mercoledì, Novembre 27, 2024
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Estate ’14

I mostri e i nuovi mo­stri. Il mondo visto da quaggiù

L’Europa, come sapete, è morta am­mazzata esattamente cent’anni fa. E’ ancora un argomento di moda (quand’ero giovane io era addirittura sexy), ma ahimè solo fra i più benestan­ti o più colti, la crema.

Per il comune europeo, l’Europa non è che uno dei tanti nuovi mostri – i mar­chionni, i blairthatcher, i renzaletti – che, ognuno per la sua parte, gli strappano fe­rocemente quel po’ di società e di benes­sere che s’era pur conquistato dopo cin­quant’anni di scannamento.

Non è che sia granchè furbo, l’europeo: vota per chi sbraita più forte, oppure per chi gli mette due monete in mano; oppure, più di fre­quente, non vota affatto (paesi interi, come la Polonia, alle elezioni euro­pee di fatto non hanno partecipato; la maggioranza galattica, qui in Italia, com­prende appena un quarto della gente).

In Sicilia, a Catania – che noi ci ostinia­mo a considerare, con apparente arbitra­rietà, centro del mondo – ha vinto diretta­mente un giornalista crumiro, della corte di Ciancio; di Ciancio e di Cuffaro, il cui braccio destro – il famoso Leanza – è stato lo stratega della vittoria. Di mafia, a que­ste elezioni, non se n’è parlato; il che non manca, al solito, di stupire i turisti prove­nienti dai paesi civili.

(“Ma come, in una regione con un pre­sidente in galera per mafia e uno inquisi­to?”. “Che debbo dirle, herr Goethe. Pensi che qua gli assessori di questi presidenti continuano tranquilla­mente ad assessora­re, e magari a procla­marsi antimafia”).

La noiosa faccenda di Ciancio

Che altro si può raccontare, su Catania? Ancora, noiosamente, la faccenda di Ciancio che ospita gli Ercolano, discute con loro di come far cronaca, pubblica le loro lettere (e loro, nell’indifferenza gene­rale, progettano di far fuori Claudio Fava)? O dello stesso Ciancio inquisito per mafia ma riverito e ossequiato da tutti i politici isolani, dai vociferanti Crocetta e Bianco al distrattissimo Ingroia? La Città e l’Ateneo (quest’ultimo illustrato da lumi­nari come Tino Vittorio, a suo tempo so­stenitore dell'”omicidio non mafioso” di Fava) hanno finito di accogliere, in pom­pa magna, l'”ambasciatore” nazista di Bandera, della 14. Waffen-Grena­dier-Division der SS.

Meglio passare direttamente alla lonta­na Italia, dove l’imprenditoria mila­nese solidarizza fieramente (sul Corriere”) col mafioso Dell’Utri, fon­datore del partito che ha governato l’Italia per vent’anni e anzi – sostengono i pignoli – lo co-gover­na ancora, col suo pilatesco ma decisivo appoggio al governo, anzi al Partito (come ora si definisce) della Nazione. E’ in atto un dibattito per stabilire se tale ap­poggio continuerà o verrà sostituito da quello dell’opposizione oppure, italiana­mente, da tutt’e due insieme. L’opposizio­ne, in un tale paese, è ovviamente rappre­sentata (come d’altronde il governo) da un ex-democristiano, finalmente spostatosi, dopo molte urla, all’estrema destra britan­nica: Lord Grillo.

Aprile 1913: i grilli­ni processano Ber­sani, che ave­va loro pro­posto di go­vernare in­sieme. Alla fine, il dialogo negato al Pd “co­munista” di Ber­sani è stato conces­so al Pd “democristiano” di Renzi…

Si dibatte, fra le altre cose, sulla Costi­tuzione da “riformare” (Berlusconi la defin­ì senz’altro “comunista”). Per ora verrà abolito il Senato (ridotto a refugium pec­catorum per le varie formigonate e cuffa­raggini), più avanti si passerà al re­sto. Fra “riforme”, abolizione delle liste li­bere e regi poteri dell’ex Presidente-garan­te sia­mo già al “torniamo allo Statuto” sonni­niano del 1897, che alla fine permi­se a S.M. il Re e aspirante Imperato­re di pro­clamare arbitrariamente la guerra, nel lon­tano (ma non tanto) 1915; e siamo tor­nati in tema.

La guerra borbotta già (“Guerra in Eu­ropa? Ma è impossibile!”) ai lontani con­fini. I diplomatici si affannano, si parla di “iniziative europee” (allora, di “concerto delle nazioni”).

Ma le iniziative politiche, oggi come cent’anni fa, contano quanto il due di cop­pe a briscola (quando la briscola è denari) di fronte ai poteri economici: il ga­sdotto, il petrolio, la ferrovia Ber­lino-Bagdad, il complesso militare-industriale, le nuove (nel 1913) corazzate a nafta, i droni.

In Italia, in particolare, la politica ri­guarda ormai solo l’ordine pubblico, dal momento che la sequenza Marchionne (Pomigliano-Mirafiori-FCA), di ormai due anni fa, ha largamente deciso sulle questioni sostanziali. Un vero e proprio colpo di stato sociale, che aiuta a spiegare perché bisognava mettere il più possibile fra parentesi, in questi anni cruciali, la de­mocrazia.

 

La Costituzione da “riformare”, l’abolizione delle liste libere, l’attribuzione di poteri regi a quello che una volta era il Presidente-garante: non è un percorso del tutto nuovo, e già una volta fu usato per “salvare la patria” in tempi d’emergenza…

 

La distanza fra società e palazzo

La concezione personalistica del partito, che aveva risparmiato solo il Pd, si è este­sa (e con più virulenza che altrove) anche a quest’ultimo, in termini decisamente non tradizionali. La distanza fra società e pa- lazzo si è ulteriormente allargata e il rap­porto è tornato quello pre-democratico, fra monarca e massa: questa rasse­gnata o urlante, quello accigliato o sorri­dente, o- gnuno nel suo balcone o nella sua piaz­za.

L’autorità, qualunque autorità, è impo­polare: quasi tutti i sindaci uscenti alle ul­time elezioni sono stati sconfitti clamoro­samente. La parte­cipazione al voto è or­mai quella che è, tan­to da conva­lidare con una certa diffi­coltà la legittimi­tà dei pote­ri. Questi ultimi sono ormai soprattutt­o mediatici, campa­gne-stampa mi­rate e son­daggi forzati avendo or­mai pre­so il posto, nella vita politica, di comi­zi, bar-sport, piazze e sezioni di partito.

Si è ristretto lo spazio pubblico, ma non la complessità (e la fragilità) del coman­do. Le opposizioni esistono ancora, ma non più in parlamento bensì a Corte.

Dei famosi centotré congiurati che ap­pena un anno fa fecero fuori l’ultimo nota­bile democratico, Prodi, si parla or­mai – per esempio – coi toni dei memorialisti di Luigi XIV, e per allusioni comprensi­bili solo a chi vive a corte. Eppure si tratta della più potente lobby della Repub­blica, e della post-repubblica anche…

L’equilibrio italiano

Questa saggezza consisteva essenzial­mente nell’equilibrio. In una società come quella italiana, divisa geograficamente e socialmente, sarebbe stato impossibile an­dare avanti senza garantire a ogni compo­nente uno spazio preciso di rappresentan­za e di gestione possibile del bene comu­ne. All’interno di questo equilibrio la “si­nistra” (qualunque ambito si voglia dare a questo termine: dai romanzi di Italo Cal­vino al Consiglio di fabbrica della Breda) aveva una funzione essenziale che seppe adempiere degnamente.

Senza mai rinun­ciare del tutto alla dife­sa degli inte­ressi popolari, e spesso anche alla lotta di classe, essa riuscì a farsi cari­co – come si dice in politica – non solo dei propri stretti inte­ressi, ma anche di quelli nazionali. Questi ultimi in certi momenti erano davvero drammati­ci (ad esempio sparare sui tedeschi o ga­rantire lo svilup­po industriale), ma non vennero nel com­plesso mai abbandonati.

Quando la sinistra entrò in crisi – il che non avvennne per motivi ideologici, ma per semplice stanchezza dei ceti medi che avevano finito per costituirne l’ossatura) – non furono solo gli interessi delle classi povere ad essere abbandonati: lo furono, in larga misura, anche gli stessi elementi costituitivi della nazione.

Una sinistra forte non avrebbe certo permesso i licenziamenti politici degli operai o la riduzione drastica dei salari reali; ma non avrebbe soprattutto permes­so la pura e semplice eliminazione della Fiat dall’economia del Paese, la delocaliz­zazione selvaggia di praticamente tutta l’industria italiana, e la conseguente con­danna del Paese a uno stato di crisi strut­turale per­manente. Nessuno ha lottato più per gli interessi collettivi.

Sono sorte, sì, lotte meritorie e vincenti sul piano dei sin­goli episodi, a volte addi­rittura (queste, anzi, con più fora di pri­ma) sul piano dei diriti umani. Ma sulla struttura materiale del Paese, sulla sua configurazione com­plessiva, nessuno – da un certo punto in poi – ha lottato più. Fin­ché è svanita nella nebbia la stessa ele­mentare percezione del problema.

Una cultura politica “americana”

La sinistra, così, o ciò che continuava a vedersi come tale, ha finito con l’assumere una cultura politica ”america­na”: vivacità intellettuale, reazione ai casi singoli, at­tenzione – non sempre – a ogni grossa le­sione dei diritti umani, ma so­stanziale ab­bandono della lotta politica di massa. Un “partito repub­blicano” (ma più auto­ritario e classista di quello americano) di milio­nari e poveri bianchi, un “partito demo­cratico” (che ha finito per chiamarsi pro­prio così) di notabili e interessi consolidat­i, qualche partitino simbolico comunis­ta, ecologista, trockista e chi più ne ha più ne metta, e il potere reale alle corpora­tion (fra cui, da noi, Cosa Nostra e ‘ndranghet­a) sempre più presenti non solo solo nell’economia ma anche sul territorio.

Lo scontro più diretto col Sistema

Poteva andare diversamente, potrà an­dare diversamente? Certamente sì. Perso­nalmente, da molto tempo ritengo che le carte da giocare vadano cercate nel terre­no della società civile (o “movimenti”, o “volontariato”: chiamatevla come volete, anche se fra un termine e l’altro ci sono sfumature); e, all’interno di essa, nell’anti­mafia sociale, che per sua natura deve af­frontare gli scontri più radicali diretti col sistema di potere, di cui la mafia ormai è una componente vitale.

Certo, faccio attenzione anche a quel che succede nella politica tradizionale: ul­timamente, qualcosa d’interessante (ma con una certa rozzezza, fra dirigenti vec­chi e intellettuali “nuovi”…) s’è visto nella campagna elettorale di Tsipras, per quanto infelicemente condotta. Ma è ov­vio che una formazione politica, dal no­stro punto di vista, non può mai essere esaustiva, vi­sto che un partito-cardine, onnicomprensi­vo, verosimilmente (e per for­tuna) non esisterà mai più.

Il mio modello resta quello, sconosciuto e efficientissimo, dei ragazzi di Modica del “Clandestino”, dei catanesi del “Gapa”, dei napoletani di “Monitor” e di tutti gli altri gruppi “politici” che trovate sulla home dei Siciliani giovani).

Ci aiuta molto il fatto di essere, oltre che dei militanti civili, anche dei giornali­sti. Partire da un lavoro preciso, da una cosa precisa da fare e non da semplici di­scorsi, probabilmente di questi tempi è anche un fattore politico importante.

Del resto, da costruire c’è quasi tutto: ma non è una cosa strana né una gran no­vità visto che molto spesso, nel corso del­la storia, alla sinistra è toccato di guardar­si allo specchio e reinventarsi daccapo, ri­partendo pazientemente dal lavoro.

* * *

“Le mafie non sono solo bande di gang­ster che non sopravviverebbero oltre qua­rant’anni – dice Caselli, il più coraggioso combattente del periodo Andreotti – Resi­stono in Italia da oltre due secoli grazie a tutto un apparato di relazioni esterne con consistenti pezzi della politica, dell’eco­nomia, della società civile, un sistema di coperture, collusioni e complicità che non per­mette di affrontare il pro­blema come andrebbe af­frontato”.

 

Scheda

COME FARE SALTARE PER ARIA UN MONDO

Guerre. Perché è scoppiata la prima guerra mondiale? Più ci stu­dio, e più mi rendo conto che in realtà non è riuscito a capirlo an­cora nessuno. Le ipotesi più coerenti, ai due estremi, sono quella di Nicola Lenin e Winston Churchill. Il primo era convinto che i ca­pitalisti dovessero prima o poi scatenare una guerra glo­bale per i mercati. Il secondo che il casino fosse nato dalla gara

di potenza navale fra tedeschi e inglesi. Quasi tutti gli altri storici oscillano fra l’una e l’altra di queste posizioni.

Non leggevo Lenin da molto tempo. Dell’Imperialismo malat­tia in­fantile del capitalismo (o la malattia infantile era quella dell’estre­mismo? boh: questi libri si assomigliano tutti) mi ricorda­vo più che altro una splendida copertina rossa. Rileggen­dolo ora, sono colpi­to dalla profluvie di dati minuziosi e “cattivi” su produ­zione, mer­cati, affari ecc. e soprattutto dal tono di lucida ostilità con cui essi vengono schierati. Tutto sommato, c’era la Bella Epo­que, allora, e i compagni europei in fondo erano delle gran brave persone che tutto s’immaginavano fuorché rivoluzioni e guerre…

Ecco: questo tono di estraneità, di gelida sfiducia in qualsiasi pos­sibilità di evo­luzione “buona”, è ciò che, in quel li­bro, più colpi­sce adesso. Suppongo che, per l’epoca, questo fos­se un sintomo ab­bastanza preciso, molto più impressionante delle cifre e i dati. Forse il sistem­a è collassato anche perché non riu­sciva più ad ispirare al­cun senso di interlocuzione a uomini come il sig. Lenin.

Del quale non riusciamo a conoscere il nome e l’indirizzo attua­li: personalmente immagino che sia da qualche parte dell’Africa, ma queste cose si vengono a sapere sempre dopo.

Il libro di Churchill (“La crisi mondiale”) invece è semplice­mente affascinante. Churchill non era ancora quel vecchio politi­cante ‘mbriagone che a un certo punto gl’inglesi chiamarono (con elfica genialità) a salvare la merry England e tutto il mondo. Era un gio­vane ex ministro con buone competenze nel campo della marina (i suoi dati navali sono ottimi) e ottime frequentazioni nei club di Londra. Noi inglesi, dice in sostanza, non potevamo farci superare in mare perché altrimenti per difenderci avremmo dovu­to farci un grosso esercito e così saremmo diventati non più dei lord eccen­trici ma dei militaristi. Ed elenca con garbo il numero delle coraz­zate, le le decisioni drammatiche prese all’Ammira­gliato fra un tè delle cinque e l’altro; i (duri e cortesi) retroscena.

E’ molto più coinvolgente, sotto questo profilo, del suo rivale. Ci sono chicche splendide: si parla per esempio del nome da dare a un nuovo (nel 1912) cacciatorpediniere; ed ecco che viene fuori una vecchia canzone marinaresca su una fregata dei tempi di Nel­son, la “sfrontata Arethusa”, dalle tette al vento della polena.

Tuttavia, anche qui, c’è qualcosa che non torna. Questo mondo di garbo diplomatico e di sigari al club,di gentlemen’s agreemen­ts e di sorrisi civili: che mai poteva aveva a vedere col sanguino­so ma­cello di pochi anni dopo? Davvero la radice della barbarie era na­scosta là nei club, fra i bicchierini di Porto? Lenin, uomo feroce, sghignazzava: non c’era il minimo dubbo che quei signori, di na­scosto, fossero dei cannibali.

(s.l.)

 

Termometro

NOTIZIE ALLA RINFUSA

Maggio. Intercettato un piano della famiglia Ercolano per un attentato contro Claudio Fava, dopo una sua interrogazione sulla condizione carceraria di Ardo Ercolano.

Distratte reazioni del mondo politico.

Maggio. Crisi. Secondo l Censis i duemila italiani più ricchi dispongono di un patrimo­nio complessivo di 169 miliardi di euro. Sta­tisticamente, lo 0,003% della popolazione possiede quindi una ricchezza pari a quella del 4,5%. I dieci italiani più ricchi, da soli, possiedono circa 75 miliardi di euro, pari al reddito di circa 500mila famiglie comuni.

Maggio. Santa Croce di Camerina. Un bracciante di origini tunisine ricoverato per lesioni: bastonate del caposquadra perché si era allontanato qualche minuto per esple­tare le proprie funzioni biologiche.

Giugno. Londra. Triplicato (14-33%) il tasso di povertà in Gran Bretagna dall’83 a oggi.

Giugno. Roma. Secondo la Corte dei Conti: l’economia sommersa in Italia ammonta al 21% del Prodotto interno lordo.

Giugno. Disoccupazione giovanile al 46%.

Giugno. Al via la privatizzazione di Fincan­tieri. Interessato un pool di banche fra cui Imi, Credit Suisse, Morgan, UniCredit, Citi­group, Deutsche Bank, Goldman Sachs.

Giugno. Il 50% della Marmi Carrara al gruppo finanziario saudita Bin Laden.

Giugno. Crollo delle nascite in Italia (515mila nel 2013, minimo storico). Aumen­ta l’emigrazione all’estero (+68mila), dimi­nuisce l’immigrazione (-42mila).

 

Trame

COMMEDIA ALL’ITALIANA

“Ehi, guarda un po’ là… Ma non c’era la Fiat, laggiù?”. “Vero… E dov’è finita la Fiat?”. “Me la sono portata”. “Ehi! Ma è cent’anni che ci facciamo un mazzo cosi per la Fiat! E noi come facciamo senza fabbriche?”. “E che me ne frega. Io sono il padrone e ne faccio quello che voglio. L’ha detto pure il governo”. “Ma io… ma noi…”. “Arrivederci”. “E dove va?”. “A Londra, alla nuova sede della ditta”. “A Londra? E che c’entra la Fiat con Londra?”. “Per non pagare le tasse a voi fessi italiani”. “Ma… non è possibile… non è giusto…”. “Giusto? Mi dispiace. Ma io so’ io, e voi nun siete un c…”. (Sipa­rio)

 

Promemoria

Dieci obiettivi dell’antimafia sociale

  • Abolire il segreto bancario;
  • Confiscare tutti i beni mafiosi o frut­to di corruzione o grande evasione fi­scale;
  • Assegnarli a cooperative di giovani lavor­atori; aiuti per chi le sostiene;
  • Anagrafe dei beni confiscati;
  • San­zionare le delocalizzazioni, l’abuso di pre­cariato e il mancato ri­spetto degli ac­cordi di lavoro;
  • Separazione di capitale finanziario e indus­triale; tetto alle partecipazioni nell’edi­toria; To­bin tax;
  • Gestione pubblica dei servizi pubbli­ci es­senziali (scuola, università, difesa, ac­qua, energia, strutture tecnologiche, cre­dito inter­nazionale);
  • Progetto nazionale di messa in sicurez­za del territorio, come volano eco­nomico so­prattutto al Sud; divieto di altre cementificaz­ioni;
  • Controllo del territorio nelle zone ad alta in­tensità mafiosa.
  • Applicazione dell’art.41 della Costituzio­ne.
    Articolo 41:
    “L’iniziativa economica privata è libe­ra. Non può svolgersi in contrasto con l’utili­tà socia­le o in modo da recar­e dan­no alla sicurez­za, alla li­bertà, alla digni­tà umana. La legge determi­na i pro­grammi e i con­trolli opportuni perché l’attività economi­ca pubblica e priva­ta possa essere indirizzat­a e coordinata a fini so­ciali”.

Un pensiero su “Estate ’14

  • Caro Riccardo, grazie per il bellissimo, lucido articolo; solo qualche punto di dissenso.
    Tu scrivi:
    “Quando la sinistra entrò in crisi – il che non avvennne per motivi ideologici, ma per semplice stanchezza dei ceti medi che avevano finito per costituirne l’ossatura)….”
    Io credo, invece, che lo sbriciolamento di quella tragedia che è stata il muro di Berlino sia una spiegazione, quale causa della crisi della sinistra italiana, molto più credibile della stanchezza cui tu ti riferisci.

    Ed ancora:
    “Ma è ovvio che una formazione politica, dal nostro punto di vista, non può mai essere esaustiva, visto che un partito-cardine, onnicomprensvo, verosimilmente (e per fortuna) non esisterà mai più.”

    Mi sembra, invece e purtroppo, che la costruzione di questo “partito cardine” sia già in atto: e che cosa sarebbero, altrimenti, le cosiddette “larghe intese” praticate con la bufala di “salvare l’Italia”(o, più credibilmente, affossarla in maniera definitiva)? Dobbiamo soltanto sperare che, nella discussione in corso, le truppe sparse dell’opposizione riescano a vincere il progettato omicidio del senato elettivo e tutti gli altri “combinati disposti”.

    Ed infine, tu scrivi:
    “Guerre. Perché è scoppiata la prima guerra mondiale? Più ci stu­dio, e più mi rendo conto che in realtà non è riuscito a capirlo an­cora nessuno. Le ipotesi più coerenti, ai due estremi, sono quella di Nicola Lenin e Winston Churchill. Il primo era convinto che i ca­pitalisti dovessero prima o poi scatenare una guerra glo­bale per i mercati. Il secondo che il casino fosse nato dalla gara
    di potenza navale fra tedeschi e inglesi. Quasi tutti gli altri storici oscillano fra l’una e l’altra di queste posizioni.”

    Anche su questo non sono d’accordo! Infatti, le due ipotesi, che citi, sono forse in contrasto, o in opposizione l’una dell’altra? Non lo credo. La spiegazione della terribile I guerra mondiale, fonte di tutte le disgrazie e le tragedie che hanno insanguinato il XX secolo, c’è, mi sembra chiarissima, e l’hai scritta tu stesso: la spiegazione suddetta è l’amplissimo ventaglio dei fatti , contenuti tra le due suddette ipotesi, che si sono manifestati e sviluppati nel quarantennio circa che intercorre tra la fine del sistema bismarckiano e il funesto 1914.

    Grazie per l’attenzione, cordiali saluti e…in gambissima!

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