venerdì, Novembre 22, 2024
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“Chi sogna di giorno vede molte più cose”

Il 26 agosto 2004 veniva ucciso in Iraq Enzo Baldoni, uno dei più interessanti giornalisti del nostro tempo. Lo ricordiamo con i suoi post di allora sulla “Catena di San Libero”, l’e-zine indipendente antenata dei twitter d’informazione di oggi

 

La Catena di San Libero

3 agosto 2004 n. 242

Enzo Baldoni wrote:

< L’americano coi baffoni da tricheco si sposta al mio fianco. Attacchiamo discorso. E’ del Texas, si chiama Lee e, come immaginavo, è un contractor che sta andando a Baghdad. Lavorerà a rimettere in piedi una fabbrica di corn flakes per la Kellog’s. Ha già lavorato in Cile, in Brasile, in Colombia. Molto americano: prima i Bradley, poi i Caterpillar. E’ convinto di riportare la libertà all’Iraq. Gli iracheni sono contenti che noi americani siamo intervenuti, dice. E probabilmente, per una buona fetta della popolazione, è anche vero. Nel cuore tatuato sul braccio sono incise tre lettere: “L.A.L.” Qualche società segreta? Ma no. Più modestamente, sono le iniziali di Lee And Linda: “Venticinque anni di matrimonio e una figlia di diciassette anni” borbotta con orgoglio. Ha l’aria di un brav’uomo >

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10 agosto

Enzo Baldoni, from Bagdad, wrote:

< Finalmente ho un angelo custode. Si chiama Ghareeb, è palestinese, è molto bene introdotto nei posti che contano e di più non posso dire. Come l’ho conosciuto? Un colpo di culo, e che altro? Stasera, finalmente a cena fuori dal compound del Palestine – Sheraton, che è pesantemente controllato dagli americani e dalla neonata polizia irachena. Ceniamo in un kebab sulla strada, nessuno parla inglese, non esistono menù e nemmeno la birra, ma il pollo è delizioso (si mangia con le mani, chiaro).

Ghareeb è ingegnere, è intelligente e molto colto, come gran parte dei palestinesi, parla un discreto inglese e conosce bene la storia. Una compagnia piacevole. E poi è più grosso di me e somiglia moltissimo a un certo Giodi di cui sono molto amico. Cosa chiedere di più alla vita?

Lontano scoppia una bomba. Poi un’altra. Poi un’altra. Allora cominciamo a contare.

Booom! – Quattro.

Boom! – Cinque.

Booom! – Sei.

Boom! – Sette.

Questa è la reazione alla conferenza stampa del primo ministro Allawi, che oggi non ha dato la minima chance alla resistenza: ha detto che sono fuorilegge, che saranno cacciati e arrestati.

Boom! – Otto. Mmmm … As Sadr sta veramente incazzato.Nella Zona verde partono le sirene.

– Le suonano adesso, le sirene: a chi è ferito non serviranno gran che.

Boom! – Nove.

Passano veloci quattro Humvees dell’esercito USA, saettando un faro sulla folla. Sembra che scappino. Tutti gli avventori del ristorante si mettono a ridere e schiamazzano all’indirizzo degli americani.

Boom! – Dieci.

La gente è tranquilla, continua a mangiare e a ridere. I missili sono diretti sulla Zona Verde, quartier generale dei sempre più odiati statunitensi.

Boom! – Undici.

Boom! – Dodici.

Dodici bombe nel giro di un’ora. Difficile sottovalutarne il significato. Fantastici americani. In un anno di arroganza, violenza, maltrattamenti in carcere, arresti illegali e disordini sono riusciti a sprecare tutto il capitale di credibilità che si erano costruiti con la cacciata di

Saddam. Adesso anche chi li aveva festeggiati all’arrivo non aspetta altro che si tolgano dai coglioni. >

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17 agosto

Enzo Baldoni, Bagdad, wrote:

< Si parla tanto di Najaf, giustamente. Ma nel frattempo nessuno dice che, a Kut, ci sono state decine di morti per i bombardamenti dgli F 16. E’ che dove non c’è l’attenzione dei media le cose non succedono, la gente non muore >

* * *

< Sono nella sede della CRI di Baghdad, l’unico centro iracheno dove si curano i grandi ustionati. Ho ancora nelle orecchie le urla di due soldatini iracheni orribilmente bruciati dal “fuoco amico” degli F16. Il personale qui è ammirevole, non si risparmia. Stanno caricando camion e ambulanze di medicinali destinati a Najaf. Hanno già l’autorizzazione delle autorità islamiche. Ma più di tutti hanno paura degli americani, che hanno il curioso vizietto di sparare sulle ambulanze. Partiranno appena avuta la clearance. Assieme al convoglio va Pino Scaccia, della RAI e uno sconosciuto Volontario del Soccorso con un gran culo >

* * *

< …Anna è un’infermiera volontaria di Messina, una bella faccia italiana, sorridente e concreta: “Lo stress più grande, per noi, sono i bambini. Arrivano qui, ustionati, hanno dolori terribili, urlano, piangono: come fai a non affezionarti? Le loro mamme sono dolcissime, fra donne ci capiamo. Ma ne abbiamo persi tre, in questi ultimi giorni. E questo pesa, pesa. Siamo quasi tutte mamme anche noi”. Beppe: “Anche qui ci sono i pregiudizi. Tempo fa una donna m’ha detto, baciandomi le mani (e ero imbarazzato): “Grazie, grazie per aver salvato la mia bambina. Mi avevano detto che voi cristiani avete il cuore nero. Ho scoperto che non è vero”. Ecco, queste sono le cose che ci aiutano a tirare avanti” >

* * *

< Facciamo in giro per i reparti. Ci avviciniamo a un piccolo paziente sdraiato. Vicino a lui c’è il papà, un bel signore elegante nella sua lunga dishdasha blu. Lo chiama: “Ahmed? Ahmed? Guarda questo signore italiano che ti vuol fare la fotografia!”. Io vorrei dire: no, no, lasciatelo in pace, povero cristo. Ma anche Anna, l’infermiera, che sa quel che fare, lo chiama: “Ahmed? Ahmed? Get up!”. Forse gli fa bene reagire agli stimoli. Allora, tremolando, aiutato dal padre, un troncone umano annerito e parzialmente coperto di creme che forse è stato un ragazzino si alza a fatica, senza dire parola. La faccia è una crosta immobile in cui solo gli occhi riescono a roteare verso di me. Impressionante. Misericordiosa morfina >

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* * *

< tornato da najaf, consegnati medicinali, portati fuori donne e bambini nascosti nel camion, stato in casa as sadr, entrato mausoleo ali, visto morire guerrigliero, incontrato comandante esercito al mahdi, cagato sotto causa torretta bradley che si spostava tenendomi di mira, incontrati marines che stavano pian piano entrando a piedi in najaf, lussata clavicola, ricoverato osped. italiano. scusate imprecisioni e stile telegrafico, scrivo solo mano sinistra, tutto bene. forse dovrò interrompere viaggio. presto racconto. vi voglio bene, grazie per starmi vicini >

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Enzo Baldoni wrote:

18/08/2004 14:20

E via: con un giorno di ritardo, ma si va a Najaf assediata con la copertura della Croce e della Mezzaluna Rossa. Scendo: nel piazzale alcuni volontari stanno staccando dai camion le bandiere e i manifesti con la Croce.

“Ma Beppe!”

Beppe è più nero che mai:

“Ordini di stamattina. Il carico non può avere nessun simbolo della Croce Rossa:”

“Stai scherzando, spero.”

“Ordini precisi da Roma.”

“Ma è un suicidio. Gli elicotteri americani dall’alto vedranno solo dei camion bianchi. Il primo mitragliere un po’ cowboy prima ci spara e poi chiede chi siamo.”

“E’ arrivato il divieto formale di usare la bandiera di guerra della Croce Rossa per questa missione.”

“Ma qui siamo a Kafka! E’ ridicolo!”

“Senti, Enzo: lo sai. Se potessi decidere io, salterei immediatamente su quei camion e andrei a Najaf. Ma io non posso. Tu sei libero: se non te la senti, resta a Baghdad.”

“Figurati. Ma così davvero è un suicidio, Beppe.”

Non risponde, mi volta le spalle e se ne va, furibondo.

Va bene, ci penso io. Vado in una stanza, stacco la bandiera della Croce Rossa dal muro e me la infilo nello zaino. Ne vedo un’altra ripiegata su un ripiano e ops! dentro anche quella. Vado in cucina da Doriana e Francesco e gli chiedo un manico di scopa. Capiscono al volo e lo svitano dallo spazzolone che stanno usando. Trattasi di furto? Mi faccia causa, la Croce Rossa Italiana: ci facciamo due risate, quando torno.

* * *

19/08/2004 17:17

Ripartiamo con l’unico camion sovraccarico: dovremo andare lentamente, e speriamo che tenga botta. Salah commenta: “Bene. Quello che poteva andar male è andato male.Ora, se saremo puri nelle nostre menti e nei nostri cuori, tutto andrà bene.” E’ un duro, Salah. Mi piace.

Ghareeb è veramente teso. Continua a dirmi di non sembrare straniero: niente foto, niente appunti sul taccuino, stai dritto, non ti voltare, niente cintura.Ho insistito sul fatto che lui sia il capo indiscusso della spedizione e che tutti – io per primo – obbediremo ai suoi ordini senza far domande. Lui penserà ai rapporti con gli irakeni e io a quelli con gli americani.E poi, dopo molta, molta strada e molti, molti posti di blocco – oops: a questo posto di blocco non ci sono le camicie azzurro ATM dei poliziotti iracheni.

Ci sono dei signori molto armati. Vestiti di nero. Con la fascia verde in testa.

Tana.

* * *

19/08/2004 17:21

“Si apprende che il convoglio della Croce Rossa attaccato sulla strada per Najaf non era stato autorizzato dalla sede centrale ed anzi vietato, per motivi di sicurezza, dal Commissario Straordinario Maurizio Scelli. Quest’ultimo ha disposto l’immediato rientro in Italia del capo missione per riferire sull’iniziativa.”

questa non ci voleva.

* * *

19/08/2004 19:57

Nel caldo feroce del primo pomeriggio, seguiti dal vecchio Ford sovraccarico, entriamo nella periferia di Najaf. La situazione è pesante, si sentono esplosioni dappertutto, ci sono combattimenti molto duri intorno al cimitero. Dobbiamo prendere strade e stradine polverose. Un sistema invisibile di staffette ci sta guidando: qui un uomo esce dal portone e ci fa segno di voltare a destra, qui un ragazzino ci manda a sinistra, là un vecchio accovacciato a vendere cavolfiori ci suggerisce di andare diritto.

Ora Ghareeb è sudatissimo, basterebbe una strada sbagliata per portarci dritti dritti tra le braccia degli americani che stanno accerchiando la città.

* * *

Ogni tanto, prima di un incrocio, Ghareeb chiede:

“Uko dabbaba?” (C’è un carro? Dabbaba è un’antica parola che significa “qualcosa che cammina pesantemente e con rumore”)

Oppure:

“Uko dabbabat?” (Ci sono carri?)

Fino a un certo punto la gente risponde:

“Makow.” (non ce ne sono).

E poi, alla fine, qualcuno risponde:

“Ey!” (sì)

Tocca a me. Prendo la bandiera della Croce Rossa fissata a un manico di scopa, apro la portiera e scendo lentamente in strada.

* * *

20/08/2004 08:36- ANSA – Della ingannevole atmosfera di speranza che si era creata ieri dopo le offerte di resa di Sadr ha fatto le spese anche un convoglio della Croce Rossa italiana che questa mattina era partito da Baghdad con aiuti per la popolazione di Najaf e che e’ stato investito dall’esplosione di una mina nei pressi della citta’ di Babilonia. I vetri di un’ambulanza e di un camion sono andati in frantumi, ma fortunatamente tutti gli operatori della Cri sono rimasti illesi. Il convoglio ha poi proseguito per la citta’ santa, per trovarla nuovamente in preda ai combattimenti e riamando bloccato per alcune ore, prima di poter fare rientro nella capitale.

* * *

20/08/2004 19:00

Bene, ci siamo. Ora tocca a me. Dietro quest’angolo c’è un carro armato americano. Forse l’equipaggio è nervoso. Forse hanno l’ordine di sparare o forse no, ma noi non lo sappiamo. Non posso togliermi dalla testa quel che è successo all’amico e collega di penna Raffaele Ciriello, ucciso in mezzo alla strada dalla raffica di un mitragliere nervoso quando era di fronte – armato solo di una macchina fotografica – a un Merkava israeliano.

Bon, vediamo che succede.

Sventolo cautamente da dietro l’angolo la bandiera con la croce rossa. Poi la sventolo più forte. Sbircio dietro lo spigolo. E’ un Bradley. E’ una specie di rospo color sabbia su una strada color sabbia tra case color sabbia. Sta lì, indifferente, tetragono, acquattato, pronto a sparare la sua lingua vischiosa per catturare l’insetto. Solo che l’insetto sono io, cazzo.

Sventolo ancora la bandiera, faccio un passo, mi riparo dietro un palo della luce e urlo:

“Ehi, boys! Italian Red Cross! Don’t shoot! We are here for humanitarian reasons! Can we come forward?”

“Ehi, boy, don’t shoot! I’m coming!”

Faccio un passo laterale e mi metto in vista, pronto a schizzare al riparo del palo di cemento. In una mano ho lo bandiera e nell’altra il distintivo dei Volontari del Soccorso, è ridicolo, da laggiù non riescono certo a leggerlo, ma forse per un ragazzotto dell’Ohio o del Wisconsin fa “legality”, come quando un poliziotto viene avanti tenendo il distintivo in una mano e la pistola nell’altra. Solo che qui i distintivi, come le chiacchiere, stanno a zero.

Sono le tre del pomeriggio, ho la gola secca, ma non credo dipenda dalla calura.

Faccio un altro passo di lato, cauto. Sbircio indietro: al riparo dietro l’angolo Gareeb e Salah mi guardano, tesi.

Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo, mi porto in mezzo alla strada sventolando disperatamente la bandiera con la sensazione che da un momento all’altro mi faranno secco, continuo a urlare red cross don’t shoot, con la sensazione di camminare in equilibrio su un filo.

Faccio segno a Ghareeb di avanzare lentamente con la Nissan. L’imbecille accelera e schizza via brusco, alle mie spalle. Lo segue il camion dei medicinali. Wew, passato: raggiungo anch’io piano piano l’altro lato, gridando “Thank you! Thank you!” all’indirizzo dei carristi invisibili.

* * *

20/08/2004 19:01

“Uko dabbaba?”

“Uko dabbabat?”

C’è un secondo Bradley sul nostro cammino, e poi un terzo: la procedura è la stessa. Smonta, sventola, urla, dirigi il traffico, e nel frattempo càgati sotto. Al terzo è già routine. Nessuno spara, e questo è buono, anche se vicino si sentono raffiche e colpi di mortaio.

Gli abitanti di Najaf si sporgono dalle case, salutano, ci indicano la via verso il Mausoleo di Ali. Vediamo i primi armati vestiti di nero con la fascia verde sulla fronte. Poi irrompiamo nel corso principale: in fondo la splendida piastrelltura multicolore del Mausoleo, una fantasmagoria araba di grande bellezza. Il corso è pieno di armati, Ghareeb comincia a suonare i clacson, tutti alzano in aria i mitragliatori aprono le dita a V, ci applaudono, urlano, passiamo tra due ali di uomini festanti armati fino ai denti, anch’io sporgo le dita aV fuori del finestrino, è una festa.

* * *

In fondo al corso un gruppetto di uomini vestiti di nero ci punta le armi. Ci fermiamo. Ghareeb scende. Questo è compito suo. Cominciano a urlare in arabo. Ghareeb sembra furibondo. Urla fortissimo. Un ragazzino con la fascia verde sulla fronte si mette dietro di noi e punta il lanciagranate RPG-7 sul camion. Porca troia. L’autista della Mezzaluna scende, pallido, e aziona il portellone. Lentamente, il portellone si abbassa: si vedono le casse di medicinali con la scritta Italian Red Cross. Il giovanotto alza il lanciagranate e sorride.Gli armati rimettono il mitra in spalla e abbracciano Ghareeb, che è sudatissimo. Via libera per il Mausoleo di Ali.

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Diario

“IL TEPORE DELLA TERRA

CHE MI RISCALDA IL CULO”

24 luglio 2004 enzo wrote:

< E’ tornato. E’ tornato il momento di partire.

Da un po’ di tempo la solita vocina insistente tra la panza e la coratella mi ripeteva: “Baghdad! Baghdad! Baghdad!”. Ho dovuto cedere.

Come sempre, quando si prepara un viaggio importante, cominciano a grandinare le coincidenze. E chissà quanto sono segni e quanto le provochiamo noi.

Ancora una volta, prima di una partenza, mi sono sdraiato sotto le stelle, nella Romagna dei miei nonni e della mia infanzia, in cima a Monte Bora, sulla terra notturna ancora calda del sole di luglio.

La terra, sotto, mi riscaldava il corpo. La brezza, sopra, lo rinfrescava.

Lucciole, profumo di fieno tagliato, il canto di milioni di grilli.

E’ qui che da piccolo studiavo spagnolo su un libro trovato in soffitta. E’ qui, davanti a un piatto di tagliatelle, che tre anni fa si è fatta sentire la solita vocina che ripeteva: “Colombia, Colombia, Colombia!”

Si è parlato molto di morte in questi giorni: della morte serena di Zio Carlo, filosofo e yogi, che forse sapeva la data del suo trapasso. Guardando il cielo stellato ho pensato che magari morirò anch’io in Mesopotamia, e che non me ne importa un baffo, tutto fa parte di un gigantesco divertente minestrone cosmico, e tanto vale affidarsi al vento, a questa brezza fresca da occidente e al tepore della Terra che mi riscalda il culo >

 

Ricordo

UN MEZZO SORRISO

AUTOIRONICO

27 agosto 2004

Non c’era pacifista più pacifista di Enzo Baldoni, con la sua bandiera della croce rossa sventolata fisicamente fra i due fuochi. Non c’era giornalista più giornalista, col suo “dilettantismo” sofisticatissimo, figlio di internet, una generazione piu in là della carta stampata. Non c’era sessantottino più coerente, a cinquantasette anni, morto così. Qualcuno ha pensato che il primo video fosse fasullo perché il viso “non rivela contrazioni inevitabili per chi si trovi sull’orlo dell’abisso”. Infatti. Cosa doveva fare, tremare, supplicare, gridare viva l’Italia? No. Un mezzo sorriso autoironico, tranquillo, quello dei personaggi di Doonesbury, senza nemmeno bisogno di fumetto.

E’ morto un grande, un grande piccolo uomo, uno di noi tutti. Del resto ne parleremo dopo, quando ci sarà la mente più tranquilla.

* * *

“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?”

 

 

 

Un vecchio Mac

Scrivo da un vecchio iMac, in Sicilia, che era (me lo fece avere mesi fa, sapendo che ero senza) di un amico pubblicitario, uno che nel tempo libero se ne andava in giro a raccontare il mondo ed era, fra le altre cose, fra i nostri primissimi lettori.

Si affaccia, non malinconico nè debole ma sereno, un senso di struggimento per chi avrebbe potuto essere qui a ridere con gli altri e invece è rimasto là, sulla via dell’umanità e dell’impegno. Vorremmo che la gioia collettiva di queste ore, la solidarietà, la forza che genera, viaggiassero fino a raggiungere coloro che ne hanno più bisogno e più merito adesso, i figli di Enzo Baldoni. (4 ottobre 2004)

 

 

 

Mestiere

IL GIORNALISMO

AI TEMPI

DI INTERNET

Modello Feltri o modello Baldoni?

 

La Catena di San Libero

30 agosto 2004 n. 246

Giornalismo. Che differenza c’è fra il giornalismo – per esempio – di Feltri e quello – per esempio – di Baldoni? Non parlo di differenze “politiche”. Da un punto di vista tecnico, voglio dire.

La differenza è che Feltri grida, mentre Baldoni parla a bassa voce. Non è una novità: anche Appelius gridava (“Il generale Badoglio è entrato ieri ad Addis Abeba”) e anche Hemingway (“Vecchio al ponte”) parlava a bassa voce. Destra e sinistra dunque, attraverso le generazioni? Non solo. C’è qualcosa di più, che attiene proprio alle radici profonde del mestiere.

Il giornalismo di Feltri nasce in un mondo sostanzialmente povero di notizie. Un mondo in cui ciò che succede accade lontano, arriva tardi, e incide relativamente poco sulla vita quotidiana. Quest’ultima, a sua volta, è una vita “normale”. Di una normalità che nessuno mette in discussione. “Il generale è entrato ad Addis Abeba”? E che ce ne frega. Non ha importanza, poi, sapere che cosa ne pensa il barbiere di Addis Abeba. Tanto non lo incontreremo mai – il mondo in cui viviamo non ha nulla a che vedere col suo.

Da questo discendono subito due cose. La prima è che la notizia coincide con lo scoop, deve avere un “effetto” traumatico immediato e dev’essere gridata. La seconda è che il gestore di questa notizia, essendo uno dei pochissimi autorizzati a gestirla, è una persona importante. Poiché non mette assolutamente in discussione (e perché dovrebbe?) la “normalità” del sistema, e poiché questo sistema è basato su una gerarchia – ristretta e distinguibile – di piccole e grandi Autorità locali, di notabili insomma, ecco che il giornalista diventa un notabile anche lui. Feltri, e Appelius, in fondo non sono dei giornalisti “fascisti”. Sono semplicemente dei gerarchi, dei notabili, esattamente come il sottosegretario dei trasporti o il podestà di Ravanusa. In più, hanno il bisogno fisiologico di “alzare” emotivamente le “notizie” che danno (“il Negus è semianalfabeta”, “Baldoni è d’accordo coi terroristi”) perché il valore delle loro notizie dipende principalmente dall’emotività che veicolano qui e ora.

Nel caso di Baldoni – del giornalismo di Baldoni – il background è ben diverso. Non siamo più in un mondo in cui si aggirano pochi e stenti segnali. Siamo in un mondo pieno di informazioni, piccole e grandi, per lo più immediatamente visibili nella nostra vita quotidiana. Il somalo, per me, non è un oggetto esotico che trovo sul giornale: è semplicemente il tizio che sta sull’autobus accanto a me. Siamo nello stesso mondo. Da lui, e dal suo mondo, mi giungono continuamente delle informazioni. Il mondo non è nemmeno più un mondo notabilare, retto da pochi. E’ un mondo ramificato e complesso, in cui il potere è dato dal consenso. Se al mio nipotino non piacciono le patatine McDonald, e questo finisce nei sondaggi, il presidente Mc Donald – un uomo potente – è nei guai. Questa è una novità, una novità che pesa.

Così lo scoop, l’effetto, perdono di valore. Gridare è quasi inutile, perché qua parlano tutti. Una vociata occasionale può turbare il lettore d’oggi, ma non persuaderlo. Bisogna convincerlo a poco a poco, sommessamente. Ragionare. Parlare. Portare le cose “piccole”, ma fondamentali, su cui la nostra vita si basa, dappertutto. Perciò, se il giornalismo vecchio era quello dell'”effetto”, il giornalismo moderno è quello della “storia di vita”.

La storia si può raccontare con molti trucchi tecnici, per lo più molto antichi (presente Erodoto?). Ma i suoi strumenti fondamentali appartengono all’intellettuale umanistico, alla persona; non al “giornalista” nel senso – specialistico – feltriano. Io per esempio sono un giornalista perché so usare XPress, calcolare un battutaggio, passare un pezzo, mettere in piedi un cartaceo e così via. Non sono un giornalista per quel che scrivo. Questo può farlo “chiunque”, con una determinata formazione, e lo farà tanto meglio quanto più sarà vivo. Lo strumento culturale di base non è più cioè l’appartenenza a un notabilato specialistico, ma la partecipazione colta e cosciente alla vita quotidiana delle persone. Questo significa subito che, se faccio il giornalista, non sono necessariamente un notabile: sono semplicemente un tecnico specializzato (in XPress). Per il resto, valgo quanto vale la mia sensibilità e la mia cultura: come tutti.

* * *

Il giornalismo antico aveva dei mezzi di distribuzione assai limitati. Marco Polo è riuscito a raccontare quel che aveva visto solo grazie a una serie di colpi di culo (finire in cella con un intellettuale) del tutto imprevedibili. Kipling aveva bisogno di un editore. E tutti abbiamo avuto bisogno di rotative, di distributori, di macchine, in ultima analisi (salvo eccezioni: I Siciliani, Avvenimenti e altri pochi) di un padrone. Il giornalismo antico è, per sua tecnologia, coartabile e centralizzato.

Il giornale di Baldoni invece si chiama Bloghdad.splinder.com. Se vai su Splinder, puoi farti il tuo giornale – non dico i contenuti – nel giro d’un paio di ore. Difatti, ce ne sono migliaia. Puoi farlo benissimo anche tu. O puoi fare una mail, un sito, una e-zine come questa. Puoi *comunicare*.

Il giornalismo moderno ha dei mezzi di distribuzione illimitati. Non è centralizzato, e non è coartabile da nessuno. L’unica cosa che gli manca è l’antico status notabilare. Questo è un guaio per il giornalista. Ma non per il lettore.

* * *

Questa trasformazione è avvenuta ormai da diversi anni, il suo strumento tecnico è l’internet, la sua ideologia l’umanesimo e il suo backgound storico la globalizzazione. Baldoni c’era dentro fino al collo. Adesso, naturalmente, è un “giornalista” anche lui, ora che è morto. Come la Cutuli (promossa inviata dopo), come Ciriello, come Beppe Alfano ucciso dai mafiosi in Sicilia e pagato tremila lire a pezzo, come quel collega di Catania che in questo momento, per sopravvivere, sta scaricando casse e imballaggi all’aeroporto. “Giornalisti” tutti. Ma forse è arrivato il momento di separare le razze. Se Feltri è giornalista, evidentemente Baldoni non lo è. E viceversa. Non è un discorso moralistico, come si dice. E’ semplicemente un fatto tecnico, di mestiere. Fra vent’anni, vedremo chi dei due sarà considerato storicamente un giornalista e chi no.

* * *

Sarebbe bene che anche coloro che – notabilarmente – tengono i registri del “giornalismo” comincino a riflettere un po’ su queste cose. Mi riferisco all’Ordine dei giornalisti e alla Federazione della stampa. Sono dei club simpatici, che hanno avuto una loro funzione ai tempi del giornalismo antico. Adesso però debbono decidere se vogliono continuare a occuparsi di giornalismo o no.

Che fine fanno – tanto per dirne una – tutte le polemiche di salotto su Farini? Roberto Farini, braccio destro di Feltri, è quello che ha affermato che Enzo Baldoni era amico dei terroristi iracheni. L’ha scritto nero su bianco, avendone dunque (visto che è un giornalista) le prove. Non l’ha scritto perché ce l’avesse in particolare con Baldoni – che gliene frega – ma così tanto per fare lo scoop, per l'”effetto”. Bene: questo Farini è un “giornalista” o no? In questo momento, nel sistema dei notabili, c’è un’autorità precisa che può stabilirlo, ed è l’Ordine dei giornalisti. Mi aspetto che esso risponda a questa domanda, visto che tocca a lui rispondere. Se no, bisognerà pur trarne qualche conseguenza.

* * *

Non è solo l’Ordine, il notabilato, ad essere stato povero in questa vicenda. Io temo che anche la categoria nel suo complesso abbia capito poco di quel che è successo con Baldoni. Il sito non ufficiale più autorevole del giornalismo italiano è, secondo me, il Barbiere della Sera. E’ nato come “giornale” spontaneo dei giornalisti, col preciso intento di mettere in piazza ciò che succedeva dietro le quinte dell’informazione. Povero, scattante, appassionato, ha avuto un suo ruolo preciso in quegli anni. Poi, come a tanti succede, s’è ingrassato e s’è ingrandito, e ora è un bel portale di quelli che appena li clicchi ti sparano subito i flash di pubblicità. Non lo leggevo da qualche tempo, l’ho fatto adesso per vedere il dibattito su Baldoni. Ho trovato quanto segue:

“Poi però al fine settimana, il nostro si mette la tutina da Superman e va a giocare all’inviato di guerra”.

“Lo spirito da avventuriero con cui affronta le sue imprese”.

“E non è un caso che anche ai dirigenti della nostra categoria non sia piaciuto questo finto inviato di guerra”.

“Deaglio, snob della sinistra, vergognati!”.

“Non conosco personalmente Enzo Baldoni, ma che sia un personaggio un po’ egocentrico, e forse anche leggero ma non per questo buono…”.

“Baldoni è simpatico, ma, ripeto, NON lo considero un giornalista”.

“Una persona così è un danno per la categoria”.

Questa, naturalmente, non era l’opinione di tutti. La maggior parte degli interventi erano complessivamente civili. Ma c’erano anche questi – una consistente minoranza – e facevano opinione.

* * *

Anche le giornaliste Rai, se ve lo ricordate, erano “amiche dei terroristi”. Quelle inviate in Iraq, durante e dopo la guerra: sono state insultate esattamente come Baldoni, perché “non erano professionali”, erano “simpatizzanti di Saddam” e compagnia bella. Va bene: in questo momento, purtroppo, la cultura di destra in Italia è ridotta a un livello molto basso, e ne escono cose come queste. Potremmo “buttarla in politica”, e finirla qui. Purtroppo, il problema è più profondo e riguarda la complessiva concezione del giornalismo in Italia, l’uscita – per chi vuole e può – dal notabilato e il ruolo, nel giornalismo moderno, dei “giornalisti”.

 

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