezzi uomini, ominicchi, piglianculo e quacquaracquà. E il capitano Bellodi pensa: don Mariano Arena è un uomo!
(Da “Alien Sciascia”, I SiciLIani, maggio 1983)