Sicilia arretrata: di chi è la colpa?
Condizioni di vita, diritti sociali e libertà civili
La povertà e l’arretratezza della Sicilia si possono valutare attraverso una attenta analisi di almeno tre caratteri della società, delle istituzioni e dell’economia della nostra isola: in primo luogo le condizioni di vita dei siciliani, poi una valutazione delle libertà civili e, infine, del godimento dei diritti sociali.
Sappiamo bene che nulla avviene per caso e che tutto ciò che accade o che è accaduto nel passato ha delle cause, e conoscerle è il primo passo per costruire qualsiasi progetto di recupero del ritardo rispetto alle regioni settentrionali.
Partendo da una prima risposta di tipo accusatorio, in verità facile, troppo facile, e, quindi, incompleta e scarsamente utile, riferiamo delle tesi neorazziste di Richard Lynn sui caratteri “diversi e deboli” di lombrosiana memoria riferiti ai siciliani; diversa e più concreta, ma ancora insufficiente risulta la tesi di Robert Putnam sul capitale sociale, e quindi sulla scarsa attitudine dei siciliani a cooperare, a riconoscersi in gruppi organizzati e operativi.
Come si vede questa prima risposta può, al massimo, offrirci la colpa, nascondendo il dolo e allora dobbiamo essere più precisi e chiederci, per esempio, di quali siciliani stiamo parlando: sì, perché ci sono stati i siciliani che hanno comandato e i siciliani che hanno ubbidito. In ogni paese è così, ed in Sicilia vanno distinte le classi dirigenti dalle classi popolari.
Le prime andrebbero piuttosto definite “classi dominanti”, in quanto si sono sempre distinte per l’unico loro progetto di salvaguardare i propri interessi e difendere i privilegi derivanti dal potere, provocando emigrazione, sfruttamento, sottosviluppo, clientelismo e malaffare, impedendo così qualsiasi crescita, qualsiasi sviluppo.
La risposta assolutoria di ogni colpa e di ogni dolo è anch’essa facile, ma purtroppo incerta ed insoddisfacente: essa si struttura sulla storiografia marxista, ma anche su certi aspetti di quella liberale (Nitti, Romeo), secondo la quale la Sicilia ed il Sud sarebbero stati colonizzati, sfruttati e ridotti in miseria dal Nord dall’Unità in poi; un secondo tema della tesi assolutoria sta nella lontananza del Sud dai mercati del nord ed europei, nella scarsità di energia idraulica e nell’immobilismo economico e sociale di cui si diceva.
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Per intraprendere un percorso corretto e fruttuoso è necessario, allora, abbandonare la contrapposizione meridionali-settentrionali e denunciare il ruolo, all’interno della società meridionale, delle classi dominanti, che hanno: “deliberatamente ritardato lo sviluppo economico e civile del Sud Italia a vantaggio dei propri interessi. Detto altrimenti, chi ha soffocato il mezzogiorno sono state le sue stesse classi dirigenti -una minoranza privilegiata di meridionali-, che ne hanno orientato le risorse verso la rendita più che verso gli usi produttivi, mantenendo la gran parte della popolazione nell’ignoranza e in condizioni socio-economiche che favorivano i comportamenti opportunisti” .
Questa tesi era già stata enunciata da Antonio Gramsci e da Gaetano Salvemini, che avevano già individuato nei latifondisti i responsabili dell’immobilismo economico-sociale della Sicilia e del Sud e quindi, nel tempo, il ritardo e l’arretratezza rispetto alle regioni settentrionali.
Vale la pena, infine, di accennare all’opportunità di utilizzare il modello interpretativo proposto da Daron Acemoglu e James Robinson sulla differenza tra istituzioni politiche ed economiche consolidatesi nelle regioni settentrionali e in Sicilia: nelle prime si sarebbe affermato un modello “inclusivo”, aperto e accogliente per tutti i cittadini che individualmente o in gruppo hanno trovato modo di partecipare alla gestione della cosa pubblica; in Sicilia si sarebbe invece afferma- to il modello “estrattivo”, secondo il quale le classi dirigenti-dominanti-delinquenti avrebbero associato quegli individui e gruppi funzionali alla soddisfazione di interessi e privilegi esclusivi della loro parte.
Ancora una volta, come si vede, i Savoia non avrebbero nessuna responsabilità sulle condizioni “originarie” del ritardo e del sottosviluppo della Sicilia e del Sud: sono stati i rappresentanti politici delle classi dirigenti-dominanti-delinquenti del Sud e della Sicilia che hanno stipulato quel terribile patto con gli industriali del Nord per garantire lo status quo al Sud in cambio degli investimenti statali alle regioni settentrionali. Si formò, allora, un apparato burocratico centralizzato costituito da parenti, amici e amici degli amici di aristocratici e latifondisti, che garantì puntuali contributi ed investimenti agli imprenditori del nord che lanciarono verso il lavoro, lo sviluppo ed il benessere milioni di lombardi, piemontesi, liguri, toscani, lasciando ai siciliani la sola possibilità di lanciarsi a milioni in migrazioni verso l’America o di restare nella condizione di servo ubbidiente del gabelloto mafioso di turno.
La storia della Sicilia è stata, drammaticamente, anche storia di rivolte, di donne e di uomini che si sono ribellati, ma di questo ho già scritto e ne scriverò ancora.