Verso l’Expo, allegramente
Milano va allegra verso l’Expo. Preoccupata solo di non finire i padiglioni e le altre strutture in tempo. Finire, sbancare, tirar su, costruire. Così per arrivare al traguardo ha messo nel conto che si possa chiudere un occhio sulla legalità. Sono stati annunciati protocolli invulnerabili, si sono celebrate strette di mano a quattro in nome di un evento mafia-free, si sono accumulate le dichiarazioni ufficiali per rassicurare l’opinione pubblica.
Ma al tempo stesso la città che conta volta la faccia dall’altra parte. Per non vedere, per non sapere. E’ venuto fuori un grumo di corruzione grande come una montagna e il commissario straordinario di Expo, Giuseppe Sala, che vi ha visto coinvolto il proprio braccio destro Angelo Paris, non ha trovato di meglio -di fronte alla cupola dei Frigerio e dei Greganti collettori di tangenti- che chiosare che “si tratta di una cupoletta di pensionati della prima Repubblica”. E’ già stato tutto rimosso. Un episodio, si dice, in un tessuto sano: Paris, il numero due di Expo, era un ambizioso che ha perso la testa.
Eppure quando chiedeva favori si rivolgeva a un sistema, non a una persona. Non chiedeva soldi a un singolo imprenditore, ma garanzie sulla sua carriera, sul suo ruolo alla fine dell’Expo. Che solo un sistema di favori a metà tra pubblico e privato poteva assicurargli. Poi si è visto che la azienda Maltauro, già coinvolta nelle inchieste, aveva vinto un nuovo appalto. Ancora silenzio. Nel frattempo, senza nemmeno consultarsi con la commissione parlamentare antimafia, è stato alzato a 100mila euro l’importo degli appalti sotto i quali non valgono i controlli antimafia stabiliti all’inizio.
E tutti sanno, a Milano proprio tutti sanno, tra imprenditori, tecnici e politici, che è quella la dimensione dei subappalti in cui si inseriscono di fatto le imprese della ‘ndrangheta. Le quali si fanno trovare nei cantieri, entrano nei lavori, con il sistema delle forniture più che entrando formalmente nei subappalti. Ora chi concede loro di far lavori non dovrà più certificare e garantire nulla. Inutili le denunce del comitato antimafia del Comune, minuscolo fortino di pochi innamorati della legalità.
Dice che non si fa così “quale sarà l’immagine di Milano davanti al mondo?”.
Già, che cosa penserà il mondo di Milano e della Lombardia se non si faranno in tempo tutti i padiglioni? A nessuno passa per la testa di chiedersi che cosa penserà il mondo di Milano se questa si confermerà la città delle tangenti per antonomasia (Tangentopoli, appunto…), o che cosa si penserà dell’Italia se si dovesse confermare che non riusciamo a produrre un’opera pubblica senza farci entrare dentro la mafia. Ma il giorno che la magistratura dovesse scoperchiare qualcosa tutti grideranno che l’avevano detto, che si sapeva dall’inizio. Ci sarà un capro espiatorio – un prefetto, un braccio destro, un assessore regionale – a garantire che il resto è sano. Ed è così che le grandi imprese e amministrazioni, pubbliche e private, combattono la mafia quando il pericolo viene annunciato da anni. Figuratevi gli altri quando c’è il silenzio.
P.S. Naturalmente nessuno si chiede che cosa penserà il mondo se, una volta finiti i padiglioni, non avremo nulla da dire. Il nutrimento del pianeta, la fame nel mondo… E cosa volete che siano davanti alle smanie di costruttori e politici assatanati di guadagni?