Mafie al nord
Mafie al nord/ 1
Le mafie al nord: Ibridazione o contagio?
Gabriele Licciardi, Centro Studi Luccini
La presenza delle organizzazioni mafiose nelle “aree non tradizionali” è ormai un fatto assodato. Le inchieste giudiziarie che certificano queste presenze inquietanti sono ormai decine, e grazie all’attività della magistratura è oggi possibile avere una mappatura precisa della presenza delle mafie nelle regioni del nord Italia. Se questo di cui parliamo è ormai un dato di fatto, diversa è la percezione che del pericolo mafioso hanno le popolazioni lombarde, piemontesi, venete o emiliane.
La differenza fra il livello del pericolo reale, e la percezione che dello stesso hanno le comunità locali, è frutto di un’attenta retorica politica e, in alcuni casi, istituzionale, che per anni ha predicato l’assenza del fenomeno mafioso nelle regioni oltre la linea Gotica, e se qualche arresto, di tanto in tanto è stato compiuto, questo ha rappresentato il frutto avvelenato della legge che, nel 1956, istituì il confino dei mafiosi al Nord.
La storia di questo provvedimento fu inficiata, ab origine, dalla convinzione che la mafia fosse un prodotto del sottosviluppo delle regioni meridionali, e quindi incapace di radicarsi in contesti ad economia avanzata. Una legge che basò il suo valore euristico sulla riproposizioni di stereotipi culturalistici ed etnicistici.
Da qualche anno importanti studi, in particolare quelli di Rocco Sciarrone che ha a lungo studiato le modalità di espansione e di radicamento delle mafie al di fuori dei loro luoghi d’origine, hanno invece dimostrato che da solo il confino obbligatorio non sarebbe stato capace di agevolare il radicamento di nessun tipo di criminalità organizzata. La capacità delle mafie di infiltrarsi nelle “aree non tradizionali” fu determinata da una certa solidarietà di contesto, che determinò le condizioni opportune affinché alcune prassi criminali diventassero di fama nazionale. La retorica politica a lungo si è concentrata sul pericolo del contagio, trascurando, invece, quelli che a noi appaiono come ben più importanti, ovvero i fenomeni di ibridazione, questi si decisivi nell’infiltrazione della criminalità organizzata delle regioni del nord.
In sostanza la presenza di una certa domanda di criminalità endogena nei territori fino agli anni settanta del ’900 estranei a fenomeni di criminalità mafiosa, ha permesso a uomini d’onore e ai loro commerci di far si che la linea della palma si spostasse sempre più verso il nord Italia. Se poi proviamo ad andare nello specifico delle aree regionali abbiamo l’opportunità di capire come l’ibridazione ha assunto forme diverse, e rappresentazioni mutevoli.
Se le recenti inchieste della procura milanese congiuntamente a quella reggina, hanno dimostrato come la ’Ndrangheta in Lombardia ha raggiunto livelli importanti di power syndacate, ovvero controllo del territorio e controllo commerciale del territorio, in altre circostanze questo livello d’ibridazione, per motivi contingenti, non è stato raggiunto, e l’infiltrazione ha sviluppato più il suo carattere di enterprise syndicate ovvero di controllo delle attività commerciali illecite.
In alcuni casi l’infiltrazione è stata così importante da arrivare allo scioglimento di alcune giunte comunali, come il caso del comune di Bardonecchia, nel 1995. Evidentemente il problema è come minimo di carattere nazionale, ma le retoriche della politica continuano a perseverare in una logica di frantumazione dell’azione di lotta alle mafie. La responsabilità nella lotta alle mafie è evidentemente un priorità collettiva, ma a quanto pare non sembra assodato.
Mafie al nord/ 2
Milano, Sicily
Umberto Gay, Lettera43
Il 2012 si è aperto a Milano “alla siciliana”. Nel giro di pochi giorni due attentati hanno colpito due Consigli di zona e una sede Pd. Ma è da alcuni mesi che si ripetono atti di intimidazione in alcuni quartieri conosciuti per il loro degrado, o addirittura,per essere da molto tempo già sotto il tallone della criminalità mafiosa. Zone dove le stesse forze dell’ordine hanno difficoltà ad operare a fronte di un reticolo di vedette, posti di osservazioni, rioni dove impossibile circolare se non conosciuti dai clan.
Il controllo capillare del territorio, che è verità storica per larghe aree dell’hinterland milanese (Buccinasco, Corsico, Trezzano) da parte di famiglie calabresi e siciliane, ora sembra diffondersi anche in Milano città. Non quindi solo quartieri di libero spaccio ,prostituzione ecc. Gli atti violenti di questi tempi ai consigli di zona possono avere un solo significato: la scesa in campo “politica” dei clan per affermare il proprio dominio.
Questa, almeno, è la prima valutazione della commissione di consulenza antimafia che ha già incontrato a tambur battente esponenti e cittadini delle zone colpite (con Nando Dalla Chiesa, Umberto Ambrosoli, Luca Beltrami Gadola, Giuliano Turone e Maurizio Grigo) voluta espressamente dal sindaco Pisapia in attesa che il consiglio comunale ne vari una propria.
Quest’ultima non c’è ancora, a sette mesi dalle elezioni, per contrasti fra maggioranza e opposizione. Il Pdl punta ad una commissione con poteri limitati e ha remore a che il presidente sia un rappresentante Pd. Intanto a Milano le “Mafie Spa”prosperano come non mai. Estorsioni, appalti, prostituzione, giochi e scommesse (sia legali che illegali), in ultimo il florilegio di botteghe “Comproro” spuntate come funghi, uno strumento utilissimo per il riciclaggio. L’azione di magistratura e forze dell’ordine ha molta buona volontà ma scarsità di mezzi, al limite del donchisciottesco.