giovedì, Novembre 21, 2024
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Prima isolati, poi esclusi

Momenti difficili per il pool antimafia di Palermo. Un episodio significativo

Il pool di Palermo impegnato nel processo sulla trattativa Stato-mafia è stato quasi totalmente azze­rato da una circolare del Consiglio Supe­riore della Magistratura del 5 marzo scor­so.

Tutte le nuove inchieste sulla mafia dovranno essere affidate esclusivamente a chi fa parte della DDA, la Direzione Di­strettuale Antimafia, così recita la circola­re che ha come unico risultato quello di distruggere il lavoro d’insieme, l’impegno di squadra. Dei quattro bravi magistrati che cercano di far luce sulla stagione delle stragi del 1992-1993 ne rimarrà soltanto uno che potrà continuare le indagini, il coordinatore del pool e procuratore ag­giunto Vittorio Teresi. E gli altri? France­sco Del Bene potrà continuare il suo lavo­ro fino al primo giugno, quando anche il suo incarico decennale nella Dda scadrà definitivamente.

Per Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo, invece, non ci sarà nulla da fare.

Tartaglia non è ancora entrato nel­la Direzione Distrettuale Antimafia, mentre Di Matteo non ne fa più parte da quattro anni.

Nessun nuovo fascicolo antimafia, dun­que, potrà essere gestito da chi non fa par­te della direzione distrettuale, “salvo casi eccezionali”. E questi casi limite riguarda­no particolari settori quali i “delitti contro l’economia, la pubblica amministrazione, la salute e l’ambiente”. Oppure quando tutti i componenti della Dda avranno dei carichi di lavoro sufficientemente elevati che impediranno loro di svolgere ulteriori e differenti indagini.

Ora (aprile, ndr) non sappiamo su quali indagini il procuratore di Palermo Francesco Messineo traghetterà Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo, i due magi­strati esclusi dalle indagini. Non potranno nemmeno più continuare a svolgere una serie di accertamenti che li hanno visti protagonisti negli ultimi mesi: dopo aver recuperato negli uffici dei servizi segreti italiani una ricca documentazione, infatti, i due magistrati siciliani stavano anche cercando di chiarire il mistero di Falange Armata, la sigla che rivendicava attentati e omicidi passati e che era ricomparsa in una lettera spedita a Totò Riina, nella qua­le gli si intimava di chiudere la bocca. Niente di tutto ciò potranno più fare.

Ma perché? Che senso ha smantellare un gruppo di lavoro affiatato che ha dedi­cato a questo processo impegno e dedizio­ne? Il pool di Palermo degli anni novanta fu distrutto dal tritolo mafioso e ora il nuovo pool, che con le proprie indagini ri­torna a quelle stragi, viene smembrato da una circolare legale del più alto organo della magistratura italiana. Proprio qual­che giorno fa abbiamo assistito alla trattativa tra un prefetto (inviato dal que­store) e un capo ultrà, figlio di un camor­rista, per fare iniziare un evento sportivo. Uomini in divisa, rappresentanti dello Sta­to, che scelgono di venire a patti con la malavita.

“Uccidete la speranza di molti”

Ma proprio quando un gruppo di perso­ne sta cercando di dare una verità storica e giudiziaria a quella cupa stagione, qualco­sa interviene a rendere difficoltoso il pro­cesso. Sembra che tutte le battaglie e tutte le lotte svaniscano in un lampo con un de­creto o una circolare. Sembra che tutte le grida dei cittadini onesti che chiedono a gran voce il rispetto delle regole vadano perse nel vuoto. Sembra che l’impegno a contrastare la criminalità organizzata sia destinato ad essere soltanto una bellissima utopia. È difficile restare ottimisti e crede­re in un futuro migliore quando, ogni qualvolta ci si trovi vicini alla verità, le Istituzioni (o chi per esse) hanno paura di mostrare il loro passato o non hanno il co­raggio di intraprendere per sempre una lotta incondizionata contro la mafia. Mai mi chiederò nella vita se ne fosse valsa veramente la pena di combattere per que­sta causa, ma sappiate che così facendo uccidete la speranza di molti. Se ci tenete davvero a far sì che questa non sia l’enne­sima aspettativa tradita, ripensateci. E dite che è stato solo un bruttissimo scherzo.

Un appello al Csm

Nominate Nino Di Matteo procuratore aggiunto a Palermo!

Ai primi di marzo di quest’anno il plenum del Consiglio Superiore della Magistratura ha modificato l’art. 8 della circolare sulle Direzioni distrettuali antimafia nelle procure. La direttiva del Csm restringe ai soli magistrati della Dda la possibilità di effettuare indagini su Cosa Nostra. Questa circolare estromette di fatto i pm Nino Di Matteo, Roberto Tarta­glia e Francesco Del Bene dalle nuove indagini sulla trattativa Stato-mafia.

Successivamente alla notizia della divulgazione di quella circolare il pro­curatore di Palermo, Francesco Messineo aveva assicurato che avrebbe scritto al Csm attraverso la procedura del “quesito” per chiedere esplicita­mente una via di uscita alla rigidità di quella direttiva.

Infine, la richiesta del Procuratore è stata finalmente ufficializza­ta.

In un punto della lettera si fa riferimento alla questione trattativa (pur sen­za nominarla) in merito alla coassegnazione di nuovi filoni investigativi tra magistrati Dda e magistrati non Dda. Di fatto viene sottolineata l’importanza di non disperdere il patrimonio co­noscitivo dei magistrati che non fanno parte della Dda “in ossequio al principio di continuità nell’assegnazione delle indagini per un medesimo fatto”.

L’istanza di Messineo al Csm rappresenta quindi l’ultimo tentativo di evita­re che indagini delicatissime si arrestino ripartendo da zero nelle mani di nuovi magistrati che devono leggere centinaia di migliaia di pagine, con il conseguente rischio della prescrizione.

La società civile si appella quindi al Csm affinché risponda positivamente alla richiesta del procuratore Messineo dando ugualmente un segnale for­te: nomini Nino Di Matteo procuratore aggiunto di Palermo!

Salvatore Borsellino e Giorgio Bongiovanni, Antimafia Duemila

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