Le politiche antidroga statunitensi: si apre un nuovo corso?
di Thomas Aureliani
Il nuovo indirizzo politico dell’amministrazione Obama sembra svoltare rispetto al passato, macome dimostra la drammatica situazione nel vicino Messico, la strada per la Casa Bianca è ancora in salita. Parlare di sostanze stupefacenti, di trattamento e di prevenzione non è mai facile negli Stati Uniti. È arduo scardinare un imprinting politico basato sul proibizionismo e sull’approccio punitivo, specialmente se il capo della prima agenzia antidroga americana definiva i consumatori di droghe “prima dei criminali e poi tossicodipendenti”. La predilezione di Washington per il contrasto dell’offerta di droga piuttosto che la domanda fu da sempre accompagnata dalla convinzione che il problema fossero gli stati che “esportavano” droghe e non il fatto che gli Stati Uniti fossero il principale paese consumatore. Presidenti democratici e repubblicani, alternativamente ma con enfasi diverse, hanno da sempre spinto il budget federale verso l’interdizione presso i confini, verso l’ammodernamento degli strumenti destinati alle agenzie antidroga e alla polizia oltre che a operazioni militari all’estero. Questo tipo di impostazione non ha di certo favorito le relazioni diplomatiche con gli stati produttori di droghe (o con i paesi di transito) che da almeno cento anni sentono la pressione dell’establishment antidroga americano. A questo riguardo il Messico rappresenta per gli Stati Uniti la minaccia principale, il banco di prova per testare la propria superiorità tecnologico-militare declinata all’interno della guerra alla droga.
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