Il cielo sopra Bogotà
Viaggio alla scoperta della società civile colombiana
La Calle 36 si trova in uno dei quartieri centrali di Bogotà: negozi, ristoranti, alcune banche, un parco. Intorno, case di tipo europeo, comitati elettorali, guardie private e polizia. Accompagnati dalle immagini della vita quotidiana del quartiere Teusaquillo, “Giramondi”, gruppo di viaggio della memoria e dell’impegno promosso da Libera, abbiamo trascorso insieme a undici volontari del progetto “Atrevete!mundo” dieci giorni intensi alla scoperta del Paese. Della società civile organizzata che lo anima, della sua storia, delle sue profonde ferite e dei conflitti che lo attraversano, quelli armati e quelli sociali.
Uno sguardo al cielo sopra Bogotà e la magia di questa città è subito chiara. Le nuvole si spostano in orizzontale, ritornano, ripartono, fanno giri concentrici e poi si infittiscono sino a cambiare colore: mandano giù la pioggia e ricominciano. E’ un rito che gli animatori dell’associazione CasaB, spazio culturale del quartiere Belèn, spiegano così: “Se non ti piace il tempo a Bogotà, aspetta 15 minuti”. C’è il destino di un Paese dentro questo motto, nato per abituarsi al tempo che può cambiare sino a quattro/cinque volte in un solo giorno e che vale per tutto: la politica, le lotte civili, il conflitto sociale.
Quando i volontari mettono piede a Bogotà è il 26 maggio, ufficialmente è inverno ma solo sulla carta. A conti fatti, non ci sono stagioni e per il gruppo ogni giorno sarà una sorpresa.
Lasciato l’aeroporto Eldorado le automobili gialle dei tassisti diventano una costante del traffico.
L’arrivo di “Giramondi”
Solo poche ore prima dell’arrivo di “Giramondi e Atrevete!mundo” i colombiani avevano votato per eleggere il Presidente. L’astensionismo in Colombia è alto e a decidere chi andrà alla guida del Paese sono soltanto il 35-40% circa degli aventi diritto. Alla segunda vuelta, il ballottaggio che si è temuto il 15 giugno, si sono misurati il presidente uscente Juan Manuel Santos (che ha vinto) e Ivan Zuluaga, delfino dell’ex presidente Alvaro Uribe. Un confronto tutto a destra, fra un candidato dell’elite borghese cittadina e uno del latifondo delle zone rurali, in un Paese che ha un alto tasso di militarizzazione e altrettanto intenso conflitto sociale.
Per capire come uno scontro fra due candidati della stessa area politica, possa cambiare i destini di una intera nazione, dovranno passare alcune ore, una prima cena colombiana, l’alba del giorno dopo e l’arrivo al Cinep, il centro di ricerca ed educazione Popolare/Programma per la Pace. Qui è Luis Gulliermo Guerrilla a spiegare quale partita si stia giocando sopra le teste dei cittadini. Dopo alcune ore di dialogo la situazione storico-politica è più chiara e anche il delicato momento che la nazione sta attraversando.
All’Avana sono in corso, infatti, tentativi di dialogo fra la guerriglia delle Farc e lo Stato colombiano: gli accordi di pace sono appesi al filo. L’ex presidente Santos, infatti, è intenzionato a proseguire i dialoghi, il candidato di Uribe invece ha già affermato che nessun accordo sarà portato avanti se le Farc non deporranno prima le armi. Punto inaccettabile per la guerriglia.
“Sono curioso di sapere come si vivono in Europa questi storici tentativi di pace – dopo il ricercatore indipendente Ricardo Vargas parlando di guerriglia, governo e narcotraffico. “Non si vivono” – risponderanno un po’ imbarazzati gli animatori di “Giramondi”. Sette ore di fuso orario, un’agenda che riduce al minimo le notizie di esteri, una visione segmentata delle dinamiche sudamericane taglia fuori la Colombia dalle pagine dei quotidiani italiani.
Eppure, se c’è una cosa chiara dopo i primi incontri con le Ong è che le politiche nazionali e internazionali, gli accordi di libero mercato, il business delle multinazionali, la violazione dei diritti umani sono tutti fattori saldati fra loro. E collegano direttamente Europa e America Latina, col cosiddetto “effetto farfalla”.
Le vittime del conflitto e il tema della “riparazione”. Gabriele, Vito, Flavia e Vittorio di “Giramondi” hanno gli occhi sbarrati di fronte a quello che sentono raccontare e per prima cosa mettono in discussione ció che di Colombia sapevano prima di partire. “Qui i conflitti sono più di uno” commenta Vito, siciliano a Roma. Come spiegano anche il ricercatore Folco Zaffalon e Tonio Dell’Olio, responsabile di Libera internazionale che li guidano in questo viaggio. “La propaganda del governo di Uribe ha portato all’estero l’immagine di un Paese in guerra contro i narcoterroristi delle Farc e la questione si è così polarizzata: da un lato lo Stato dall’altro la guerriglia. E invece, in mezzo, c’è stata una massiccia e continua violazione dei diritti umani, tuttora in corso”.
Crimini di lesa umanità
Guerriglie e paramilitari, dunque, ma anche i numerosi “crimini di lesa umanità” commessi dall’esercito, come scritto nero su bianco in varie sentenze della Commissione interamericana per i diritti umani che ha condannato lo Stato colombiano a risarcire le vitttime del conflitto. A confermarlo anche Maria Silva del Pilar del Collettivo di avvocati in difesa dei diritti umani, Cajar, che si occupa di sostenere e seguire i familiari delle vittime del conflitto. Dalla loro parte per il lungo e faticoso percorso di “riparazione” due Leggi, la Ley para las Victimas y Restitucion de Tierras del 2011 e la precedente Ley de Justicia y Paz approvate a conflitto in corso e che sulla carta dovrebbero provvedere a risarcire, sotto diversi aspetti, le vittime. Nei fatti – come sottolineano i ricercatori del Centro Internacional para la justicia Transicional, risultano inapplicate e spesso umilianti per le stesse vittime.
La circolare di Santos
Al Cajar, il gruppo “Giramondi” incontra per la prima volta le storie dei giovani cittadini uccisi dall’esercito e travestiti, dopo la morte, con abiti da guerriglieri (a seguito di una circolare interna del 2006 a firma di Juan Manuel Santos, ministro della difesa del governo Uribe che cosi “incentivava” la lotta alla guerriglia). Alcuni giorni dopo, queste storie saranno il cuore dell’incontro con le madri di Soacha.
Il viaggio nel quartiere-dormitorio alle porte di Bogotà segna un prima e un dopo nell’esperienza colombiana. Loro, “le rose di Soacha” hanno perso tutto: figli uccisi dall’esercito e fatti passare come guerriglieri, mariti che non hanno retto il peso di questa battaglia di verità e sono andati via e persino la solidarietà di una comunità che molto spesso le isola. Nonostante ciò, ai ragazzi di “Giramondi” aprono la loro casa e condividono pagine dolorosissime della loro vita. Flavia Famà, familiare di vittima delle mafie, raccoglie questo “testimone” rappresentato simbolicamente dall’abito bianco che le madri indossano durante le manifestazioni pubbliche. Lo porterà in Italia il prossimo 21 marzo, giornata della Memoria e dell’Impegno. Se é vero che nella terra più arida nascono i fiori più belli, questo detto vale ancor più a Soacha, dove fra case improvvisate, una rete fognaria assente, abitazioni a cielo aperto e strade sterrate, opera una rete di associazioni, coordinata dalla Fondazione Escuela de Paz che porta avanti progetti sociali per ragazzi delle 4 comuna del distretto. Una giornata di animazione con i gruppi “Atrevete!mundo e Giramondi” diventa l’occasione per conoscere da vicino questi percorsi, i sogni dei ragazzi, il conflitto quotidiano in cui vivono e i progetti di cambiamento. Pochi giorni dopo l’incontro con il Movice, Movimiento de Víctimas de Crímenes de Estado, restituirà la dimensione numerica, storica e sociale determinata dai conflitti interni al Paese: 8 milioni di ettari di terre sottratte ai contadini, più di 5 milioni di desplazados (persone scappate dalla propria terra a causa di minacce o dell’uccisione di familiari), 220000 persone assassinate in cinquant’anni di conflitto. “Quello che si vuol far credere – spiega Luis Alfonso Castillo Garzón – é che la maggior parte dei crimini sia stata commessa dalla guerriglia. L’archivio costruito in questi anni di ricerca e documentazione invece dimostra, numeri alla mano, che la maggior parte dei delitti é stata commessa dallo Stato e dalle forze paramilitari create con il beneplacito dello stesso Stato”.
Il narcotraffico, la guerra per la terra e i tentativi di pace. Un Convitato di Pietra, per tutto il viaggio, siede al fianco delle Ong e dei testimoni che di volta in volta il gruppo incontrerà. Si chiama narcotraffico e mentre qui è visto solo come “la banca” che rifornisce di denaro liquido la guerriglia, i paramilitari (ex appartenenti all’esercito) e parti dello Stato, per i più attenti osservatori del Paese latino-americano la produzione e il commercio internazionale di droga è una bomba pronta a scoppiare sotto il tavolo del processo di pace all’Avana, nonché il principale ostacolo ad una vera cessazione dei conflitti.
“Un effetto collaterale”
Tonio Dell’Olio, in particolare, sollecita i vari interlocutori su questo tema ma in pochi, come il ricercatore Riccardo Vargas e il giornalista Simone Bruno, rispondono con analisi mirate. Per altri il narcotraffico sembra solo un effetto collaterale del conflitto in corso. Non è così per la Commissione Giustizia e Pace che in un solo incontro riesce a portare “Giramondi” dentro il cuore del problema politico-economico del Paese: la lotta per la terra e la violenza di uno Stato in accordi con le multinazionali interessate a fare profitto.
Vicende documentate in maniera scrupolosa e attenta dai responsabili territoriali della Commissione che in molti distretti denuncia queste “pratiche” e cerca di illuminare i casi di violenza, in particolare, da parte dei paramilitari che per conto delle multinazionali minacciano i campesinos che non intendono cedere la loro terra. Su questi terreni agricoli i contadini coltivano il necessario per sopravvivere e spesso la foglia di coca, che in Colombia rimane la piantagione piu redditizia.
La mancanza di vie di comunicazione per la distribuzione e il commercio di altri beni alimentari li ha costretti, infatti, ad una scelta priva di alternative reali.
I campesinos vittime del narcotraffico
In questo sistema di produzione i campesinos sono vittime della rete del narcotraffico: un vero e proprio sistema di violenza e sopraffazione che si intreccia all’azione della guerriglia, il paramilitarismo e la corruzione dello Stato.
In Colombia i desplazados sono coloro che sono costretti con la forza a lasciare la loro terra e sono oltre 5 milioni. Subiscono intimidazioni, minacce e spesso pagano con la vita.
Le cause più frequenti del desplazamiento sono la permanenza su terreni strategicamente importanti a livello strutturale per il governo o adatti all’agricoltura estensiva per le multinazionali; o ragioni “politiche” dovute al conflitto armato.
Due di loro hanno raccontato direttamente a “Giramondi” la loro storia. L’ingente servizio di scorta e il filo elettrico che circonda la sede della Commissionsono segnali chiari del rischio che corrono sia gli operatori dell’associazione che i “rifugiati” che qui, come sui territori dove la Commissione opera direttamente, trovano conforto, formazione, informazione e sostegno, legale, psicologico e culturale. Così come ci sono stati continui conflitti armati per la terra, per il narcotraffico e per la violenza di Stato è altrettanto vero che ci sono stati, negli anni, numerosi tentativi di sperimentare la pace.
L’incontro con due preti gesuiti porta il gruppo a conoscere esperienze singolari: il lavoro di mediatore di pace svolto da padre Francisco de la Roux e l’esperimento di resistenza non violenta della Comunità di San Jose de Apartado, monitorata per anni da padre Javier Giraldo. Laboratori che hanno provato a preparare la pace all’interno di un conflitto armato ancora in corso.
Il movimento di resistenza per la pace non trova cittadinanza solo nelle campagne. Anche nella capitale sta nascendo un percorso di resistenza culturale. E’ una rete che ha un punto di riferimento forte nell’associazione Hijos y Hijas por la memoria y contra la Impunidad en Colombia, figli di vittime del conflitto.
“Giramondi” ha la fortuna di incontrarli in un contesto molto accogliente, una casa in cima al quartiere La Macarena. Un quadro di Frida Khalo alle pareti dell’abitazione, alcuni strumenti musicali, un black-out improvviso che costringe gli invitati a cenare a lume di candela: sembra una tranquilla serata fra amici, quella fra Josè Antequera, portavoce dell’associazione e i ragazzi di “Giramondi”.
José, Fernanda, Silvy, Leonore: la rete
Figlio di un politico dell’ Unión Patriótica (UP) ucciso dall’opposizione di destra José li riceve insieme alle “compagne” della rete, Fernanda, Silvy, Leonore. La conversazione a più voci assomiglia all’anteprima di una notizia che solo fra qualche mese potrà essere verificata.
“Il movimento giovanile – raccontano – si è saldato durante questo ultimo anno con quello campesino e indigeno e, nonostante la costante repressione del presidente Santos, abbiamo trovato un piccolo spazio iniziale di rivendicazione sociale, impensabile sotto il governo Uribe”.
“Questo ci dà speranza – dice Josè – perché sentiamo che si è aperto un varco e i tempi oggi sono maturi. Noi abbiamo scelto di puntare sulla rinascita culturale della città, sul coinvolgimento delle persone a partire dall’arte e dalla musica, fortemente saldate ad una rivendicazione di spazi di condivisione e politica”. Per un Paese che ha avuto un intero partito politico, l’Unión Patriótica, annientato con le armi il prerequisito è proprio la conquista di uno spazio di democrazia, che non venga spento nel sangue, come continua ad accadere ancora oggi.
Nella tensione visibile sul volto di Folco, ricercatore che ha vissuto in Colombia occupandosi di diritti umani, si coglie entusiasmo ma al tempo stesso la preoccupazione per i destini dei suoi coetanei che qui, in una delle prossime manifestazioni, potrebbero rischiare la vita nel tentativo di chiedere un futuro cui hanno diritto.
Di politica si parla a lungo anche con i due protagonisti dell’opposizione di sinistra in Parlamento, con il Polo democratico, il deputato Oliverio Alirio Uribe e Iván Cepeda Castro, senatore e figlio di un leader dell’Union Patriótica. “Il Parlamento eletto a marzo – dice Uribe – è interamente spostato a destra, 76 membri su 269 sono sotto processo per legami con il Paramilitarismo”. Il passaggio di Uribe e Cepeda dalle associazioni alla politica parlamen- tare ha il sapore di un atto rivoluzionario.
“Oltre il 50 per cento del mio lavoro – racconta Cepeda è è dedicato alla difesa e all’affermazione dei diritti delle vittime, ad indirizzare la politica su una riforma agraria di restituzione delle terre e di sviluppo delle vie di comunicazione e trasporto all’interno dei distretti per riconvertire l’economia e sottrarla alla rete del narcotraffico”.
Uribe e Cepeda hanno fatto pressione dentro la coalizione di sinistra per sostenere gli accordi di Pace, attraverso un voto contro Zuluaga. scegliendo dunque la rielezione di Santos. Se questo appoggio dovesse rivelarsi vincente c’è la possibilità di portare avanti i dialoghi di bace. Se avessero esito positivo, per la prima volta la Colombia si troverà a gestire una situazione di post-conflitto confrontandosi con l’altro dramma, quello sociale, che per anni è stato nascosto con le armi.
“Ripartire dal Barrio”
Mentre “Giramondi” è in ascolto della società civile organizzata “Atrevete!mundo” conosce questa realtà direttamente, attraverso una esperienza di formazione e volontariato nel quartiere Belén di Bogotà, a Casa B, in un centro culturale situato in una delle aree più difficili della capitale.
L’associazione, fondata nel 2012 a Berlino da sei ragazzi e da Daario Sendoya, sociologo colombiano vissuto a lungo in Italia, sta cambiando a piccoli passi il quartiere, offrendo un nuovo punto di vista sul barrío e un nuovo modo di stare insieme per i ragazzi di Belèn.
Fra le tante istantanee dei giorni trascorsi a Casa B, le cene a base di ricette internazionali, la proiezione dei “Cento Passi”, le attivitá di animazione e formazione, i lavori per “migliorare” gli spazi interni alla casa e il programma della Cine-Huerta nata a fianco dell’associazione.
Valentina, Chiara, Michele, Marilisa, Giulia, Sara, Ludovica, Giuseppe, Letizia, Giulia, Anna hanno raccontato ogni giorno nei loro diari di bordo la “magia di Casa B”. I murales poco fuori l’associazione avvolgono il quartiere e la città di colori e parole. Le lunghe passeggiate su e giù per la capitale portano i giovani di “Atrevete!mundo” a conoscere una città immersa nella cultura, nell’arte e nella musica.
Bogotà è saperi nuovi ma anche sapori che arrivano da lontano. I tanti locali dalle luci calde e soffuse custodiscono bevande di origine indigena, i piatti della tradizione campesina e un mix di cucina sudamericana. E sono il luogo privilegiato della famosa Cumbia: una danza che con i piedi disegna ellissi sempre aperte mentre le mani sono ferme sui fianchi. La tensione sociale si avverte, chiaramente, in alcuni quartieri e anche nel via-vai del Transimillenio, la metropolitana su gomma che attraversa la città.
Negli ultimi giorni di permanenza a Bogotà i ragazzi di “Atrevete!mundo” incontrano in piazza Bolivar un signore con un cappello verde e un cartello al collo. Si chiama Raùl Carvajal Perez ed è il padre di un sottufficiale dell’esercito ucciso nell’ottobre del 2006 a nord di Santander per essersi rifiutato di assassinare cittadini.
La storia del sergente Carvajal
I ragazzi lo invitano all’appuntamento che si terrà il giorno dopo, al Centro della Memoria, Pace e Riconciliazione, luogo del convegno internazionale sui diritti delle vittime organizzato da Libera e Movice. Qui racconta la sua storia davanti ad una platea in lacrime.
Il conflitto, le sue vittime, il dolore e le ferite di un intero paese non sono un affare del passato ma un dramma ancora pienamente in corso. Poche ore prima del convegno, a L’Avana, i dialoghi di Pace si sono indirizzati proprio sul terzo punto degli accordi: il riconoscimento delle vittime e la non impunità dei colpevoli.
“Si attende il riconoscimento delle vittime da parte delle Farc, certo, ma si esige anche il riconoscimento di quelle dello Stato – spiega Iván Cepeda. Un atto che chiede anche il militante del Movice, Cesar, che dopo un lungo esilio durato 25 anni in Italia é rientrato due anni fa in Colombia, “per continuare la lotta, perché voglio lasciare a mio figlio una Colombia diversa, democratica” – racconta. Cesar, minacciato e perseguitato per la sua attività politica, come Josè, Fernanda, Silvy e Leonore è nato durante il conflitto e non ha mai visto una Colombia senza guerra.
“Sostenere chi lotta per la pace”
Due esperienze, un solo obiettivo. Il 4 giugno il gruppo “Atrevete!mundo e Giramondi” lascia Bogotà. Il viaggio attraverso due complementari esperienze di volontariato ha avuto l’obiettivo di far conoscere questo Paese a partire dalle persone che qui vivono, lottando contro la violazione dei diritti umani. Prima di partire il senatore Iván Cepeda, a poche ore dal voto, ribadisce ai due gruppi la necessità di un impegno della comunità internazionale per migliorare la politica colombiana e tutelare i difensori dei diritti umani.
Questo, fra i tanti, sará l’impegno da portare in Italia: raccontare la Colombia e i colombiani, provare a far sentire l’appoggio della societa civile italiana e sensibilizzare le Ong internazionali e i Governi sulla grave e continua violazione dei diritti in questo Paese.
Il pensiero va a Cesar, Josè, Silvy e tutti gli attivisti incontrati nel viaggio, le cui sorti sono appese ad un filo. Sopra le loro teste, c’è il cielo di Bogotà, con il suo rito dettato dalle nuvole che riflettono l’inquietudine di un intero popolo che dopo oltre quarant’anni di conflitto chiede soltanto di conoscere una Colombia in pace.