E’ arrivata la ‘ndrangheta
Il processo “La Svolta”, a Imperia, ha accertato la presenza delle cosche calabresi nel ponente ligure.
L’indagine condotta dalla D.D.A. di Genova, ed in particolare dal pm Giovanni Arena, ha ricostruito il contesto mafioso che ha portato allo scioglimento dei comuni di Bordighera e Ventimiglia, documentando una serie di episodi delittuosi (minacce, estorsioni, traffico di droga, detenzione di armi) e la fitta rete di rapporti collusivi che legano esponenti dei clan alla politica locale. La Svolta costituisce l’ultimo atto di un’offensiva giudiziaria che era iniziata intorno al 2000, con il primo filone “Maglio” archiviato per infondatezza della notizia di reato. Poi nel, luglio 2010, su ordine dei giudici calabresi sono stati arrestati a Genova il verduraio Domenico Gangemi e l’imprenditore edile Domenico Belcastro, tratti a giudizio nel noto processo “Crimine”. La magistratura ha così stretto il cerchio intorno agli uomini che circondavano Gangemi, il cui negozio “Il regno della frutta”, in Piazza Giusti, quartiere S. Fruttuoso, era un crocevia di politici e compaesani.
Era iniziato il processo Maglio 3, che ha visto imputati in rito abbreviato dieci soggetti (più altri due in ordinario). La procura distrettuale ha individuato la presenza di almeno 4 locali (Sarzana, Lavagna, Genova, Ventimiglia), cui si affianca una camera di compensazione (situata sempre nella cittadina del ponente), che estende la propria giurisdizione al Basso Piemonte. Grazie all’ampio utilizzo di intercettazioni telefoniche sono stati accertati riunioni e riti di affiliazione. In particolare, si è ricostruito il summit avvenuto a Lavagna, all’Hotel Ambra, di Paolo Nucera, di Condofuri (RC).
“Una bella ndranghetella…”
Era il 16 marzo 2010: in macchina, sulla via del ritorno, un’ambientale capta la conversazione tra Mimmo Gangemi e Arcangelo Condidorio: «Una bella ‘ndranghetella te la sei fatta, dài… ’na scialata con il tuo compare».L’indagine si è soffermata compiutamente sui rapporti tra presunti ‘ndranghetisti e politica locale: si sono accesi i riflettori in particolare sulle Regionali del 2010, che hanno visto un sicuro inquinamento del voto. Aldo Praticò (che non viene eletto) e Alessio Saso (consigliere regionale tuttora in carica) vengono indagati per corruzione elettorale aggravata. Le intercettazioni dimostrano l’accordo sul voto. Sono pure documentati vari incontri, spesso nel “frutta e verdura” di Gangemi. Si è affermato che il vulnus dell’indagine risiedesse nella mancata contestazione di singoli reati-fine (presenti invece nell’inchiesta sorella “La Svolta”).
I precedenti penali degli imputati testimoniavano una lunga militanza criminale e uno di loro, Onofrio Garcea, mentre Maglio 3 era in corso, è stato condannato a 9 anni per usura aggravata proprio dal metodo mafioso. Ma per il GUP Silvia Carpanini il reato non c’era, mancando l’ intimidazione, l’assoggettamento e l’omertà, che costituiscono i requisiti imprescindibili dell’associazione mafiosa.
Dal contesto «si evince non certo l’estraneità degli imputati, o quanto meno della maggior parte di essi, alla ‘ndrangheta, giacché è indiscutibile che di ‘ndrangheta in molti casi si parli»; tuttavia il giudice perviene alla «impossibilità di affermare, con il necessario grado di certezza che si impone nella fase di giudizio di merito, che questo “essere” ‘ndranghetisti si concretizzi anche nel “fare” gli ‘ndranghetisti e, prima ancora, da un punto di vista logico, oltre che giuridico, che la ‘ndrangheta che oggi è in Liguria e di cui gli attuali imputati sarebbero i massimi esponenti abbia assunto i connotati che le sono propri nella terra di origine e realizzi, quindi, un’associazione criminale riconducibile all’art. 416 bis c.p.».‘ndrangheta in Liguria, primo rapporto di CROSS.
La ‘ndrangheta c’è dunque, ma non fa la ‘ndrangheta. Eppure viene dimostrato anche lo stretto collegamento dei gruppi attivi in Liguria con “Mamma” Calabria. Viene intercettato un incontro all’agrumeto di Rosarno (14 agosto 2009) tra il boss ligure Gangemi (condannato intanto a 19 anni e 6 mesi in ordinario) e don Micu Oppedisano (condannato a 10 anni in abbreviato). Mimmo afferma: «Siamo tutti una cosa, pare che la Liguria è ‘ndranghetista. Quel che c’era qui, lo abbiamo portato lì».
I due parlano diffusamente dei vari gradi (Santista, Vangelo, Quartino, Trequartino, Padrino); di giuramento, di «stella sulla spalla destra», di bacio in fronte, simboli e riti palesemente afferenti all’universo ‘ndranghetista. Ma nulla sembra scalfire le convinzioni dell’organo giudicante; lapidaria è la conclusione: «Essere ‘ndranghetista, soprattutto al di fuori della Calabria dove realmente la ‘ndrangheta permea ogni aspetto della vita sociale ed economica, non vuol dire necessariamente, in assenza di concrete dimostrazioni in fatto, fare l’ndranghetista, contribuendo al perseguimento delle finalità criminali del sodalizio, il che presuppone, come si è detto, la concreta verifica del reale inserimento organico, dell’operatività del singolo sodale e della sua messa a disposizione per il perseguimento dei fini e con le modalità propri dell’associazione mafiosa e, quindi, nella piena consapevolezza di detti fini e modalità che devono entrare nella sfera della sua rappresentazione volitiva».
I dieci imputati vengono dunque assolti perché il fatto non sussiste, ai sensi dell’art. 530, capoverso, c.p.p., che si utilizza quando la prova «manca, è insufficiente o contraddittoria».La Procura Generale, nel presentare l’atto di impugnazione, ha contestato duramente la decisione di primo grado, in virtù della quale sarebbe lecito «costituire, promuovere o appartenere a locali di ‘ndrangheta […] consente[ndo] a questa associazione […] di estendere la propria presenza nel Nord Italia, così potenziando le proprie strutture e capacità operative».
http://www.cross.unimi.it/primo-rapporto-trimestrale-aree-settentrionali/