Il coraggio di dire la verità
Gaetano Saffioti s’è preso una soddisfazione. Rischiosa, questo sì: ma lui è un calabrese vero e non ha paura
Il 16 settembre è apparsa in tv una notizia che un dirigente d’azienda di un qualsiasi TG definirebbe “minore”, relegandola al settimo-ottavo posto nell’ordine delle notizie, quasi a chiusura del programma.
Il 16 settembre Gaetano Saffioti, calabrese, titolare di un’impresa di costruzioni e demolizioni ha avuto il coraggio di fare ciò che tutti i suoi colleghi della zona avevano categoricamente rifiutato di fare: presentarsi all’asta per la demolizione di Villa Pesce, una villa abusiva nel cuore della piana di Gioia Tauro.
La villa apparteneva al clan dei Pesce, un cognome che da quelle parti fa tremare i polsi e abbassare gli occhi, nonostante gran parte dei componenti di quella famiglia sia da tempo in carcere. Nel 2003 l’allora sindaco di Rosarno, Peppino Lavorato, decise di fare la guerra al clan ed istruì le pratiche per la demolizione ricevendo minacce a suon di colpi di AK47.
Nel 2011 un altro sindaco coraggioso, Elisabetta Tripodi, finì sotto scorta per aver dato esecuzione di sgombero alla madre del boss, residente nella casa abusiva. Nel 2011 la prima asta. Un deserto. E così anche la seconda, la terza, la quarta..una fiera della paura, un inno alla codardia. Per ben tre anni, dal 2011 al 2014.
Il 16 settembre 2014 Gaetano Saffioti ha cambiato la storia di Rosarno. È bastata una telefonata del prefetto, la risposta di Gaetano è stata immediata, veemente: “ Lo faccio gratis”. Ma non è tutto. Gaetano Saffioti ha il dente avvelenato, lui gli ‘ndranghetisti non li ha mai mandati giù.
E un giorno si ribellò
Erano gli anni ’80: l’attività di Gaetano andava a gonfie vele, in Calabria si costruiva praticamente ogni giorno e la Saffioti Srl fatturava una trentina di miliardi di lire all’anno. Ma più lui guadagnava più doveva pagare alle ‘ndrine. Gli facevano pagare tutto, il pedaggio per trasportare la merce, il pizzo sugli appalti, il calcestruzzo da comprare solo dove dicevano loro e al prezzo che dicevano loro.
Gaetano un giorno si ribellò. Prese a registrare ogni incontro, ogni pagamento, ogni minaccia, e portò tutto in questura. Grazie agli sforzi di Gaetano, nel 2002 l’antimafia ha dato il via all’operazione Tallone d’Achille, mettendo in carcere 48 “uomini d’onore” delle famiglie Bellocco, Gallico e Piromalli.
Vivono sotto scorta
Ora Gaetano e la sua famiglia vivono sotto scorta, reietti, evitati dagli amici occasionali e dai vicini; il figlio di Gaetano non troverà mai una fidanzata calabrese.
“E’ u’figghiu di Saffioti”, diranno. La sua famiglia non può andare fuori a mangiarsi una pizza perché le pizzerie e i ristoranti non vogliono avere rogne. E così via. Quasi tutti gli operai di Gaetano l’hanno abbandonato, chi per viltà, chi per paura, e il fatturato è crollato drasticamente a 500 mila euro l’anno.
Gaetano non ha mollato, ha rifiutato i soldi dello stato perché lui non è un pentito e non vuole essere trattato come tale. I
In Calabria non costruisce più e alle aste arriva sempre secondo, ma in compenso lavora all’estero, a Parigi, in Germania, a Dubai.
Eppure stavolta sorride
Gaetano è un uomo tutto d’un pezzo, un uomo vero, come pochi a questo mondo. Ha masticato fango e calce, mandando giù bocconi amarissimi e condannando sé stesso e la propria famiglia ad una vita d’inferno.
Nulla potrà ripagarlo degli anni persi, delle offese e delle ingiurie, dei morsi alle nocche e dei pugni contro il muro; quelle sono ferite che non si rimarginano. Ma possiamo immaginarcelo sorridente, Gaetano Saffioti, almeno una volta, a bordo della sua ruspa, intento a ridurre in macerie la casa di uno di loro, l’ex quartier generale dei Pesce. Non è una rivincita o una soddisfazione, Gaetano lo sa bene. Eppure stavolta sorride. Sì, Gaetano sorride.