“Essere solo un cronista”
Intervista ad Arnaldo Capezzuto
Arnaldo Capezzuto è un giornalista napoletano, classe 1970. Ha collaborato con i quotidiani La verità, Napolipiù e Il Napoli (Epolis). Attualmente collabora con varie testate, tra cui il mensile L’Espresso Napoletano e dirige l’on-line ladomenicasettimanale.it che fa parte del progetto de I Siciliani Giovani.
– Quando e perché è nata la passione per il giornalismo d’inchiesta?
– Non lo so se sono un giornalista d’inchiesta. Non so se, in generale, mi è nata una passione. Dico davvero. Mi sento molto distante dal lavoro che cerco di fare. Mi sembra quasi naturale di occuparmi di fatti vivi, avvenimenti, storie e raccontare in modo laterale. Si, perché occorre dare un punto di vista. Ecco il cronista è vero che riporta i fatti ma gli dà una angolazione. Diffido dai giornalisti che sono solo medium. Riportare i fatti senza mischiarli con le opinioni è la regola ma il giornalista ha una propria storia. Voglio dire se dovessi andare solo con un microfono in mano a raccogliere la solita “poesia”, farei altro. Al “mestieraccio” mi sono avvicinato quasi in modo indotto, provengo da studi di sociologia, il giornalismo per me è un’applicazione sul dal campo, una ricerca continua per capire.
– Esiste oggi un’informazione libera e non censurata?
– E’ un tema caldo. Oggi ci sono più mezzi a disposizione rispetto a dieci anni fa. C’è sicuramente più spazio di manovra ma diffido dal credere che abbiamo un’informazione più libera, l’assenza della censura e dei bavagli. La moltiplicazione dei canali dei media è una garanzia di un accesso più diretto e libero da parte di tutti, ciò non significa avere più libertà d’informare. Si sa tutto di tutti, ma siamo sicuri di avere un’informazione libera?
Come è possibile? Non voglio fare analisi troppo approfondite, applicare paradigmi filosofici. Faccio una semplice constatazione : c’è tanto conformismo informativo che anestetizza il lettore. Non c’è un vero coinvolgimento del lettore e poi ci sono troppi sepolcri imbiancati, notizie che ad arte non si danno perchè qualcuno vuole che non si diano.
Il ruolo del giornalista
– Quale ruolo ha avuto il giornalista e quale ruolo svolge oggi nei confronti della libera informazione?
– Questa domanda si collega alla precedente. Il giornalista se viene svuotato della sua indipendenza e autonomia, se viene precarizzato e sottomesso a chi detiene la proprietà dei mezzi della produzione dell’informazione sarà, per definizione, una persona non libera. C’è poco da fare. Ho vissuto anni e anni nelle redazioni dalla piccola testata alla grande: la libertà è solo una continua contrattazione che quotidianamente devi fare con i tuoi superiori e con il proprietario della testata rispetto alle notizie da mettere in pagina. Non è proprio un fatto drammatico, a volte devi turarti il naso per fare il cronista.
La camorra oggi
– Cos’è oggi la camorra?
– Vive d’ improvvise fiammate di crudeltà e violenza. Ha una storia criminale impressionante e una media consolidata di circa 110 morti ammazzati all’anno. Ci sono ampi pezzi della città che sono controllati dalla camorra, per non parlare dei comuni dell’hinterland di frequente sciolti per infiltrazioni malavitose. Napoli è una città camorrizzata, la logica criminale ha invaso ogni ambito della città. E’ una subcultura dominante che ha attecchito e condiziona ampi strati della popolazione. Questo non significa che si strizza l’occhio al boss – sia chiaro – ma il modus operandi ha contaminato il territorio. Lo Stato, le sue articolazione sul territorio dovrebbero dare forti segnali di rottura. Non è sempre così.
– Qual è la situazione del sistema mafioso a Napoli? La camorra è in crisi?
– Tutta la criminalità organizzata made in Naples è soggetta ad una frammentazione. Non è un fenomeno di questi giorni, ormai la deriva e la polverizzazione di famiglie e clan risale a cinque anni fa. E’ in corso una lunga fase di assestamento degli equilibri interrotta dall’azione della magistratura e forze dell’ordine, ma anche dai disegni egemoni di neo gruppi senza storia. I clan non riescono più a stabilizzare un ordine costituito, dove ci sono pochi al comando. Tutto è saltato. E’ una guerra per bande : tutti contro tutti. Tradimenti, scissioni, terze file che scalzano le prime.
E’ una corsa alla leadership camorristica finalizzata al potere per fare i soldi. Paradossalmente più deboli sono i gruppi criminali e più sono aggressivi e spregiudicati. Predicano il controllo totale del territorio. Chi vince la “guerra” s’insedia. Occupa case, esercizi commerciali e controlla in proprio tutte le attività illegali. Questi interregni durano davvero poco. L’età media dei camorristi si è molto abbassata. Prima occorreva una “stagionatura” per aspirare a far parte di un gruppo criminale di un certo livello. Adesso non è più così. Siamo in una fase di assedio delle camorre nei territori.
La vicenda di Scampìa, la faida, i “girati”, la guerra agli scissionisti nasconde un segreto. Questi gruppuscoli che si fronteggiano sognano in grande. Usciti vincitori, assicuratisi il polmone finanziario delle piazze di spaccio puntano alla conquista dei fortini dei vecchi padrini. A rischio il rione alto di Napoli e il comune di Marano, storiche roccaforti dei boss Giuseppe Polverino e Lorenzo Nuvoletta vicini a Cosa nostra.
– Cosa significa oggi fare il giornalista d’inchiesta nel territorio napoletano?
– Napoli non è una città “normale”. – Napoli non è una città “normale”. Se vuoi fare davvero il cronista devi stare sui fatti e ciò ti porta inesorabilmente a esporti.
Accade di finire in ospedale per un aggressione, beccarti minacce, intimidazioni, avvertimenti. Accade che qualcuno non gradisce il “pezzo” e comincia ad infastidire. Ecco, un giornalista che vuole fare davvero e seriamente questo mestiere deve mettere in conto queste difficoltà ambientali. Inutile nascondersi, questi condizionamenti esistono e il cronista non deve abituarsi, non deve considerali “imprevisti del mestiere” occorre denunciare a viso aperto. Recarsi negli uffici preposti e sporgere denuncia. Il diritto d’informare va difeso come la propria libertà da tutto e tutti.
– Un cronista minacciato è spesso vittima d’isolamento e solitudine. Ti sei mai trovato in questa situazione?
– E’ cambiato molto ed in meglio. Forse prima il cronista veniva isolato oppure si isolava. Adesso ci sono strutture interne alla professione che attivano una sorta di “scorta mediatica”. Parlo ad esempio di Ossigeno per l’informazione e le notizie oscurate, un osservatorio presieduto da Alberto Spampinato che tutela i cronisti e non solo. Uno strumento importantissimo che in quattro anni di vita ha fatto passi da gigante.
Ogni anno produciamo un rapporto che poi viene consegnato al presidente della Repubblica. Quest’anno, come due anni fa, sono stato proprio io a parlare con il capo dello Stato di questi temi ed ho trovato un Giorgio Napolitano molto sensibile e fattivo.
– Hai mai ricevuto intimidazioni?
– A parte la vicenda di Forcella e le minacce di morte che mi sono giunte anche in altre occasioni sono stato oggetto di pesanti aggressioni e intimidazioni. In 15 anni di attività giornalistica sono stato ricoverato al pronto soccorso ben otto volte. E’ un primato di cui non vado molto fiero. Proprio a luglio insieme ad altri colleghi, sono stato ascoltato dalla commissione parlamentare antimafia che ha dedicato una serie di audizioni su questi problemi per capire se ci sono spazi per elaborare leggi a tutela dei giornalisti nell’esercizio delle proprie funzioni.
– Ci puoi raccontare come si sono concretizzate le minacce e perché, secondo te, hanno deciso di “colpire” proprio te?
– Mi sono occupato del caso dell’omicidio di Annalisa Durante, appena 14 anni e vittima innocente nel corso di una sparatoria tra camorristi a Forcella. Sulle pagine di Napolipiù ho cominciato a raccontare e svelare i meccanismi che si nascondevano dietro quel fatto di sangue. Merito sicuramente delle fonti che avevo a disposizione, riuscivo a svelare e ricostruire vicende che nessuno conosceva. Un giornalismo con il fiato sul collo. Alla fine gli articoli hanno prodotto effetti importanti come la messa a nudo di una strategia da parte dei clan volta alla continua pressione sui testimoni del processo. Le nostre inchieste hanno contribuito a far aprire altri filoni d’indagine. Lo stesso procuratore aggiunto Raffaele Marino del pool anticamorra acquisì tutti i miei articoli.
– Esiste una strategia per combattere la camorra senza mai arrendersi?
– La camorra si combatte in un modo molto semplice: ognuno deve fare il proprio dovere fino in fondo… Ma sono pessimista: Napoli è troppo compromessa.
Un raccapricciante imbarbarimento
Non penso che debellare la camorra sia un orizzonte prossimo futuro. Constato un progressivo e raccapricciante imbarbarimento e peggioramento della criminalità partenopea. Ci sono zone come alcuni comuni del casertano che sono ormai fuori controllo. Anzi gli onesti, quelli che vogliono coltivare una speranza per il futuro, devono lasciare quelle terre. Per accelerare un processo di liberazione si dovrebbero recidere i rapporti tra camorra, politica, colletti bianchi e finanza. Non è più tollerabile che personaggi come Nicola Cosentino stiano in Parlamento.
– Dirigi Ladomenicasettimanale.it, un periodico d’informazione con inchieste, reportage, cronaca, storie, interviste, cultura: perché hai sentito il bisogno di fondare questo giornale?
– La Domenicasettimanale nasce, per la verità, a Siena quando ho incontrato un redattore del giornale d’inchiesta “I Siciliani” (lo fondò Pippo Fava, ucciso dalla mafia negli anni Ottanta). A Napoli manca un giornale d’inchiesta che racconti le cose. Penso alla vicenda dell’imprenditore-prenditore Alfredo Romeo, condannato a due anni per corruzione e maggior partner del sindaco Luigi De Magistris. La Domenicasettimanale ha posto il problema, ha fatto le pulci, ha chiesto, ha fatto le domande. La risposta è stata una minaccia di querela da parte dell’assessore al Patrimonio Tuccillo. Altre inchieste sono state quelle sui parlamentari inquisiti oppure sottoprocesso; la babele targato Teatro San Carlo; i delitti di camorra.
Ecco, questo è il periodico che dirigo e con i piccoli mezzi a disposizione cerchiamo di fare informazione vera, diretta, senza inchini al potere. La Domenicasettimanale aderisce a “Fare rete”, un network di testate nazionali che hanno nei “Siciliani giovani” la testata capofila.
E’ vero, l’editoria è in crisi: però c’è da dire che a volte (quasi sempre) visti i contenuti dei giornali ti chiedi: perché dovrei comprarlo?
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