giovedì, Novembre 21, 2024
-mensile-Interviste

Cosa nostra a Palermo oggi

Il punto sull’evoluzione della più antica struttu­ra di potere illegale nell’analisi del maggio­re storico dell’antimafia

Una Cosa nostra in perdurante affanno, impegnato in una frenetica rimodulazione degli assetti e delle catene di comando, con frequenti tentativi, ad opera di nuove leve, di rapide ascese all’interno dell’organizzazione”. Con queste parole, nella relazione della Direzione Investiga­tiva Antimafia, si apre la sezione dedicata a Cosa nostra, organizzazione divenuta un’osservata speciale per la delicata fase di trasformazione che sta attraversando. Con una particolare attenzione sull’area palermitana, da sempre cuore pulsante di Cosa nostra, cerchiamo di capire quali sono le prospettive di sviluppo e modifica dell’organizzazione. Ne parliamo con Umberto Santino, presidente del Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato”

Considerando le inchieste e i processi che hanno colpito Cosa nostra a Paler­mo negli ultimi anni, si può parlare ve­ramente di una fase di arretramento o l’azione re­pressiva ha condotto ad una semplice mu­tazione?

Cosa nostra ha pagato i grandi delitti degli anni ’80 e le stragi degli anni ’90 che l’hanno portata in prima pagina ma hanno avuto effetti boomerang, con la leg­ge antimafia, il maxiprocesso, le leggi premiali per i collaboratori di giustizia, il carcere duro, gli arresti e le condanne di capi e gregari.

L’impunità che storicamen­te è stata una forma di legittimazione del­la violenza mafiosa, quando essa serviva a perpetuare un assetto di potere, si è inter­rotta dopo i delitti che hanno colpito per­sonaggi delle istituzioni in un periodo sto­rico in cui il crollo del socialismo reale, l’archiviazio­ne del Partito comunista, la riduzione del­le sinistre residuali a soggetti marginali non rendeva più necessario l’uso della violenza extrastatuale per go­vernare e re­primere il conflitto sociale e impedire l’affermarsi di prospettive alter­native.

In questo contesto la mafia sicilia­na ha visto ridimensionarsi il suo ruolo di sog­getto politico, mentre la repressione ne decimava le file. Si aggiunga che i proces­si di globalizzazione, fortemente crimino­geni per due aspetti fondamentali: l’aggravarsi degli squilibri territoriali e dei divari sociali, che spingono gran parte della popolazione mondiale al ricorso all’economia illegale, e la finanziarizza­zione dell’economia, che rende sempre più difficile distinguere tra capitale legale e illegale, hanno visto il proliferare di or­ganizzazioni criminali di tipo mafioso, cioè che coniugano l’associazionismo cri­minale a un sistema di rapporti.

In questo quadro la mafia siciliana ha perso il ruolo, se non egemonico comun­que di primo piano, nel traffico di droghe, che rappresenta la prima fonte dell’accu­mulazione illegale. E attualmente assistia­mo a processi che cercano di far fronte a questi problemi. Un altro problema è rap­presentato dall’insediamento a Palermo di nuovi soggetti criminali.

Come si configu­ra il rapporto con le mafie storiche? Sono possibili tre ipotesi: convivenza, compli­cità, conflitto. Non ci sono tracce di con­flitto. Risulta da recenti inchieste che c’è una collaborazione tra mafiosi locali e cri­minali nigeriani nel traffico di droghe e stiamo studiando qual è il ruolo della ma­fia nell’industria del sesso mercenario, in particolare lo sfrutta­mento schiavistico delle donne nigeriane. I mafiosi si limita­no a lasciar fare o hanno un ruolo attivo? Si ricordi che già a fine Ottocento i cosid­detti “ricottari”, mafiosi o aspiranti tali, gestivano i bordelli nei quartieri popolari di Palermo e negli Stati Uniti una delle at­tività più lucrative dei mafiosi emigrati era lo sfruttamento della prostituzione.

Il ruolo di “mediatori” dei mafiosi

Bisogna considerare i cambiamenti nel­la coscienza della società civile: asso­ciazioni e semplici cittadini stanno for­nendo un importante contributo per il contrasto della criminalità organizzata, ma non si può neanche dire che i mafio­si abbiano perso il loro ruolo di media­tori e rappre­sentati di un ordine alter­nativo, anzi…

Nella coscienza dei cittadini qualcosa è mutato, per esempio per quanto riguarda l’antiracket, ma si tratta di mutamenti che coinvolgono ancora minoranze. La stessa cosa si può dire per l’uso sociale dei beni confiscati. L’azione nelle scuole può pro­durre i suoi frutti ma è troppo schiacciata su un’idea di legalità astratta e formale. Non si è creato finora qualcosa che somi­gli al movimento contadino che spingeva allo scontro con la mafia centinaia di mi­gliaia di persone sulla base dei bisogni della vita quotidiana. Ma qui il problema si allarga, riguarda l’inesistenza di una si­nistra. Prima la sinistra era legata agli in­teressi e alle lotte di operai e contadini.

Oggi bisognerebbe raccogliere e rappre­sentare il disagio di disoccupati, precari ed emarginati, che potrebbero essere i soggetti di una prospettiva di mutamento. Purtroppo non lo fa nessuno, né a livello sindacale né a livello politico.

Il ruolo di mediazione della mafia oggi è stato sostituito dall’assedio agli enti lo­cali e dalla compartecipazione al potere sul territorio: si veda il numero crescente di consigli comunali sciolti per mafia, da qualche anno non solo al Sud; molti di essi riguardano ’ndrangheta e camorra, con un ruolo crescente della ’ndrangheta nella gestione dei comuni e nella compar­tecipazione alle grandi opere, come dimo­strano i recenti arresti per l’Expo milane­se. Il ruolo della ‘ndrangheta si deve non solo ai corposi trasferimenti in nuove aree, con la formazione di nuove ’ndrine, ma soprattutto alla grande accumulazione derivante dal traffico di droghe.

In un pe­riodi di crisi, con le difficoltà di accesso al credito, la ’ndrangheta funge da dispensa­trice di liquidità e se non si affronta il pro­blema del proibizionismo le mafie conti­nueranno ad essere soggetti finanziari di primo piano.

La riorganizzazione territoriale

L’azione repressiva ha costretto ad una riorganizzazione di tipo territoriale ed or­ganizzativo delle varie famiglie. Si pensi ad esempio all’operazione “Nuo­vo man­damento”, che ha rivelato l’unione dei mandamenti di Partinico e San Giuseppe Jato nel maxi-manda­mento di Camporea­le. Come si possono leggere queste evolu­zioni?

Direi che essi rappresentano un dato fi­siologico. Sono aggiustamenti che tengo­no conto di un certo assottigliamento delle presenze, delle difficoltà di reperire sosti­tuti a capi in carcere o comunque non più in grado di comandare.

E’ una riorganiz­zazione che dimostra tutto sommato una capacità di ridisegnare la geografia della struttura interna e della signoria territoria­le.

Gli arresti inoltre hanno portato, come è naturale, ad un’ascesa di nuovi personag­gi, giovani ed ambiziosi, nel panorama mafioso. Che rapporto si instaura tra que­sti “parvenu” e gli storici capimafia, alcu­ni dei quali hanno anche finito di scontare le loro condanne?

Il rapporto tra vecchi e giovani, tra per­sonaggi storici e soggetti emergenti, può configurarsi in vari modi: come un avvi­cendamento pacifico o come un tentativo di scalata, con la destituzione dei vecchi gruppi di comando, che prevede il ricorso, per la mafia “normale”, alla violenza. Mi pare che alcuni recenti delitti dimostrino che i vecchi non hanno nessuna intenzio­ne di cedere pacificamente le posizioni di potere.

Giuseppe Calascibetta nel 2011, France­sco Nangano nel 2013, Giuseppe di Gia­como lo scorso marzo, con la raffica di morti che avrebbero potuto seguire, come rivelato dall’operazione “Iago”: Cosa no­stra non ha rinunciato agli omicidi, ma la scelta delle vittime sembra più oculata e l’uccisione è usata con più prudenza ri­spetto ad un tempo. Che ruolo occupa il ricorso all’omicidio nelle nuove strategie di Cosa nostra?

Gli ultimi omicidi mi sembrano delle “potature” con cui si eliminano soggetti che mirano a mettere in forse assetti di potere interno che i mandanti degli omici­di vogliono mantenere.

L’omicidio per la mafia è il mezzo con cui viene condotta la lotta egemonica in­terna e l’applicazione della pena di morte per chi viola le sue norme o ostacola i suoi interessi. L’escalation della violenza nei primi anni ’80 e ’90 ha avuto gli effet­ti boomerang che ricordavo, per cui, sotto la gestione Provenzano, che è stato uomo di tutte le stagioni: killer con Luciano Liggio, stragista con Riina, “pacificatore” successivamente, si è evitato il ricorso alla violenza esterna in forma eclatante (ma sono continuate minacce e intimida­zioni), che aveva esposto Cosa nostra all’ondata repressiva. I delitti più recenti dimostrano che la lotta egemonica prosegue con modalità violente. La vio­lenza continua a essere il dato distintivo della mafia, in nome del non riconosci­mento del monopolio statale della forza. Da questo punto di vista niente di nuovo. Siamo in piena continuità con la soggetti­vità politica della mafia cos’ come l’ho definita in un saggio dei primi anni ’90, recentemente ripubblicato: la mafia ha un suo complesso di regole, un ancoraggio territoriale, un apparato per esercitare la coercizione, cioè per punire chi non osser­va le sue regole.

Sembra che stiano cambiando anche i tipi di attività illecite: insieme al ritorno del traffico di droga si registra un calo delle estorsioni. Come si possono leggere questi dati?

Il calo delle estorsioni, se i dati sono at­tendibili, si deve a due ragioni: un certo numero di commercianti e imprenditori ha imboccato la strada della mobilitazione antiracket e i mafiosi preferiscono non ri­provarci.La crisi falcidia redditi e proventi e i mafiosi capiscono che taglieggiare soggetti impoveriti può ridurre fortemente il consenso.

Che però il consenso ci sia ancora lo di­mostra la prova di forza ai fu­nerali di Di Giacomo, con i mafiosi in pri­ma fila, gli applausi dei partecipanti in gran numero, i labari della confraternita, la messa in chiesa. Solo ora l’arcivescovo di Palermo si è deciso a intervenire. Ma non lo sa che le confraternite sono da sempre in mano alla mafia, che le feste dei santi patroni, a cominciare da santa Rosalia a Palermo, per la falsa guarigione dalla peste del 1624, e di sant’Agata a Ca­tania, sono o sono state feste di mafia?

In una fotografia della processione dell’Immacolata a Cinisi, del 1979, si vede il mafioso Finazzo tra le autorità, vi­cino all’arciprete. Da qualche tempo sce­ne simili non si vedevano, sotto l’infie­rire della repressione. Ora sono ritornate. A proposito di Chiesa, voglio segnalare che le recenti occupazioni dei senza casa di Palermo hanno riguardato edifici e isti­tuti religiosi, da tempo abbandonati. Gli occu­panti hanno richiamato le parole di papa Francesco che invita ad aprire ai bisognos­i case e conventi. Una suora ha su­bito presentato denuncia contro i viola­tori della proprietà privata, sacra per tutti ma in particolare per i religiosi, e in un in­contro con rappresentanti di senza casa il car­dinale, a proposito delle parole del papa, ha risposto con un sorrisino.

Riguardo al traffico di droga mi pare ovvio che Cosa nostra miri a un rientro, ma il quadro adesso è molto più affollato di quello ai tempi di Badalamenti, che dal processo alla Pizza Connection risultava alla testa del traffico di eroina tra la Sici­lia e gli Stati Uniti, e non so se riuscirà a riguadagnare posizioni nella gara a chi ac­cumula di più.

Un sistema economico accogliente…

Alla luce di queste riflessioni, cosa si potrebbe immaginare nell’analisi delle prospettive di evoluzione di Cosa nostra nel breve-medio periodo?

Cosa nostra è in crisi e dovrà barcame­narsi per venirne fuori, ma il modello ma­fioso del mio “paradigma della complessi­tà”: crimine, accumulazione, potere, codi­ce culturale, consenso sociale, associazio­nismo criminale e sistema relazionale, mi pare in gran forma. Lo dicevo già prima: la globalizzazione fa il tifo per le mafie e per l’accumulazione illegale, che non co­nosce crisi e non deve fare i conti con i balletti dello spread. E il capitalismo nella sua fase finanziaria, con i suoi titoli tossi­ci e con le innovazioni relative alla rac­colta e circuitazione del capitale, a pre­scindere dalla sua provenienza, è un grembo accogliente.

Proposte

PER LA CREAZIONE DI IN MEMORIALE/LABO­RATORIO DELLA LOTTA ALLA MAFIA

Il Centro Impastato da anni propone di creare a Palermo un Me­moriale-laboratorio della lotta alla mafia. Una strut­tura poliva­lente, da realizzare con un impegno unitario, che sia insieme:

– percorso museale sulla mafia e sull’antimafia (l’abbiamo deli­neato nella cartella dal titolo “Mafia e antimafia ieri e oggi” e nel progetto di mostra “Fare memoria” che sposa i criteri della museologia moderna che privilegia l’interattività;

– itinerario didattico (utilizzando i materiali prodotti dalle scuole con cui operiamo da molti anni e con cui operano altre associa­zioni e fondazioni);

– biblioteca e archivio di documenti (verseremmo i materiali rac­colti in 37 anni di attività);

– cineteca e videoteca;

– istituto di ricerca, in continuità con le nostre attività documen­tate in decine di pubblicazioni, e in collegamento con l’Universi­tà e altri istituti di ricerca a livello locale, nazionale e

internazional­e;

– luogo d’incontro e progettazione.

In breve: uno spazio da vivere e non solo un museo da visitare.

La proposta, presentata all’Amministrazione comunale e alla Re­gione (che nel 2010 ha costituito un comitato per la creazione di un Museo della memoria e della legalità, ben presto arenatosi), ha raccolto molteplici adesioni, da Francesco Renda, grande sto­rico della Sicilia e delle lotte contadine dai Fasci siciliani al se­condo dopoguerra, recentemente scomparso, alla Cgil, di fonda­zioni e associazioni, tra cui Addiopizzo, Libero Futuro, CRESM Belice/Epicentro, Salvare Palermo, Lega Ambiente (iniziative che si legano alla nostra “campagna della memoria” le stiamo conducendo con l’ANPI), e si è avvalsa della collaborazione e potrebbe contare sulla disponibilità di operatori culturali con una lunga esperienza sul terreno degli allestimenti di gallerie e di mostre.

Abbiamo indicato varie possibili sedi, e nel corso di un recente incontro con l’Assessore alla Cultura del Comune di Palermo è stato indicato un palazzo nel centro storico, di proprietà comuna­le, come possibile sede del Memoriale.

Umberto Santino

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