Morte di un operaio
Salvatore La Fata lavorava dall’età di quindici anni. Quando ha perso il lavoro non si è rassegnato: ha messo su una bancarella e ha cercato di guadagnarsi da vivere onestamente con quella. Arrivano i vigili e gli sequestrano tutto. Lui non resiste a questa ennesima sconfitta: la sua protesta finale è darsi fuoco. Muore dopo undici giorni d’agonia
“Ce l’aveva nel sangue… Salvatore sapeva fare bene il suo lavoro. Fin dall’età di quindici anni aveva avuto a che fare con la terra e si è messo subito a lavorare al movimento terra, con le gru e le motopale”.
Inizia così il racconto di Vincenzo La Fata e di Tony Poli, rispettivamente fratello e cognato di Salvatore La Fata, l’uomo morto il 30 settembre, dopo undici giorni di agonia a causa delle terribili ustioni in tutto il corpo.
“Senza regolare licenza”
Salvatore La Fata si è dato fuoco il 19 settembre in Piazza Risorgimento a Catania, in seguito al sequestro da parte dei vigili urbani della sua bancarella di frutta e verdura, che vendeva senza regolare licenza.
Vincenzo e Tony raccontano del passato di Salvatore come operaio edile. “Nel suo lavoro era molto richiesto e, in passato, spesso riceveva offerte che lo portavano a cambiare azienda e datore di lavoro”.
Nonostante la crisi e la perdita del lavoro si è dato da fare per potere trovare “qualcosa” di dignitoso, anche svolgendo mansioni che non gli erano familiari.
“È riuscito anche a fare il muratore e l’idraulico, ma nulla che gli potesse dare una garanzia economica ed una soddisfazione personale in ambito professionale” racconta il fratello Vincenzo.
Ce l’aveva nel sangue. Lui era un operaio edile, uno che era abituato al lavoro duro, che non si era mai tirato indietro, non si era mai fatto scoraggiare dalle difficoltà della vita.
Neanche quando alla fine decise di aprire la sua attività di venditore ambulante, nonostante tutto non aveva ancora rinunciato ai suoi progetti.
Fino al giorno prima aveva detto al figlio: “Appena arriva la cassa edile ti compro dei vestiti” e alla moglie “Presto imbiancheremo la stanza dei ragazzi”. Aveva esortato il cognato Tony a cercare un garage per depositare la merce.
Una morsa che toglie il respiro
Nonostante fosse abituato a combattere nelle difficoltà era consapevole di vivere nell’ansia legata ad una precarietà oramai diffusa in tutto il Paese, ma che al Sud stringe in una morsa che toglie il respiro a chi non vuole scendere a patti con illegalità e lavoro nero.
La cosa che fa arrabbiare Vincenzo e Tony è la mancanza di coerenza da parte delle istituzioni nel combattere l’illegalità.
“Dov’era lo Stato quando si scoprì che l’imprenditore che licenziò Salvatore, non aveva versato i contributi per la cassa edile. È rimasto impunito. Attualmente c’è una causa in corso e chissà quanti anni si dovranno aspettare per avere giustizia”.
“E ora come faccio?”
La foto di Salvatore su quel tavolino del bar sembra farci compagnia.
“Non riesco ad immaginare cosa gli sia passato per la testa in quei momenti” dice Tony . “Avrà pensato – ed ora come faccio a pagare il verbale ? Come farò ad andare avanti ?”.
“Ma dov’è adesso la giustizia? – aggiunge – Salvatore era in preda alla disperazione per ciò che gli stava accadendo in quel momento, aveva urlato a gran voce che si sarebbe dato fuoco ed il vigile che stava procedendo al sequestro gli disse: ”Si, ma spostati più in là”.
Non so cosa gli sia passato per la testa in quel momento. In preda alla disperazione è stato istigato al suicidio, si è dato fuoco davanti a tutta una piazza piena di gente e di curiosi.
È davvero impressionante quanto sia stato insensibile il vigile nei confronti di Salvatore, fa venire i brividi per la totale assenza di umanità che questo individuo ha dimostrato di avere”.
“Ma perché proprio lui?”
“Perché Salvatore? – dice Vincenzo ora – Perché proprio lui? Perché non andavano a cercare e punire chi veramente nell’illegalità ci sguazza e ci si arricchisce senza scrupoli?”
“Fatevi avanti e raccontate”
I poteri forti dell’illegalità la faranno sempre franca, fino a quando le Istituzioni concentreranno le loro attenzioni verso quell’illegalità spicciola, fatta di gente che cerca solo di sopravvivere.
Si combatte l’abusivismo di strada, il povero operaio edile, oramai disoccupato, divenuto venditore ambulante.
Non c’è spazio per quei pochi e conosciuti personaggi che invece hanno trasformato la nostra città in una terra orientata al forte e diffuso concetto di stato sociale inesistente.
La famiglia La Fata adesso cerca solo di andare avanti. Vuole la verità, su come siano andati realmente i fatti. Vorrebbe che i cittadini, che sanno ed hanno visto, si facciano avanti e raccontino tutto. Vorrebbe che nessun altro Salvatore La Fata muoia per colpa di istituzioni sorde e cieche di fronte ad una città che urla ed infiamma la propria disperazione.
sono il sindacalista che cercava di far camminare la vertenza contro l’impresa che doveva versare la cassa edile e il premio di anzianità a Salvatore, non riuscendoci , perche come già detto in una lettera a La Sicilia, la proprietà di quest’impresa avrà molti santi in paradiso. come si spiega il fatto di mie denunzie a tutti i livelli ( isp. del lav. , proc del rep. ), non hanno avuto nessun effetto ( sto parlando di denunzie fatte 8/10 anni fa , quando ero segretario della Fillea CGIL di CT). Si perchè i circa 10 mila euro che avanza Salvatore si accumulano in circa 12 anni , nei quali ha lavorato con 4 imprese edili , tutti riconducibili sempre alla stessa proprietà.