Omicidio Caccia: il diritto alla verità
I figli del Procuratore capo di Torino Bruno Caccia tornano a chiedere la riapertura delle indagini relative all’omicidio del padre (unico caso di magistrato ucciso al nord Italia dalla ‘ndrangheta), avvenuto a Torino il 26 giugno 1983 in via Sommacampagna, a pochi metri dall’abitazione della famiglia Caccia.
La richiesta avanzata lo scorso anno era stata rigettata dal Tribunale di Milano, «ma noi intendiamo proseguire per la ricerca della verità», dichiara Paola Caccia, figlia del magistrato torinese. Depositata lo scorso 24 luglio dall’avvocato Fabio Repici, l’attuale richiesta «è più corposa rispetto alla precedente; non vi sono nuovi elementi ma un’indicazione a leggere gli atti in maniera diversa», ha precisato Paola Caccia, che si mostra soddisfatta «dell’attenzione al nostro caso dimostrata sia dalla Commissione Parlamentare Antimafia sia dalla commissione comunale antimafia di Milano».
«Si tratta di un atto doveroso – spiega David Gentili, presidente della commissione meneghina – considerati la storia di Bruno Caccia e gli aspetti che riguardano anche la città di Milano come i riferimenti a via Mascagna. Come commissione non possiamo svolgere alcun tipo di indagine, ma speriamo che emergano fatti importanti e che il Tribunale accolga la richiesta dei famigliari del magistrato piemontese. Sicuramente a loro daremo tutto il nostro sostegno ed aiuto».
In quest’ottica, la sala comunale Alessi ha ospitato il 3 ottobre l’incontro “Bruno Caccia, il diritto alla verità”, proprio per spiegare alla popolazione perché è fondamentale chiedere la riapertura delle indagini.
«A Milano e a Torino – ha dichiarato l’avvocato Fabio Repici – ci sono alcuni magistrati che sanno la verità». Secondo il legale, il procuratore Caccia sarebbe stato ucciso perché stava indagando sul casinò di Saint Vincent e sul riciclaggio di denaro proveniente dai sequestri di persona. Una pista che si intreccia con la figura di Giovanni Selis, il pretore che il 13 dicembre 1982 scampò miracolosamente ad un attentato: la sua Fiat 500 esplose sotto la propria abitazione.
Ad affiancare l’avvocato Repici, in qualità di consulente, è l’ex magistrato Mario Vaudano: «La situazione è delicata, occorre che ci sia la volontà da più parti di riaprire le indagini, abbandonando l’atteggiamento del “non è il caso”. Bisogna continuare il lavoro che è stato svolto, non certo per esibizionismo da parte della famiglia ma solo ed esclusivamente per il desiderio di conoscere la verità sull’omicidio Caccia».
Dalle carte emerge che la figura centrale della vicenda è Rosario Pio Cataffi, considerato anello di congiunzione tra Cosa nostra e i servizi segreti. «Rispetto alla versione dello scorso anno – dichiara Vaudano – la richiesta depositata a luglio è più analitica e nominativa: allora si chiedeva di audire determinate persone, adesso si parla di responsabilità ben precise».